Dopo la pandemia come si muoverà la diplomazia vaticana? Può sembrare una domanda oziosa con una risposta prevedibile: «Farà quello che ha sempre fatto». Ma il mondo sta cambiando rapidamente rendendo più complicato rispondere.
Può essere utile sovrapporre l’esercizio di una leadership morale espressa da papa Francesco in questo frangente con la dinamica delle potenze mondiali per l’esercizio di una nuova egemonia o per condividerla (in particolare fra Cina e USA) e trarne alcune indicazioni sul lavoro che i nunzi avranno nei 183 paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Leadership morale
Un diplomatico di lungo corso mi diceva: «Senza alcuna sopravvalutazione è difficile negare al comportamento e alle parole di Francesco una riferimento mondiale. Anche per la scarsa affidabilità di molti leader politici attuali».
La pandemia ha rilanciato la domanda di una leadership morale che è costruita dalla qualità delle parole, dalla coerenza dei gesti e dal patrimonio valoriale di riferimento. La scarsa qualità del discorso pubblico, l’occasionalità dei comportamenti e gli interessi di potere economico e politico hanno mostrato l’insufficienza degli esponenti di primo piano a livello mondiale. Per questo, anche se con atteggiamenti molto diversi (dall’indifferenza, alla curiosità, al consenso), il racconto di questi mesi incrocia il magistero del papa.
Cito solo due passaggi dall’omelia per la preghiera sul sagrato della basilica di San Pietro il 27 marzo e uno dal messaggio pasquale del 12 aprile. «”Venuta la sera”. Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante che paralizza ogni cosa al suo passaggio; si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti… Il Signore ci interpella e, in mezzo alla tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare».
La Pasqua «è un altro contagio, che si trasmette da cuore a cuore – perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia. È il contagio della speranza: “Cristo, mia speranza, è risorto!”. Non si tratta di una formula magica, che faccia svanire i problemi. No, la risurrezione di Cristo non è questo. È invece la vittoria dell’amore sulle radici del male, una vittoria che non “scavalca” la sofferenza e la morte, ma l’attraversa aprendo una strada nell’abisso, trasformando il male in bene: marchio esclusivo del potere di Dio».
Dialogare sempre
Difficile pensare che il prossimo incontro con il corpo diplomatico presso la Santa Sede (gennaio 2021) possa essere strutturato sui viaggi compiuti come è successo per quello di quest’anno.
La fitta trama dei 39 viaggi apostolici all’estero fatti dal 2013 (una cinquantina i paesi visitati: 17 in Europa, 11 in America, 7 in Africa, 3 nel Caucaso, 7 in Asia, 4 in Medio Oriente) si è interrotta. Annullato il viaggio a Malta previsto per la fine di maggio, incerto quello atteso in Ungheria per il Congresso eucaristico internazionale (settembre), in forse quelli ipotizzati in Indonesia-Timor-Papua Nuova Guinea e in Montenegro-Grecia-Cipro.
Rimangono attivi tutti i temi centrali del suo magistero che, partendo dal Vangelo e dalla fede ecclesiale, si aprono sulle responsabilità mondiali: migrazioni, pace e guerra, multilateralismo, dialogo interreligioso, riforma di sistema, movimenti popolari e difesa dei poveri. Il riferimento ai migranti, ai poveri e al necessario cambiamento del sistema economico torna fin dall’inizio del suo ministero, mentre l’accento sul multilateralismo (centralità del’ONU, lavoro diplomatico, legami continentali ecc.) intercetta tendenze crescenti più recenti come le propensioni populiste e nazionaliste. «Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale» (discorso al corpo diplomatico 2019).
È soprattutto la preoccupazione per la pace davanti a nuove forme di «guerra a pezzi» e il ruolo delle fedi in merito, a spingerlo in dialoghi non privi di coraggio e di azzardo. I focolai di guerra, dalla Siria allo Yemen, dall’Ucraina alla Libia, al riarmo atomico di Corea del Nord e dell’Iran sono segnali di allarme per la tenuta della pace mondiale. La spinta a tutti i dialoghi di pace tra Israele e Palestina, fra Eritrea ed Etiopia, fra Cuba e USA, in Bolivia come in Venezuela incrociano spesso le appartenenze religiose.
