È uno dei più grandi personaggi della Bibbia, uno dei più misteriosi; della sua vita sappiamo poco o niente. Compare all’improvviso da un villaggio di Tisbe (el-Istib, a circa venticinque chilometri a nord del fiume Iabboq; una terra al di là del Giordano, piena di grandi pascoli, di foreste di querce e di terebinti, terra fragrante di resine e balsami preziosi[1]), e non sappiamo dove sia finito.
Sant’Epifanio riferisce che, quando la madre diede alla luce Elia il padre, Sadoc, ebbe una visione: alcuni uomini vestiti di bianco rendevano omaggio ad un neonato, lo strappavano dal seno della madre, lo gettavano nel fuoco e, invece di cibo, lo nutrivano di fiamme. Per questa sua visione il padre si recò a Gerusalemme per riferire ai sacerdoti le meraviglie di cui era stato testimone ed ebbe la seguente risposta: «Guardati dal pubblicare tale visione, poiché luce sarà la sua dimora; la sua parola sarà interpretazione e sapienza e giudicherà Israele col fuoco e con la spada a doppio taglio».[2]
Chi è Elia?
Il nome Elia, dall’ebraico ‘elîyyâ, è composto da un pronome personale e da una delle radici del tetragramma sacro del nome di Dio. Il suo significato è “El è Jah”, “Il Signore è il mio Signore”, o anche “Yhwh è Dio”. Il nome evoca zelo, passione, amore per la Parola e per il monoteismo di Dio.
I padri della Chiesa, da Agostino a Girolamo, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo, ne esaltano le virtù e lo additano come maestro di santità.
Sant’Agostino lo propone come tipo di Cristo. Come Gesù digiunò quaranta giorni e notti, Elia si levò come il fuoco ardente di zelo per la gloria di Dio predicando e richiamando i peccatori a penitenza e annunziando loro le vie della giustizia e della santità. Il vescovo di Ippona non manca di ricordare la fine gloriosa del profeta. Come il figlio di Dio, Elia richiamò alla vita i morti e fu eletto simbolo della sua ascensione essendo stato rapito al cielo sopra un carro trionfale.
Per Girolamo, Paolino di Nola, Giovanni Crisostomo, Cassiano, Ruperto e Pietro Damiani, Elia è il modello della vita monastica.
Cromazio d’Aquileia in un suo sermone, commentando l’episodio della vedova di Zarepta, vi legge in chiave tipologica la presenza della Chiesa e di Cristo. «Questa donna prefigurava in tutto la Chiesa, poiché venerava già in Elia la figura di Cristo che amava più dei suoi figli e della sua stessa vita».[3]
Il vescovo di Aquileia, nelle catechesi al popolo, accostava la figura della vedova di Zaretpa alla Chiesa che, accogliendo Cristo, fa l’esperienza della grazia; così leggeva simbolicamente: «La farina simboleggia il nutrimento della Parola; l’olio il dono della misericordia divina; il legno il mistero della croce adorabile, per mezzo della quale ci è donata la pioggia del cielo […]. Il Signore e Salvatore nostro ci ha mandato la pioggia dal cielo, cioè la predicazione evangelica, con la quale ha ricreato con acque vive i cuori degli uomini rinsecchiti come una terra sitibonda».[4]
La dimora di Elia è il Carmelo, un’antica tradizione sottolinea come il profeta, chiamato in arabo El Khader (significa il verdeggiante, il vivente, colui che non muore mai e sta in ogni luogo), abiti ancora la montagna del Carmelo, rendendola sacra e venerabile.
Una leggenda antica narra che la Famiglia di Nazareth, di ritorno dall’esilio dell’Egitto, prima di tornare a Nazareth si sia fermata al Carmelo, luogo di uomini santi.
