Nel silenzio assordante dei vescovi ortodossi russi e del loro patriarca sull’invasione militare dell’Ucraina, le poche parole per la pace da parte di quella Chiesa vanno onorate sia in Russia che in Ucraina.
Come ha notato J.-F. Colosimo «per Vladimir Putin la religione serve all’ordine sociale e alla morale familiare. In cambio la Chiesa e il suo patriarca aggiungono un discorso religioso all’ideologia in atto. Ma è uno scambio diseguale, perché Putin resta il capo, mentre Cirillo di comporta come una sorta di ministro del culto e, come ogni ministro di Putin, deve dare prova di sottomissione».
Nell’omelia del 27 febbraio Cirillo ha sottolineato:
«Dio ci scampi dall’attuale situazione in Ucraina, paese che ci è vicino e fratello, e non permetta che le forze del male che hanno sempre combattuto contro l’unità della Chiesa di Rus’ e delle Russie, abbiano il sopravvento. (…) Che il Signore custodisca la Chiesa nell’unità! Che il Signore protegga dalla guerra fratricida i popoli che fanno parte di un unico spazio spirituale (Mondo russo), quello della Chiesa ortodossa russa. Non offriamo alle oscure e ostili potenze esterne l’occasione di irriderci, facendo tutto il possibile per preservare la pace fra i nostri popoli, come anche per proteggere la nostra comune patria storica da ogni aggressione esterna in grado di distruggere l’unità».
Un appello generico mentre le truppe russe entravano in Ucraina, i bombardamenti proseguivano senza interruzione e si incominciavano a contare le vittime sia civili che militari.
Cirillo: la profezia muta
«La Chiesa dovrebbe proclamare la verità. Oggi è necessario chiedersi: cosa succede quando la Chiesa, nella persona del suo rappresentante, abbandona questo coraggio profetico?». La domanda è posta da Sergey Chapnin, ex responsabile della rivista ufficiale del patriarcato e vice-direttore della casa editrice. Figura molto nota a Mosca e allontanata nel 2015 dal circolo ristretto dei fiduciari di Cirillo e del suo vice, il presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato, il metropolita Hilarion.
«Giovedì mattina (24 febbraio – ndr) ci siamo svegliati in un mondo che era diventato diverso. In questo nuovo mondo il Cremlino stava alimentando due guerre contemporaneamente: la prima grande guerra è contro l’Ucraina, la seconda, già avviata da tempo, è contro la Russia. (…) Se l’aggressione contro l’Ucraina è ovvia, l’altra guerra contro la Russia è meno visibile. Arresti, omicidi per motivi politici, tribunali farsa, torture, distruzione di media indipendenti, pressioni su avvocati e attivisti sociali: tutto questo non è un’aperta aggressione militare, eppure è una vera guerra che il Cremlino sta ferocemente e costantemente sviluppando contro il mio popolo. (…) Solo il 24 febbraio 1.700 persone sono messe in stato di detenzione in varie città della Russia. A tutti spetterà il premio dei “campi” russi di Putin».
Non una parola di condanna da parte di Cirillo che si esprime con un linguaggio generico e contorto il cui fine è non nominare la tragedia della guerra in atto.
«E questo dobbiamo dirlo non solo al presente, ma anche del passato. Negli ultimi anni i vescovi della Chiesa ortodossa in Russia, e il patriarca in primo piano, si sono preoccupati di garantire l’ordine ideologico del Cremlino, di sviluppare una cooperazione con le autorità ignorando completamente gli imperativi evangelici, sostituendoli con i cosiddetti “valori tradizionali”. (…) Oggi è chiaro. Il patriarca Cirillo non è disposto a difendere i fedeli dall’aggressivo regime di Putin, né il popolo ucraino, né il popolo russo. La sofferenza umana non appartiene alla sua sfera di interesse. E il diritto del patriarca di Mosca di agire contro le autorità e in difesa dei perseguitati, ingiustamente giudicati, è rimasto solo nei libri di storia. Perdonate la mia ingenua domanda: chi ha bisogno di un simile patriarca?».