Il dialogo interreligioso è volto a sradicare le pretese giustificazioni di fede nei gesti violenti e aggressivi, ma anche a ricordare il ruolo non sostituibile delle religioni in ordine al mantenimento della pace e della comunione fra i popoli. L’esempio più recente è il documento sulla Fratellanza umana firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi che impegna islam e cristianesimo (erano presenti numerose confessioni cristiane) per un «futuro migliore per l’umanità, un futuro libero dall’odio, dal rancore, dall’estremismo e dal terrorismo, in cui prevalgano i valori della pace, dell’amore e della fratellanza» (messaggio in occasione della prima ricorrenza annuale).
Piattaforma valoriale e scontri dei poteri forti
Il dato unificante dei molti fenomeni “tellurici” è il venir meno della «centralità atlantica» e il confronto (si spera non conflitto militare) in ordine alla nuova egemonia mondiale. I grandi protagonisti sono USA e Cina, ma uno spazio in ordine alla potenza militare va riconosciuto alla Russia e, per il suo significato economico (non ancora politico), all’Europa.
Dai conflitti fra pescherecci nel mar della Cina alla rivendicazione di isolotti disabitati e strategici fra Cina e Giappone, dalla presenza della flotta americana in quei mari, fino allo scontro sempre più evidente fra Cina e i vicini (dal Vietnam al Giappone, alle Filippine), tutto si compone attorno all’impero cinese e alla sorveglianza statunitense.
I conflitti sono diventati duri scontri commerciali, sfide in ordine alle ricerche scientifiche e all’uso della rete mondiale web, rincorsa al riarmo convenzionale, atomico e cibernetico fino al riconoscimento dello spazio come terreno di guerra.
La «piattaforma valoriale» di Francesco ha, in tale contesto, un ruolo minore e marginale. Criticata all’interno dal mondo cattolico tradizionalista americano ed europeo, diffidata dall’esterno da una parte rilevante del mondo neo-protestante che si ispira alla teologia della prosperità e alla destra politica, lontana dagli orientamenti ideologici della presidenza Trump e dei poteri finanziari internazionali, ancora estranea alle grandi masse islamiche come a quelle buddiste e indu, mantiene tuttavia una capacità di riferimento per la sua dimensione internazionale, per la forza argomentativa in un momento in cui le fedi entrano nelle relazioni politiche mondiali e per una collocazione che non si identifica con nessuno dei “poteri forti”. Mantenendo tuttavia con essi una canale di dialogo.
La risposta di Stefen Mnuchin, segretario al tesoro USA a Nancy Pelosi, speaker della Camera («Vede, signora, lei ascolta la voce del papa, io quella del mercato») esprime, ad un tempo, l’assenza e la presenza dell’autorità morale di Francesco nel contesto nord-americano.
La richiesta dell’Iran per una mediazione vaticana per alleviare le sanzioni economiche americane in questa emergenza, l’incontro del ministro degli esteri cinese, Wang Yi, con il corrispettivo vaticano, mons. Paul R. Gallagher (14 febbraio) e il riconoscimento formale cinese dell’aiuto economico della Santa Sede per la pandemia, e i tre incontri con Putin col papa, sono tutti segnali di riconoscimento per la Santa Sede di essere un “luogo” credibile, un interlocutore affidabile. Con un’attenzione specifica all’Europa, pedina fondamentale per contenere le spinte violente degli altri attori.
Per questo, dopo anni di legittime critiche all’ideologia laica di Bruxelles, vi è oggi un sostegno evidente del ruolo dell’Europa. Nel messaggio pasquale già citato si dice: «Dopo la seconda guerra mondiale, questo continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda.
Oggi l’Unione Europea ha davanti a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni».