La tradizione araba collega la figura di Elia alla fecondità. El-Khader rende l’immagine dell’oasi, del verde e dell’acqua. La leggenda araba dice che una volta El-Khader (il quale beve solo acqua della vita) versò il resto dell’acqua rimasta nel suo vaso sopra una pianta che vi era vicino, il fico d’India, e da quel tempo la pianta è rimasta sempre verde, indistruttibile. Elia secondo tale credenza è sempre associato alla vita e alla fecondità. Ancora oggi in Terra Santa la festa di sant’Elia (20 luglio) è considerata come l’inizio dei rannuvolamenti del cielo.[5]
La tradizione islamica onora e venera Elia come profeta, uomo giusto e santo. Nel Corano in due sure (capitoli) viene evocato il nome di Elia. Nella sura 6 Elia è ricordato tra Zaccaria, Giovanni e Gesù, uomini santi che fanno bene.[6] Nella sura 37 è ricordato come il profeta dell’unicità di Dio e lodato: «E la sua lode perpetuammo fra i posteri: Pace su Elia! Perché noi così compensiamo i buoni: ché ei fu di certo tra i nostri servi credenti».[7]
Il Catechismo della Chiesa cattolica presenta Elia come modello di vita cristiana, di ricerca e di passione per Dio; lui, Elia, «è il padre dei profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo Volto» (CCC, 2582).
Nel libro del Siracide abbiamo questa lapidaria espressione che ci aiuta a comprendere la missione e la forza di questo uomo di Dio: «E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1). Con questa fiamma Israele ritrova il suo cammino verso Dio.
Elia uomo di Dio, il profeta dalla parola di fuoco e dell’unicità di Dio, diventa, nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islam, l’archetipo del maestro spirituale.
Il ciclo di Elia nella Bibbia
La storia di Elia ci fa comprendere come la vera tentazione dell’uomo non sia tanto l’allontanamento da Dio quanto l’idolatria. In un certo senso, il profeta di Tisbe ricorda come l’uomo libero ha più facilità nell’annunciare la verità di Dio, senza compromessi né scorciatoie. Dinanzi a re e regine il profeta annuncia il fuoco della Parola, conferma la sua passione e il suo amore all’unico Dio, non ha paura delle minacce di morte, anzi con l’aiuto di Dio diventa il maestro e il custode dell’alleanza del Sinai.
La lotta al tempo di Elia non è tanto tra un re e una regina ingiusta (Acab e Gezabele), ma tra due visioni religiose completamente opposte: tra un dio della fertilità – Baal –, il grande dio delle tempeste, della prosperità e della fecondità, immaginato come un toro che feconda la terra madre con la pioggia, rendendola fertile, e il Dio del deserto e dell’alleanza, tra baalaismo e jahvismo.
Il re Acab, figlio di Omri, salito al trono nell’874 a.C., «fece ciò che è male agli occhi del Signore, più di tutti quelli prima di lui» (1Re 16,30), ma prese anche in moglie Gezabele figlia di Et-Bàal, re di quelli di Sidòne, e si mise a servire Baal e a prostrarsi davanti a lui. Il prezzo dei vantaggi economici e politici per Acab fu la sottomissione alla moglie Gezabele, avida e senza scrupoli. Tuttavia Acab non lasciò il Signore, tanto che diede ai suoi figli nomi di tradizione jahvista (Acazia, Ioram e Atalia) e si circondava di profeti del Signore (cf. 1Re 22,5-12).[8]
Come Abramo, Elia compie il suo cammino esodale: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente, nasconditi presso il torrente Cherit» (1Re 17,2), obbedisce alla voce dell’Eterno e l’Eterno approva le sue richieste.
Di Elia profeta non è possibile sapere della sua nascita e fanciullezza, la vocazione profetica appare all’improvviso criticando l’ottavo successore di Salomone, il re Acab; scompare poi su di un carro misterioso infuocato.
I momenti della sua vita, tracciabili attraverso la lettura della Bibbia sono: l’annuncio del flagello al re Acab e la permanenza al torrente Cherit (1Re 17,1-6); la sua permanenza a Zarepta di Sidone e il miracolo della risurrezione del figlio della vedova (1Re 17, 7-24); la sfida sul monte Carmelo contro i profeti dei Balaam e fine della siccità (1Re 18,1-46); il viaggio nel deserto fino all’Oreb e la manifestazione di Dio (1Re 19,1-18); e, infine, la chiamata di Eliseo e il rapimento sulla merkavah, il mitico carro di fuoco trainato dai serafini (1Re 19,19ss; 2Re 2,1-18).
La tradizione ebraica aveva consegnato, nella notte della liberazione, la presenza difensiva e redentiva di Adonaj; con il tempo, alla notte descritta dall’Esodo, la notte dall’uscita dall’Egitto, il giudaismo ha aggiunto altre tre notti per manifestare la grandezza dell’Eterno.
