“Ministeri ordinati” alle donne? Parliamone

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Nel suo blog, Come se non (30 maggio e 2 giugno), A. Grillo, liturgista, professore al Pontificio Ateneo S. Anselmo e a S. Giustina a Padova, ha criticato il segretario della Congregazione della dottrina della fede, mons. L. Ladaria, per il suo articolo apparso su l’Osservatore Romano del 29-30 maggio. In esso il presule riconfermava che l’ordinazione sacerdotale riservata ai maschi era una «verità appartenente al deposito della fede».

Prof. Andrea Grillo, nell’intervento di mons. Ladaria e nelle sue risposte sul blog quali sono le questioni essenziali?

La questione essenziale è il modo di considerare il problema dell’“autorità femminile nella Chiesa”. Il tono di preoccupazione e il linguaggio patinato e “spirituale” lasciano trapelare una grave sottostima della questione e un approccio profondamente inadeguato, direi goffo e quasi irrispettoso. Se fossi una donna mi sentirei offesa.

Invece, il ruolo “autorevole” e “riconoscibile” della donna nella Chiesa richiede un “cambio di paradigma” e una “rivoluzione culturale” – come dice papa Francesco in Veritatis gaudium – ma di ciò, nelle parole di Ladaria, non c’è la minima traccia. E gli argomenti utilizzati si riferiscono a un altro mondo, non a questo. Convincono solo chi vive chiuso in un ufficio, dove circolano, e comandano, solo maschi.

– Una conferma dottrinale, il tono pacato, un profilo modesto (articolo sull’Osservatore Romano). A suo avviso, a cosa risponde l’intervento di mons. Ladaria ?

Non ho avuto la stessa impressione. Il tono non lo definirei affatto pacato: c’è, da capo a fondo, un tono moralistico, di richiamo all’obbedienza a Cristo e alla Chiesa, che è del tutto fuori luogo.

Qui non si tratta di obbedire o meno, ma di comprendere e onorare un grande cambiamento di comprensione e di ruolo della donna nella Chiesa. Si tratta di avviare un processo di comprensione e di discernimento all’interno della Chiesa: questo testo, invece, sta fermo, sulla difensiva, e soprattutto chiede a tutti di star fermi e di rinunciare ad ogni iniziativa. È paralizzato di fronte ad una questione che sembra non voler comprendere. Forse per paura. Forse per la preoccupazione verso gli sviluppi possibili legati all’America Amazzonica che si raduna in Sinodo. Ma, comunque, non è un bel modo di accompagnare un Sinodo, che parlerà anche di donne cui riconoscere autorità. Non si accompagna un Sinodo chiedendo il silenzio.

– Lei dice che il riferimento al concilio di Trento non giustifica le affermazioni di mons. Ladaria. Giustifica forse il contrario, cioè l’ordinazione femminile?

In quel testo, che ritengo piuttosto sorprendente, la citazione del decreto tridentino sulla “comunione sotto le due specie” (Sessione XXI, cap. 2), si riferisce alla “sostanza del sacramento”, rispetto a cui la Chiesa può modificare ciò che sostanza non è. Bene. Quel testo serviva ai padri tridentini per difendere una prassi “diversa” da quella esplicitamente indicata dalle parole di Gesù. E questo è stato possibile.

Ma, nel caso dell’estensione dell’ordinazione ministeriale alla donna, non vi è, come nel caso dell’eucaristia, una parola esplicita di Gesù. Per questo ho segnalato un paradosso: se la citazione del Concilio di Trento ha consentito, alla Chiesa di 500 anni fa, di trovare un margine di libertà per difendere una prassi differente, persino di fronte ad una parola esplicita di Gesù, che dice “prendete e mangiate”, “prendete e bevetene tutti”, a maggior ragione questo dovrebbe valere per l’ordinazione.

Perché la Chiesa non si è sentita vincolata da una parola esplicita del suo Signore e dovrebbe invece sentirsi vincolata dal silenzio di Gesù sull’ordinazione?

– C’è un’assenza rilevante nel testo del segretario, l’Ad tuendam fidem. Non merita una riflessione?

Credo che questa assenza si spieghi proprio con il processo di maturazione che la Chiesa ha compiuto sul modo di “custodire” la fede. Non si custodisce la fede con il silenzio imposto o con le sanzioni al dissenso, ma con l’ascolto della realtà e con l’apertura di processi significativi.

Già dieci anni fa, in occasione dell’infelice gestione del caso Sobrino, Peter Huenermann denunciava la persistenza di un approccio della Congregazione per la dottrina della fede nelle forme dell’Ufficio censorio tipico degli stati moderni del 1500. Anche Cristina Simonelli, in un intervento su il Regno, ha giustamente sottolineato questo aspetto. Credo che il pontificato di Francesco abbia largamente contribuito a questo mutamento di approccio, di cui risente anche il testo di mons. Ladaria.

– Quale spazio per l’ordinazione diaconale delle donne?

Credo che oggi sia del tutto urgente un’elaborazione teologica e magisteriale che assuma la riflessione sul “femminile” come una delle sfide decisiva per l’identità ecclesiale e cattolica del futuro. L’accesso della donna, sia pure graduale, al ministero ordinato, è una tappa inaggirabile del nostro futuro. Darle autorità, ma “al di fuori del ministero ordinato”, sarebbe ipocrisia. D’altra parte, ogni forma di “fuga nella tradizione”, di carattere difensivo e rassicurante, paralizza e marginalizza la tradizione stessa.

Il nuovo profilo che la donna ha assunto progressivamente nell’ultimo secolo non può essere compreso semplicemente con gli strumenti della tradizione. In questo caso, come dice GS 46, dobbiamo saper discernere “alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana”: credo che la prospettiva di un’“ordinazione diaconale” che preveda soggetti non solo maschili, ma anche femminili, sia il passo necessario per riconoscere, anche nella Chiesa cattolica, questa nuova coscienza comune, che ci costringe a cambiare, per conoscere meglio il Vangelo.

Questa a me pare la vera obbedienza in gioco, sul cui ritardo mi pare giusto esprimere una certa preoccupazione. Preoccupante non è il fatto che se ne parli, ma il fatto che si chieda di non parlarne.

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2 Commenti

  1. Angela 15 giugno 2018
  2. Francesco Grisorio 14 giugno 2018

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