Intervista a Paola Arghenini, vicedirettrice della Caritas di Lodi, sul periodo vissuto nel lodigiano come «zona rossa». Testimonianza di una carità che non si ferma nella Chiesa.
Paola, puoi brevemente descrivere le misure adottate dalla direzione della Caritas di Lodi nei servizi per i poveri nelle zone rossa e gialla della diocesi, a seguito dell’epidemia da coronavirus?
Sino a pochi giorni fa la diocesi di Lodi era divisa in zona rossa e zona gialla per coronavirus. Ora, come ben noto, siamo nella stessa zona. La zona rossa comprendeva dieci comuni e diciotto parrocchie, ma non la città di Lodi ove hanno sede le opere per i poveri: mensa e dormitori.
Questi hanno continuato la loro attività con l’adozione delle misure di cautela sanitaria previste dai vari decreti. Senza interruzioni. Per i bisogni alimentari abbiamo dovuto sospendere le somministrazioni dirette in mensa per evitare l’aggregazione di più persone, ma abbiamo fornito pasti da asporto.
Nella zona in precedenza rossa la Caritas di Lodi gestisce due centri di accoglienza straordinaria per migranti richiedenti asilo. I nostri operatori, come gli ospiti, non potevano uscire da là. La continuità dell’ospitalità è stata assicurata, benché la condizione si sia fatta più delicata.
Anche i tre dormitori in Lodi hanno continuato e continuano il loro ancor più prezioso servizio. Certamente si aveva la chiara percezione che un eventuale contagio e sviluppo di malattia in loco avrebbe portato a gravi problemi. Si è valutato il rischio insieme alle autorità.
Nei giorni scorsi uno degli ospiti ha manifestato sintomi influenzali. È stato perciò ospitato singolarmente. È stato fatto il tampone. Non sappiamo ancora. Speriamo sia semplice influenza. In via precauzionale due operatori che ne hanno avuto cura sono ora posti in isolamento.
Fondo diocesano di solidarietà
Abbiamo dovuto chiudere con rammarico il centro diurno per i poveri circolanti nella città perché di fatto centro di aggregazione, di socializzazione e di avvicendamento continuo di persone. In ogni caso, ovunque, sia in zona rossa che in zona gialla, è proseguita la distribuzione dei generi di prima necessità anche con l’assistenza della protezione civile.
Il vescovo Maurizio ci chiede ora con determinazione di attivare e di riattivare il fondo di solidarietà – o fondo anticrisi – in ragione della nuova crisi economica che l’emergenza virus sta riproducendo. Molte attività lavorative sono state sospese. Molti lavoratori sono in attesa della cassa integrazione. Passerà tempo. La diocesi vuol essere pronta.
Il fondo non è stato pensato solo per far fronte a bisogni immediati delle famiglie, ma anche per incoraggiare le prospettive di reimpiego e di ripresa attraverso la formazione. Stiamo già lavorando.
Quali riflessi, non solo operativi, hai colto tra operatori, volontari e persone normalmente frequentanti i vari servizi? Cosa dicono e cosa pensano nella situazione che si è venuta a determinare?
Abbiamo registrato una certa contrazione del numero di volontari nella frequentazione delle opere di carità. Mi sembra naturale. Non si tratta di abbandoni, bensì di sospensioni determinate dal principio di cautela degli stessi volontari che sono tra le persone più esposte per età ai pericoli del contagio. La risposta di tutti è stata una bella risposta.
La carità si fa forte
Come ho visto accadere altre volte in situazioni estreme, le maglie della solidarietà e della carità si sono strette. Tante persone hanno dato il massimo. Anche se in maniere diverse dal solito. La prossimità fisica è stata infatti sconsigliata e persino indicata come potenzialmente dannosa. Ci siamo trovati in una situazione inedita.
Ma ciò non ha ridotto l’attenzione e la premura, diciamo “a distanza”. Gli strumenti elettronici in questo caso hanno aiutato. Tante persone si rivolgono tuttora alla Caritas – col telefono e online – per fare donazioni sia di generi che di denaro. Tante persone si stanno chiedendo che cosa si possa fare per superare le maggiori situazioni di isolamento e di solitudine nel rispetto delle cautele sanitarie.
Il pensiero va specialmente ai malati negli ospedali, ma anche agli anziani nelle case di riposo, ai disabili nei centri e nelle residenze…, ai detenuti. Come Caritas stiamo cercando di raccogliere queste idee, di incoraggiarle e di coordinarle, per quanto possibile.
Questo tempo ci ha costretto a rallentare – pur tra tanto lavoro – un poco il passo dei servizi e quindi di riflettere maggiormente sul senso delle nostre azioni. In seguito sarà possibile una riflessione più approfondita, in termini propriamente ecclesiali e pastorali. Penso che – come sempre nelle situazioni di emergenza – ci siano anche aspetti positivi da cogliere.
Non è venuta meno la vocazione formativa ed educativa della Caritas. Anzi ha avuto nuove opportunità di espressione. Ho visto, ad esempio, crescere l’attenzione da parte dei giovani che sono a casa da scuola ormai da qualche settimana: nei primi giorni erano sorpresi e distratti dall’imprevista vacanza, poi hanno compreso ed ora si stanno rendendo maggiormente disponibili.
Misure giustificate
Hai notizie dirette di persone contagiate tra operatori, volontari, ospiti, italiani e immigrati stranieri? Hai una piccola casistica?
Tra i nostri ospiti, volontari e operatori, non si sono sinora registrati casi di contagio. Ma conosco persone, al di fuori dei nostri ambienti, ospedalizzate. Per quanto mi è dato di capire, il virus è effettivamente contagioso e aggressivo. Ritengo che le misure che sono state prese nel nostro territorio siano giustificate.
Conosco la situazione delle nostre strutture ospedaliere. So che il personale sta lavorando per dodici o quattordici ore al giorno, anche per sostituire colleghi contagiati e posti in quarantena. I nostri giornali hanno narrato storie di dedizione esemplare.
Posso fare io stessa un esempio: i medici volontari che animano l’ambulatorio per non iscritti al servizio sanitario, ora impegnati in turni massacranti in ospedale, sono pronti a riprendere anche presso la Caritas il loro servizio, non appena siano disponibili i presidi sanitari indispensabili e promessi dalle autorità.
L’eucaristia alimenta la vita della Chiesa e senz’altro la carità. Come è stata vissuta l’impossibilità della messa e quali conseguenze vedi?
Sì, i fedeli non possono andare a messa. È avvertita tra noi una mancanza. Tuttavia, mi sembra accettata con serenità. La mia percezione è che non sia soltanto rinuncia e rassegnazione. Altro si sta muovendo.
So che le messe online del vescovo sono piuttosto seguite. E che l’invito al silenzio, alla preghiera, alla riflessione e soprattutto alla attenzione alle vite più fragili – quali segni comunque eucaristici – venga accolto. Nelle parrocchie questa sensazione è aumentata.
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