Leggiamo nel poema delle quattro notti nel Targum Palestinese in lingua aramaica a commento di Esodo 12,48: «La prima notte fu quella in cui Yhwh si manifestò sul mondo per crearlo. La seconda fu quando Yhwh si manifestò ad Abramo, che aveva cent’anni, e a Sara che ne aveva ottanta. La terza notte fu quando Yhwh apparve agli egiziani nel cuor della notte: la sua mano (sinistra) uccideva i primogeniti degli egiziani e la sua destra proteggeva i primogeniti d’Israele. La quarta notte (sarà) quando il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gioghi di ferro saranno spezzati e le generazioni dell’empietà saranno distrutte. E Mosè uscirà dal deserto e il re messia dall’alto dei cieli».[9]
Le quattro notti ci indicano le tappe decisive di Dio per la salvezza. Anche per Elia possiamo prendere quattro tappe, quattro ore decisive in cui il profeta manifesta la grandezza e la forza di Yhwh.
1. L’ora del giudizio del re Acab (1Re 17,1; 18,18). Il profeta è chiamato a contrastare l’operato del re e a porre ferma resistenza. Elia indirizza la storia di Israele al vero Dio e condanna senza appello i potenti, gli idolatri e gli ingiusti.
2. L’ora del Carmelo (1Re18,20-40). Il monte sacro di Elia diventa lo scenario dell’approvazione divina. Elia si rivela come sacerdote e profeta insieme, conferma che Dio è con lui e che la forza di Israele è Yhwh. Il popolo che confida in Dio diventa popolo dell’alleanza rinnovata, il cui sigillo diventa il sacrificio consumato con il segno delle dodici stele. Lo stesso sacrificio apre la porta alla conversione del cuore e alla proclamazione che «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!» (1Re 18,39).
Il Dio di Elia è il Dio imprevedibile, libero, sovversivo, che odia i prepotenti e predilige i poveri (la vedova di Zarepta, Nabot).
3. L’ora della manifestazione di Dio (dalla debolezza alla manifestazione). Nel deserto Elia impara la grammatica di Dio, che gli parla in segni umilissimi: pane e acqua. Nel deserto Elia accetta il tempo di Dio rinunciando ai suoi tempi: «Con la forza datagli da quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19,8). Elia persevera nel cammino delle notti e dei giorni, secondo quel tempo misterioso significato nel numero 40 (i giorni del diluvio, gli anni dell’esodo d’Israele, i giorni di Gesù nel deserto, il tempo che prepara la sua ascensione al cielo ecc…), tempo che non sta nelle nostre mani, ma unicamente in quelle di Dio.
Il cammino di Elia verso l’Oreb è metafora del pellegrinaggio della purificazione del cuore verso l’esperienza di Dio. Al monte di Dio, l’Oreb, l’Eterno gli si manifesta in un venticello leggero, voce di un silenzio sottile (1Re 19,12: qol demamah daqqah). Il silenzio di Dio è purificativo e perfettivo. Il silenzio si ascolta; così Elia, coprendosi il volto in segno di adorazione e di umiltà, risponde alla voce che chiama.
4. L’ora della glorificazione, il carro di fuoco (2Re 2,11). Alla fine del suo itinerario Elia oltrepassò il Giordano, fiume biblico per eccellenza, e sale sul “carro divino (merkabah)”: è la sua gloria, ma è anche l’intima comunione con l’Eterno.[10] Il pellegrinaggio di Elia finisce al Giordano, la sua geografia visibile finisce presso il luogo dove aveva sostato la carovana dell’Esodo prima di guadare il Giordano ed entrare finalmente nella Terra promessa. Il salire del profeta nei cieli è inizio di un’altra geografia: quella che la tradizione rabbinica e popolare ha colorato di leggende e visioni.
Enoch ed Elia
Nella Bibbia solo Enoch, il patriarca antidiluviano, è salito in cielo (cf. Gen 5,24) rapito da Dio. La riflessione giudaica e cristiana successiva daranno a questi due personaggi la forza e il privilegio di smascherare l’anticristo, l’unto-falso venuto a corrompere l’umanità.
