Il Vangelo che ci viene proposto in questa seconda domenica di Avvento dell’anno C è tratto dal Vangelo di Luca, al capitolo 3, versetti 1-6.
Sono in tanti ad “affollare” questo esordio di Vangelo, e sono gente importante. Hanno nomi conosciuti e riveriti, con i quali si contano gli anni e si misura il trascorrere della storia. Ma, dopo una prima comparsa sulla scena, vengono relegati presto sullo sfondo, a fare da contorno a un evento ben più importante, perché ha inizio una vicenda nuova, con altri protagonisti: la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
La “parola di Dio”
È la parola di Dio la forza propulsiva che irrompe nella storia, quell’energia vitale che mette in movimento e porta Giovanni in tutta la regione del Giordano, fa di lui un predicatore instancabile, la voce che fa echeggiare dovunque l’appello alla conversione e la promessa di perdono.
È una parola audace, gridata, che non ha paura di perdersi nel deserto, non teme la delusione e l’insuccesso; una parola che esorta, che invita a preparare la via, infondendo coraggio ed entusiasmo; una parola che è promessa, che mostra davanti a sé, come una certezza, burroni riempiti, monti e colli abbassati, perché le vie tortuose della vita, se irradiate dalla sua luce, si possono percorrere, e rivelano, nel viaggio, la salvezza di Dio.
Questa parola supera la storia ma entra nella storia, ha bisogno di Giovanni per “incarnarsi” nell’oggi del tempo, perché ciò che è scritto diventi parte di ciò che avviene.
È una parola che non ha smesso di venire sugli uomini, di scendere tra di noi, su di noi, di chiedere alle voci di ogni tempo la disponibilità a portarla nel loro oggi.
Le nostre parole
Anche a noi chiede di essere ascoltata e di essere incarnata, ci mette in movimento, ci spinge a non avere paura dei deserti della vita, a diventare portatori di promesse, a illuminare, attraverso di lei, la vita, la morte, l’amicizia, il dolore, l’amore che abitano le nostre giornate.
Viene sul nostro tempo, da protagonista discreta e, se le lasciamo spazio, ci cambia e ci muove, trasforma le nostre parole e le riveste del suo messaggio di bene, che incoraggia e che consola.
Quando siamo capaci di non arrenderci e di stare accanto a chi non ha più forza per affrontare la realtà; quando sappiamo ascoltare e confortare; quando ci rimbocchiamo le maniche per riempire qualche “burrone relazionale” che sembra invalicabile o per raddrizzare qualche pensiero “tortuoso” che porta fuori strada; quando sappiamo indicare una traiettoria e lavorare perché una promessa si compia… allora – che ce ne accorgiamo o meno – stiamo preparando le vie al Signore che viene, siamo annunciatori della sua salvezza.
A nessuno piace essere “servi” di qualcuno, di qualcosa… ma quanto è bello sentirci servitori e strumenti di questa parola di bene. Dare ad essa il nostro tono di voce, le nostre inflessioni particolari; sentire che essa passa per la nostra lingua materna e attraversa il nostro sorriso. Perché la Parola desidera arrivare ad ogni uomo, quindi anche a chi sta accanto a noi e quell’uno che grida può avere dunque il nostro nome e la nostra voce.