Non faceva mistero di amare la bella vita Miriam di Magdala. Una bassa e tarchiata fortezza, color della terra, fra recondite insenature del lago di Genesaret era il suo piccolo universo parallelo, dove tutte le leggi del giudaismo erano abolite. Un’atmosfera esotica fluttuava fra quelle mura: l’interno addobbato di sete sontuose, pile di cuscini variopinti, crete di Grecia, tappeti d’Oltregiornado, mobilia di cedro ed avorio impreziosita da raffinate suppellettili.
Nell’atrio, abbellito con cascate di fiori e piante mediterranee, troneggiava una vasca ottagonale, degna dei visir d’Egitto, dove le sue nudità parevano tornare al gaudio primevo dell’Eden.
In quel regno, nobilmente stravagante, l’unica legislazione vigente: il desiderio e lo sperpero. Che colpa ne aveva Miriam se suo padre e sua madre, morendo senz’altri parenti, le avevano lasciato ogni avere? Epperò l’estrema comodità di quella vita l’aveva indotta in peccato. Ad ogni alba l’unica cosa a darle pensiero era vincere la quotidiana noia. Allora chiamava a raccolta tutte le sue forze, capeggiate da una straripante fantasia, perché si coalizzassero contro la monotonia dei giorni. E così ruppe tutti i tabù, amava senza più scegliere e bandì dalla sua terra ogni rimpianto e scrupolo.
Sovrana della seduzione, ben presto guadagnò un’ascendente sensuale e una egemonia grandi quanto la sua spietatezza. Non vi fu nessuno che, sedotto, si mostrò libero dalla soave tirannia della sua reggia. Molte braccia l’avevano avuta, quelle stesse che un giorno alzeranno pietre contro di lei. Una vita così a quel tempo e in quelle terre era di fatto impossibile.
All’ennesimo scambio amoroso fra un fariseo e un altro, gli otri dell’accondiscendenza scoppiarono. Con la ferocia di maschi umiliati assoldarono uomini, si recarono all’alba al castello, sfondarono le porte, la presero di forza strappandola all’ultimo amante, la trascinarono sola fino al tempio. Non vollero toccarla loro, i farisei, per non contaminarsi e infrangere la loro vile purità.
Quel mattino, seduto in un angolo del portico di Salomone, Yehoshua predicava ai suoi. Il silenzio intorno a lui e il timbro della sua voce ridava pace al trambusto umano. Uno strattone e giù ai suoi piedi una donna, con i lunghi capelli scompigliati e roridi di lacrime, colta in flagrante adulterio.
«Allora, che ne dici?», reclamavano i farisei vibranti d’euforia.
«Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne così!», ammonivano gli scribi. Per chiunque situazione imbarazzante, eccetto che per loro, tronfi di nera purezza.
Miriam intanto, chino il capo e serrate a pugno le mani, pareva sospirare la scure che potesse recidere al più presto il filo di quell’eterno istante.
Yehoshua, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E il segreto di quei segni fu presto rubato dal primo alito di vento, che, passando, carezzò la fronte della donna e corse in alto.
Che il silenzio gridasse così forte, non l’avevano mai appreso prima d’allora quei cattedratici: «Allora, Rabbì?» – insistevano stizziti.
Levando appena il capo, tenendo fermo e raccolto il corpo virile: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo scriveva per terra.
Ligia la brezza passò, ed ora un bacio diede alla pallida fronde.
A quelle parole caddero veli dalle ebbre pupille. Come umili fili d’erba piegati dal vento, col capo chino sfilarono via, cominciando dai più anziani fino agli ultimi, da chi più grave ne aveva la vergognosa bisaccia.
Sciolta la parata, rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. La Misericordia, caduta ai piedi di lei, amabilmente le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed ella incantata: «Nessuno, Signore».
«Neanch’io ti condanno; corri e non peccare più…».
Sette – dice il vangelo – furono i demoni usciti dalla peccatrice: non v’era vizio che lei non conoscesse.
Si alzò in fretta, tentando di coprirsi con i brandelli dalle vesti e fuggì lontano. E più correva più le entravano dentro le parole di quel giovane Rabbì. Il freddo del vento sul corpo e l’umido della terra sotto i piedi, le dicevano vero quell’incubo fattosi sogno.
Rientrò in casa.
Strano. La leggerezza del suo ambiente domestico d’un colpo le pareva gravosa. Intollerabile la vista di quel talamo, di tutto… Un pianto irrefrenabile la mosse: lacrimae lavant.
Non sappiamo il frammezzo.
I vangeli ci parlano di una donna, che un giorno, all’ora di pranzo, entrò di soppiatto nella casa di un fariseo, dov’era Yehoshua. Dall’uscio, strisciando, raggiunse da terra il Maestro e piangeva. Con lacrime bagnava i suoi piedi virili e li asciugava con i suoi stessi capelli. Li carezzava lievemente, portando le sue labbra giù giù per baciarli.