Nell’Apocalisse di Elia, un testo apocrifo del IV secolo d.C., alla fine del testo, al capitolo quinto, si descrive il giudizio finale, il grande combattimento in cui l’avversario, il Falso, lo Spudorato, sarà annientato. Saranno Elia ed Enoch ad annientare definitivamente l’anticristo: «[…] scendono Elia ed Enoch, depongono la carne di questo mondo e assumono la carne dello spirito. Inseguono il Figlio dell’Iniquità e lo uccidono, senza che riesca a proferir parola. In quel giorno egli si scioglierà davanti a loro come il ghiaccio si scioglie col fuoco».[11]
Il profeta Elia godrà di molta simpatia nella cultura popolare giudaica. Le sue gesta e la scomparsa sul carro di fuoco fanno di lui un personaggio “mitico”, un intercessore unico presso il trono dell’Eterno. Attorno alla figura di questo profeta nasceranno molte leggende e racconti che testimoniano la devozione e la vicinanza del popolo al profeta di Dio.
Nella tradizione e nelle leggende giudaiche
Al tempo della siccità, si racconta che Acab, l’infedele, chiese ad Elia in tono di scherno: «Mosè era superiore a Giosuè, vero? E non ha forse detto che Dio non avrebbe fatto piovere su Israele se il popolo avesse adorato gli idoli? Non c’è idolo a cui non ponga omaggi, eppure godiamo di ogni bene e prosperità. Come puoi pensare che, essendo rimaste inascoltate le parole di Mosè, si avverino quelle di Giosuè?». Ed Elia ribattè: «Sia come tu dici! Viva il Signore, Dio d’Israele, dinanzi al quale io sto; “in questi anni non ci sarà rugiada, né pioggia, se non per mio comando”» (1Re 17,1).
La leggenda vuole che Dio non poté fare a meno di esaudire la richiesta di Elia per cui né pioggia, né rugiada bagnarono la terra d’Israele.
Venne la carestia, e il re Acab cercò di vendicarsi sul profeta Elia, il quale fuggì nascondendosi e mangiando di quello che i corvi gli portavano (prendendolo dalla dispensa del pio re Giosafat).
Ma Dio, che ha pietà anche dei malvagi, cercò di convincere Elia a sciogliere il voto seccando il torrente a cui il profeta attingeva l’acqua. Ma dato che Elia era inflessibile, Dio ricorse ad un espediente per causare ad Elia dolore facendo morire il figlio della vedova presso la quale egli abitava e mangiava. Alla morte del figlio, la vedova[12] pensò che il Signore l’avesse abbandonata. Elia chiese a Dio di risuscitare il bambino e Dio lo ebbe in pugno: Dio avrebbe ascoltato la sua preghiera, a patto che il profeta lo sciogliesse dalla promessa della siccità, visto che, per risuscitare un morto, si usa la rugiada, e questo era precluso al Signore fino a quando Elia lo legava all’impegno di non far piovere sulla terra.[13] Il profeta si arrese, ma prima di tutto andò dal re Acab per vincerne l’ostinazione, nonostante la carestia.
Alla fine si arrivò allo scontro tra i profeti di Baal ed Elia sul monte Carmelo: la montagna che si era sempre considerata il posto giusto per l’evento cruciale della storia di Israele, cioè la rivelazione della Legge, fu risarcita con una serie di prodigi di cui fu teatro e che stemperarono la sua delusione per aver dovuto cedere il passo al Sinai.
Il primo miracolo dello scontro tra i profeti di Baal ed Elia fu la scelta dei giovenchi: due gemelli allevati insieme furono presentati ai duellanti e assegnati all’uno e all’altro. Elia non trovò nessuna difficoltà con il suo animale, che fu condotto speditamente all’altare del sacrificio; mentre tutti gli ottocentocinquanta sacerdoti di Baal messi insieme non riuscirono a smovere di un passo il loro animale. Allora Elia convinse l’animale dei sacerdoti di Baal, un toro, a seguire i profeti. L’animale aprì la bocca e disse: “Noi due, il mio gemello ed io, siamo usciti dallo stesso ventre, abbiamo mangiato alla stessa mangiatoia. Ora perché uno di noi è destinato al Signore, a strumento di glorificazione del Nome Impronunciabile, mentre io debbo finire ai Baal solo per fare infuriare il mio Creatore?”. Elia convinse il toro a seguire i sacerdoti di Baal: «così non avranno scuse e tu farai la tua parte nella glorificazione del Signore per la quale sarà usato il mio giovenco».[14] Il toro non volle muoversi e fu così che Elia dovette condurlo ai profeti di Baal.