La protesta di 300 preti
Sono quasi 300 le firme di diaconi e preti russi (ma nessun vescovo e metropolita) sotto una petizione al patriarca e a tutti quelli da cui dipende la cessazione della guerra fratricida (cf. qui). Scritta all’indomani della domenica liturgica dedicata al giudizio finale (27 febbraio), ricorda a tutti: «Il Giudizio finale attende ogni uomo. Nessun potere terreno, nessun medico, nessuna guardia del corpo ci può far scampare a questo giudizio», soprattutto se gravato dalle maledizioni delle madri degli uccisi. Oltre al delitto di togliere la vita essi lamentano con amarezza il «baratro che i nostri figli e nipoti dovranno superare, in Russia e Ucraina, per tornare a guardarsi come amici, per tornare a stimarsi e a volersi bene».
L’Ucraina è indipendente e ha diritto di decidere il proprio futuro. Non potrà celebrare con coscienza libera la domenica del perdono (7 marzo) chi non chiederà perdono a quanti ha umiliato, insultato, disprezzato e persino ucciso. I sottoscrittori si preoccupano anche per l’incolumità di coloro che in Russia testimoniano per la pace:
«Nessun appello non violento alla pace e alla fine della guerra dovrebbe essere represso con la forza e considerato come violazione della legge. Il comando divino è: “Beati gli operatori di pace”. (…) Chiamiamo tutte le parti in conflitto al dialogo, perché non c’è altra alternativa. Solo la capacità di intendersi con l’altro può dare speranza di una uscita dall’abisso nel quale i nostri paesi sono stati gettati in pochi giorni».
Nessun sostegno agli aggressori in Ucraina
«Come primate della Chiesa ortodossa ucraina – ha scritto il metropolita Onufrio, della chiesa filo-russa il 24 febbraio – mi rivolgo a voi (fedeli) e a tutti i cittadini dell’Ucraina. È esplosa una tragedia. Ahimè la Russia ha cominciato operazioni militari contro l’Ucraina e, in questo fatidico momento, vi esorto a non farvi prendere dal panico, ad essere coraggiosi, a testimoniare l’amore alla patria e reciprocamente. Vi esorto anzitutto ad una preghiera penitenziale per l’Ucraina, per il nostro esercito e il nostro popolo. vi chiedo di dimenticare le liti e le incomprensioni reciproche e di unirci nell’amore a Dio e alla nostra patria».
Contrariamente alle attese russe la dislocazione nel campo nazionale della Chiesa filorussa mette in questione il rapporto diretto sia con Putin che con Cirillo che si è subito preoccupato di esortare ad una particolare preghiera e comprensione verso il primate Onufrio.
Quattro giorni dopo, i vescovi del sinodo di Onufrio scrivono ai fedeli:
«Con afflizione e dolore viviamo l’arrivo della guerra sulla nostra terra ucraina. Siamo stati colpiti da difficili prove. Gli scontri fra le truppe della Federazione russa e le forze armate ucraine continuano su quasi tutto il territorio del paese. Soldati e civili muoiono e il numero dei rifugiati aumenta. La messa in allerta delle armi nucleari rimette seriamente in questione l’esistenza del futuro dell’umanità e del mondo intero. In una situazione così difficile, ci appelliamo a tutti a dare prova di coraggio, a intensificare la preghiera e a unirsi per la difesa della nostra patria. A tutti i nostri difensori vogliamo testimoniare l’onore e la preghiera perché rischiano la propria vita in forma sacrificale e manifestano come si possano realizzare le parole di Gesù: “Non c’è amore più grande che dare la vita per gli altri”. (…) Da parte nostra riaffermiamo che la Chiesa ortodossa ucraina ha sempre sostenuto e sosterrà la sovranità dello stato e l’integrità territoriale dell’Ucraina».
Cinque diocesi e decine di preti hanno deciso di non ricordare più nella liturgia il nome del patriarca Cirillo e la questione dell’autocefalia (concessa da Costantinopoli all’altra Chiesa ortodossa locale, presieduta da Epifanio) si ripropone all’interno della Chiesa filorussa. Un sondaggio a pochi giorni dalla guerra dava alla Chiesa autocefala il 65% dei consensi della popolazione che si qualifica come ortodossa.
Preghiamo!