Poi rotto un vasetto di nardo assai prezioso – sottratto forse alle sue antiche provviste – prese a cospargerli con quell’olio profumato.
Il fariseo, a quella femminile sensualità, pensò fra sé: «Se costui fosse davvero un profeta, saprebbe quale peccatrice lo sta toccando!».
E Yehoshua, rivolgendosi a Kèfa che era con lui: «Simone…».
Ed egli: «Rabbi, di’ pure».
«Sentimi bene. Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?».
Ed egli rispose: «Di certo quello a cui ha condonato di più».
«Esatto, Simone», rispose Yehoshua.
E indicando benevolo la donna rannicchiata ai suoi piedi: «Vedi questa donna? … le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato. Invece a quello a cui si perdona poco, ama poco».
Da allora in poi Miriam non si separerà più da Yehoshua. Si liberò di tutti i suoi beni e unì il ricavato a quello delle altre donne, che seguivano il gruppo dei discepoli.
L’incontro con quel Rabbì itinerante le aveva restituito l’innocenza da sempre cercata. Intorno a lei le amicizie fiorirono: con Susanna, Giovanna, moglie di Cusa, Miriam di Cleofa e le altre, con i dodici e i tanti che seguivano Yehoshua. E poi con loro c’era la Madre, donna d’ineguagliabile umanità.
Molta strada ha dovuto fare Miriam: dall’incredulità alla fede, dalla noia al puro desiderio, dall’isolamento all’amicizia, dalla durezza alle lacrime, dalla Galilea a Gerusalemme. E come dice Giovanni evangelista, era presente fin sotto la croce di Yehoshua, accanto alla madre di lui, a gridare il suo lamento, a vederlo spirare.
Non dormì in quella notte. Le avevano sottratto il suo amato, tutto, lasciandole strazio e lacerazione. Vagava raminga in giro per strade e piazze. Sola e come inebetita dal dolore. Rientrò in casa, per poco.
Non era ancora notte, ma nemmeno già mattino, quando realizzò che non avrebbe più trovato per di lì l’amato del suo cuore, sigillato ormai nel sepolcro. Vi si recò.
Il sole iniziava appena a stagliarsi sul filo dell’orizzonte, quando ella giunse al cimitero. Sgranò, sgomenta, lo sguardo: la grassa pietra tondeggiante, posta proprio ieri sull’imboccatura della tomba, era stata ribaltata!
Veloce come non mai, lasciati cadere gli unguenti, corse ad avvisare Kèfa: «Hanno portato via il Signore! Lo hanno portato via, e non sappiamo dove lo hanno posto!».
Kèfa e Giovanni allora corsero a perdifiato e, giunti, videro come aveva detto loro la donna. E mentre quelli rientravano a casa, ella affranta tornava sui suoi passi, spinta in avanti da un’indicibile forza, come spesso avviene a chi tocca l’estremo del dolore.
Si fermò all’esterno della gola oscura, digiuna anche lei del Signore. Cadendo in ginocchio su se stessa, piangeva Miriam: le lacrime erano l’ultima certezza ancora rimastale.
«Donna, perché piangi?» – soave chiese qualcuno dall’interno del pertugio. Erano due figure giovanili, sedute l’uno a capo l’altro ai piedi della lastra.
Miriam ignara, quasi offuscata dal lungo lamento, rispose: «Hanno portato via il mio Signore, e non so dove lo hanno posto».
Un rumore d’erba dietro di lei. Si voltò.
«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» – un uomo a lei. E Miriam con gli occhi ancora velati di lacrime, pensando fosse il guardiano di ronda, chiese: «Oh signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo».
Ed egli: «Miriam!».
Un risveglio: «Rabbunì!». Saltò senza indugio fra le sue braccia, lo strinse fortemente al petto: «Yehoshua!». E continuava a baciarlo.
Ed egli a lei: «Miriam, non continuare a trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre. Ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Io vado al Padre mio e Padre vostro».
Miriam di Magdala, fece allora come le aveva detto il Signore. Lei, la prima a vedere il Risorto. E di nuovo si compivano le parole del Rabbì: «Le prostitute vi sorpasseranno».
Gianluca De Candia è Privat Dozent presso il Dipartimento di questioni filosofiche fondamentali della teologia dell’Università di Münster e collaboratore del direttore del Dipartimento prof. Klaus Müller. Oltre al presente, ha pubblicato su Settimana News alcuni altri ritratti biblici: I sogni di Yosef (12 dicembre 2017); Miriam, la madre (21 dicembre 2017); Jochanan, detto il Battista (16 febbraio 2018).