Per poter approntare tutto, la costruzione dell’altare, lo scavo del canale…, Elia ordinò al sole di fermarsi, come in antico fece Giosuè. «Per Giosuè ti fermasti così da permettere ai figli d’Israele di conquistare i nemici. Fallo dunque anche oggi, non per me e nemmeno per i figli d’Israele, ma per inneggiare al Nome del Signore».[15] E il sole obbedì. Verso sera, Elia chiamò il discepolo Eliseo e gli disse di versare acqua sulle sue mani Qui il miracolo: l’acqua scese giù per le mani fino a colmare il canale. Poi il profeta chiese a Dio di far scendere il fuoco. Disse: «Signore del mondo, mi manderai come araldo alla fine del tempo ma, se le mie parole non si avvereranno oggi, i figli d’Israele non mi presteranno fede in futuro». La sua supplica fu accolta e dal cielo scese un fuoco che divorò tutto sull’altare. Nonostante tutto questo, l’idolatria rimase ancora in Israele, così che Elia cominciò ad accusare Israele al cospetto del Signore, il quale visitò Elia nel crepaccio della montagna in cui era apparso a Mosè, rivelando il proprio volto compassionevole e generoso e dimostrandogli che era meglio difendere Israele che accusarlo.
Dopo circa tre anni, Elia venne traslato in cielo. Ma, prima di salire in cielo, Elia ebbe una discussione con l’angelo della morte che si rifiutava di farlo entrare avendo lui la giurisdizione su tutto il genere umano. Il Signore gli aveva esplicitamente ordinato di far entrare il profeta in cielo da vivo ma l’angelo della morte si lamentava perché questo fatto avrebbe generato proteste in tutti gli esseri umani che non possono sfuggire alla morte. Dopo un duello tra l’angelo della morte ed Elia, il profeta entrò vittorioso in cielo avendo ai suoi piedi l’angelo della morte. Elia vive in cielo in eterno, siede, prende nota delle azioni degli uomini e registra le cronache del mondo.[16]
Elia è anche lo psicopompo, colui che sta all’ingresso del paradiso e indica ai giusti il loro posto lassù, colui che conduce su dal Gheinnam le anime dei peccatori all’approssimarsi del Sabato e le riporta ai loro castighi quando il giorno di riposo sta finendo, ed è sempre Elia che, dopo che hanno espiato i loro peccati, conduce quelle anime al luogo della beatitudine eterna.
Secondo antiche leggende, il profeta Elia introdurrà il Messia nel mondo mettendosi all’opera tre giorni prima.[17]
La venerazione di Elia nel mondo ebraico è grande, ne fanno testo le leggende, le preghiere e la considerazione che sarà Elia ad annunciare il ritorno del Messia. Non solo per l’ebraismo Elia è il difensore dei deboli, dei poveri e del popolo d’Israele. Martin Buber scrisse un’opera teatrale su Elia, nel colloquio tra il profeta e Dio (la Voce), Buber fa dire a Dio nei confronti di Elia: «Sia fatta la tua volontà, Elia, figlio mio. Mio messaggero, corri per la terra tutta. Soccorri l’umanità nel suo travaglio. Sulle ginocchia tue reggi ogni figlio d’Israele che nel mio Patto viene ammesso, e ciò che per lui apprendi, sappi ripetere al suo orecchio. Al punto estremo del dolore, a colui che soffre fatti incontro, rivelagli il mistero del mio essergli accanto. Al sorgere dell’alba del mio giorno, poi, rappacifica i figli con i padri!».
Elia e l’ordine carmelitano
Chi evoca il profeta Elia non può dimenticare che il profeta della parola che brucia è l’ispiratore della spiritualità carmelitana. Il monte Carmelo, scenario mistico e solitario, diventa luogo per temprare lo spirito di preghiera e di ricerca di Dio. Così Elia, Eliseo e gli altri discepoli attraverso la contemplazione e la vita sul Carmelo saranno ispiratori di nuove forme di vita monastica. Il Carmelo è sempre stato conosciuto come luogo particolare e venerabile.
Nelle liste di Tutmosi III, di Ramses II e di Ramses III, il Carmelo è chiamato Rosh qadesh, il capo santo.[18] Su questo monte si sviluppa un’intensa attività religiosa, di forma eremitica che, dai tempi di Elia ad oggi, è stato raccolto dall’ordine che porta il nome del monte: i carmelitani. I monaci del “Carmelo” vantano di avere come loro fondatore Elia profeta.