Libertà religiosa e pace mondiale
La diplomazia internazionale si è progressivamente aggiornata riguardo al ruolo delle fedi nella politica. Non è solo il caso del fondamentalismo islamico e del peso della sharia in molti paesi a maggioranza islamica. C’è la piegatura religiosa di Israele, la dimensione identitaria indu dell’India, il peso dei neo-protestanti in Brasile, il ruolo crescente dell’ortodossia in Russia. Da anni appaiono con sempre maggior frequenza articoli di politica religiosa su Foreign Affairs (USA), la Francia ha attivato un “polo religioni” nel ministero degli esteri, e così hanno fatto Norvegia, Svizzera e Canada. Il “potere dolce” della Santa Sede può essere snobbato dalla tradizione laicista di molte élites ma è stato e sarà utile.
Se la pandemia ha temporaneamente ridotto al minimo il funzionamento degli uffici in Vaticano, compresa la Segreteria di stato, vi sono cambiamenti che anticipano il futuro. La creazione di una “terza sezione” specificatamente dedicata ai nunzi e il cambiamento del curriculum formativo con la richiesta di un anno di attività pastorale per gli alunni dell’Accademia diplomatica nelle Chiese di missione più esposte indicano le due direzioni privilegiate. Da un lato, sintonizzare il personale con la vita reale delle comunità cristiane, compreso lo spostamento a Sud delle loro presenze, e, dall’altro, non perdere la dimensione professionale e “neutrale” che è propria della diplomazia.
In uno studio di Blandine Chelini-Pont sulla diplomazia di papa Francesco si conclude ricordando tutte le opposizioni in atto con queste parole: esse «indeboliscono certo la rivoluzione di Francesco. Ma non possono tuttavia impedire la costatazione che con questo papa si è modificato l’intero asse di rotazione della Chiesa cattolica. Esso è cambiato per tentare di condizionare quello del pianeta» (in Revue internazionale et stratégique, n. 117, 2020).
Più direttamente si tratta di accompagnare i cambiamenti della nuova egemonia mondiale legittimando le attese dei nuovi protagonisti (Cina anzitutto), senza ignorare le ragioni degli altri, mettendo a disposizione un “luogo credibile” di confronto. Con l’intento di salvaguardare la libertà delle fedi e, anzitutto, la pace nel mondo.
Per fortuna non si è perso né sincerità né coerenza, altrimenti… e questo porta a pagare un chiaro prezzo in consensi, che non è l’obiettivo di papa Francesco e non dovrebbe essere quello della Chiesa.
In risposta a Vito Romaniello commercialista.romaniello@gmail.com
Per fortuna il Santo Padre rappresenta la cattolicità, ne indica il cammino.
Oltre ad affermazioni gratuite, quasi slogan slabbrati e abbastanza noiosi, non mi sembra di aver letto nel suo intervento neanche un argomento che illustri l’inaridimento della cattolicità. Sarebbe anche anche interessante che lei spieghi i ai lettori cosa è l’Universalità della Chiesa. E in cosa consiste l’originalità che il papa dovrebbe avere. Interessante che lei conosca su ogni questione la posizione del Pontefice, mi piacerebbe proprio sapere come fa. Certo su alcune cose ci arriviamo tutti. Quando per esempio c’è gente che muore in mezzo al mare ci ricorda dove è Cristo, ma questo è proprio il Vangelo lampante.
Si forma lecitamente il dubbio che gente come lei vorrebbe tirare il papa per l’abito e portarlo a fare dichiarazioni gradite alla sua parte politica.
E ne viene un altro, più pesante: che uno scambi il messaggio più autentico del Vangelo per una ideologia che non è la sua, ma in questo caso suo è il problema. A proposito di faziosità,
Quindi siamo in tanti a farci interrogare dal papa nel tentativo di seguire il Vangelo. Se ne faccia una ragione signor Romaniello.
Tanta gente più interessata al Vangelo che a rivendicazioni faziose, in più affermate col tono di chi pensa di essere il difensore della tradizione e il custode dei valori.
Purtroppo il Santo Padre, avendo scelto di rappresentare una sola parte, ha perso di autorevolezza e di capacità di mediazione.
Su ogni questione già si conosce la posizione del Pontefice.
Questo depotenzia le capacità della Chiesa.
Rende le sue risposte scontate.
Inaridisce la cattolicità che non è più universale ma molto particolare, forse addirittura partitica.
Nessuno ascolterà il Papa, egli non ha nulla di originale da dire.