Nella Rubrica prima, testo con cui iniziano le Costituzioni dell’ordine carmelitano del 1281, leggiamo: «Per rendere testimonianza alla verità, affermiamo che, dal tempo dei profeti Elia ed Eliseo, i quali vissero devotamente sul Monte Carmelo, santi padri del Vecchio e del Nuovo Testamento, come veri amanti della solitudine di quel monte favorevole alla contemplazione delle cose celesti, là, presso la fonte di Elia, vissero lodevolmente in santa penitenza […]».[19]
Successivamente, dopo l’approvazione dell’ordine da parte del patriarca Alberto di Gerusalemme, si sviluppa nella vita carmelitana la devozione mariana legata a quella eliana. I carmelitani costruirono sul monte Carmelo una chiesetta in onore della Vergine Maria, la elessero quale patrona e si chiamarono “frati della beata Maria”. Maria ed Elia diventano come le due colonne di una nuova forma eremitica in Terra Santa.
Nei primi decenni del 1300 il carmelitano John Baconthorpe, nel suo opuscolo Speculum de istitutionis ordinis, tenta di unire per la prima volta la tradizione mariana e quella eliana a quella carmelitana. Considerando i testi del profeta Isaia 7,14 (in cui si annuncia la nascita del bambino dalla vergine) e di Isaia 35,1-2 (il trionfo di Gerusalemme), il nostro autore carmelitano fa della Madonna la signora del monte Carmelo.
Tutta una tradizione patristica legge le gesta dei profeti sul Carmelo in chiave cristologica, così non sarà difficile leggere i testi anche in chiave mariologica. Elia ed Eliseo prefigurarono Cristo, figlio di Maria, e poiché questi abitavano il Carmelo, intitolato alla venerazione della beata Maria, i carmelitani non potevano non portare il titolo della beata Maria.
Nelle rinnovate Costituzioni dell’ordine si dice espressamente dell’importanza della devozione mariana: «Maria è anche ideale e ispirazione per il Secolare. Ella vive la prossimità alle necessità dei fratelli, preoccupandosi di esse Ella, “l’immagine più perfetta della libertà e della liberazione dell’umanità e del cosmo”, aiuta a comprendere il senso della missione. Madre e Sorella, che ci precede nella peregrinazione della fede e nella sequela del Signore Gesù, ci accompagna affinché la imitiamo nella sua vita nascosta in Cristo e impegnata nel servizio degli altri» (Costituzioni art. 30).
Nella storia della spiritualità carmelitana è rimasta celebre l’immagine biblica della nuvoletta. Dalla vetta del Carmelo, il servo di Elia vide salire dal mare una nuvoletta a forma di mano umana che, in poco tempo, portò la pioggia per la terra e il popolo assetati. Mistici ed esegeti, agli albori del cristianesimo, interpretarono quella “nuvoletta” come l’immagine profetica della Madonna che, con l’incarnazione e la nascita di Gesù, avrebbe dato vita e fecondità al mondo. Già nel V secolo Crisippo, prete di Gerusalemme, saluta Maria con questa espressione: «Ave nuvola della pioggia che offre bevanda alle anime dei santi».
L’ordine carmelitano, sotto la custodia di Maria, Sorella e Bellezza del Carmelo[20] di Elia profeta, è chiamato a rinnovare la bellezza e la forza della Scrittura, avendo come modello l’insegnamento forte e zelante del profeta Elia. Non solo, nel solco dell’antica tradizione, i carmelitani, guardando al Carmelo, sono chiamati a rinnovare una fiduciosa e filiale devozione mariana dal segno dello scapolare.
Lo scapolare è essenzialmente un abito. Chi lo riceve viene aggregato o associato in un grado più o meno intimo all’ordine del Carmelo, dedicato al servizio della Madonna per il bene di tutta la Chiesa.[21]
Per l’ordine carmelitano Elia rimane il patrono e l’intercessore per eccellenza. Un’antica leggenda dice che, durante la trasfigurazione al monte Tabor, Elia abbia chiesto a Gesù che l’ordine dei carmelitani rimanga sempre nella Chiesa. L’inno dei primi vespri della solennità del profeta Elia (20 luglio) canta: «[Elia] guida dell’ordine e dei figli, gloria; il sole che rinasce e poi tramonta, la terra, il mare e tutti gli elementi le tue lodi ascoltino ammirati».
[1] E. Boaga, Nello spirito e nella virtù di Elia. Antologia di documenti e sussidi, Roma 1990, 193.
[2] Francesco della Croce, Il monte Carmelo, Milano 1925, 17.
[3] Cromazio di Aquileia, Sermone 25,5, in G. Cuscito (a cura), Cromazio di Aquileia: Catechesi al popolo, Città Nuova, Roma 19892.
[4] Cromazio di Aquileia, Sermone 25,6.
[5] Cf. A. Augustinović, El-Khader e il porfeta Elia, Tipografia Padri Francescani, Gerusalemme 1971, 55-58.
[6] Corano, Sura VI, 85.
[7] Corano, Sura XXXVII, 126-132.
[8] Cf. R. Russo, Elia profeta della passione: compassione e amicizia, Graphe.it, Perugia 2007, 15-16.
[9] Cf. R. Le Déaut, La Nuit pascale. Essai sur la signification de la Pâque juive à partir du Targum d’Exode XII 42, in Analecta Biblica 22, Rome 1963; 1980.
[10] Nel proprio dei carmelitani, l’inno dei primi vespri della liturgia della solennità di sant’.Elia profeta (20 luglio) dice: Su un carro trionfale verso il cielo/ Gli angeli ti portarono alla gloria/ Con ignea quadriga, mentre fulgido/ Di luce redimìto risplendevi.
[11] Apocalisse di Elia 5,32-34 in P. Sacchi (a cura), Apocrifi dell’Antico Testamento, Vol III, Paideia, Brescia1999,154.
[12] La leggenda dice che il figlio della vedova di Zarepta era il futuro profeta Giona. Cf. L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, Vol VI, Adelphi, Milano 2016, 157.
[13] C’è un’altra versione della leggenda che dice che Dio affidò le chiavi della pioggia ad Elia che gliele aveva chieste, e Dio si tenne quelle della “risurrezione dei morti” e la “chiave della nascita”. Quando Elia chiese di avere la prima delle due, il Signore gli fece presente che non era opportuno che il padrone avesse solo una chiave e il servo due. Allora Elia restituì la “chiave della pioggia”. L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, 434.
[14] L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, 158.
[15] L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, 159.
[16] Un’antica leggenda dice che Elia e il Messia trascrivono le buone azioni dell’uomo e Dio appone il suo sigillo. Ogni matrimonio è registrato da Elia e Dio vi appone il suo sigillo. Colui che sposa una donna indegna di lui viene messo ai ceppi da Elia e flagellato da Dio. L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, 437.
[17] Cf. L. Ginzeber, Le leggende degli ebrei, 185.
[18] P. Kaswalder, La terra della promessa: elementi di geografia biblica, Edizioni Terra Santa, Milano 2010, 70.
[19] S. Giordano (a cura), Il Carmelo in Terra Santa, Il messaggero di Gesù Bambino, Arenzano 1995, 34.
[20] Giovanni Paolo II, Messaggio al priore generale dell’ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo in occasione del capitolo generale, 8 settembre 2001.§
[21] Cf. Giovanni Paolo II, Messaggio all’ordine del Carmelo, priore generale dell’ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo in occasione del capitolo generale, 25 marzo 2001.
leggendo qua e la su profezie ed altro, ho compreso che questa che noi crediamo vita, è privazione della vita eterna, mentre quella che noi crediamo morte,..quella è la vita eterna! ho compreso che Abele era il contadino ed offriva le primizie della terra che venivano accettate da Dio, mentre caino era il pecoraio che offriva agnelli scannati e quelli non erano accettati da Dio! quindi leggendo il nuovo testamento, credo che bisogna riscriverlo di sana pianta, poiché c’è scritto che Gesù è resuscitato dopo tre giorni!! inoltre l’antico testamento è lo stesso, sono stati scritti enormi quantità di menzogne sia sulla genesi capitolo 1..Dio da all’uomo il dominio sugli animali…Abramo che offre in sacrificio un agnello ha Dio!! ma state scherzando?! tutta roba da buttare nel caminetto nella speranza che riscaldi i vostri cuori e quelli di tutta l’umanità poiché ormai siamo alla fine! nell’attesa di una vostra cordiali saluti Daniela Wagner