Un doppio schiaffo per la Chiesa cattolica in Svizzera: la fondata denuncia contro sei vescovi (quattro in esercizio e due emeriti) di insabbiamento degli abusi e la pubblicazione dello Studio sugli abusi sessuali nella Chiesa svizzera.
Lo Studio è stato presentato a Zurigo il 12 settembre 2023. Dal 1950 ad oggi i casi accertati da abusi sono 1.002; gli abusanti sono 510; gli abusati sono 921. Il termine abuso copre un’area ampia, dai gesti impropri fino alle aggressioni sessuali più gravi e sistematiche. Per il 39% le vittime sono donne, mentre 56% sono maschi (5% senza indicazioni). Per il 74% si tratta di minori (maschi e femmine), per il 14% di adulti (12% senza indicazioni). Gli ambienti e i contesti più favorevoli all’abuso sono la confessione, il servizio all’altare dei bambini e gli ambiti educativi e assistenziali. Le indagini più difficili hanno riguardato i movimenti ecclesiali e le nuove comunità.
Siamo solo all’inizio
Le due responsabili dello Studio, Monica Dommann e Marietta Meier, storiche dell’università di Zurigo, hanno sottolineato che «i casi identificati sono solo la punta dell’iceberg», perché mancano ancora i dati di molti archivi (dello stato, di enti diocesani, scuole, collegi ecc.). «Alla luce dei risultati, presumiamo che solo una piccola percentuale dei casi sia venuta alla luce».
Il documento sottolinea la scarsità dell’uso del diritto penale ecclesiale, la distruzione dei documenti per due diocesi (cosa legalmente prevista), il ricorso a metodi come i trasferimenti e le temporanee esenzioni dal ministero come soluzioni dei casi. Solo negli ultimi due decenni il clima è cambiato e le procedure si sono precisate.
Il gruppo di ricerca (quattro persone oltre alle due responsabili) ha potuto visionare senza grandi ostacoli gli archivi ecclesiastici e sviluppare numerosi colloqui con le vittime e altri interessati. Il loro compito era di presentare una prima documentazione, indicando le fonti disponibili e accessibili, favorendo l’avvio di altre ricerche. Inoltre, dovevano segnalare quali questioni e quali istituzioni coinvolgere, ascoltando e promuovendo le esigenze informative delle vittime, oltre a specificare le difficoltà incontrate.
Convivere col senso di colpa
In conferenza stampa le responsabili dello Studio hanno sottolineato che la ricerca poteva essere fatta già vent’anni fa, apprezzando tuttavia la progressiva finezza delle indagini in merito nel contesto di lingua tedesca.
La responsabile del centro amministrativo della Chiesa (istituto indipendente rispetto ai vescovi), Renata Asal-Steger, ha riconosciuto che «la Chiesa come istituzione ha causato sofferenze indicibili per la cattiva condotta delle persone e per i deficit sistemici», impegnandosi in un necessario cambiamento di cultura. Per il responsabile dei religiosi vi è un colpevole rapporto asimmetrico fra ordine maschili e femminili: «È ovvio che gli istituti di vita religiosa sono parte del problema».
Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Felix Gmür, era presente fra il pubblico, ma non ha parlato. Fra i relatori c’era invece il vescovo di Coira, Joseph Bonnemain. Egli ha detto: «Dobbiamo convivere con questo senso di colpa e assumerci le nostre responsabilità», soprattutto in ordine a un cambio di mentalità. Ha promesso l’attivazione di un ufficio di ascolto e informazione a livello nazionale, come richiesto dalle vittime, la proibizione di procedere alla distruzione dei dati archivistici riguardanti gli abusi, l’affinamento delle procedure di assunzione per gli uffici ecclesiastici e il sostegno alla richiesta di aprire gli archivi della nunziatura e del Vaticano. Ha concluso dicendo: «La generazione futura ha diritto a una Chiesa purificata». «Solo una Chiesa mite ha diritto di esistere».
In diverse domande dei giornalisti è riecheggiata la richiesta di dimissioni dell’episcopato, che però non ha ottenuto risposta. Qualche giorno prima, interrogato in merito, p. Hans Zollner aveva affermato:
«Le dimissioni non significano automaticamente che ci sarà un chiarimento e che il processo proseguirà bene. Tuttavia è necessario assumersi la propria responsabilità, anche se non si è direttamente responsabili di nulla. Vescovi, provinciali e altri leader rappresentano le rispettive istituzioni nella loro storia. Allo stesso tempo, vale quanto segue: nella Chiesa è necessario un cambiamento di struttura e di mentalità. Nemmeno le dimissioni possono portare tutto ciò da un giorno all’altro».
Una parte dello Studio riguarda alcuni casi. Fra questi uno interessa il defunto vescovo Ivo Fürer, stimato pastore di San Gallo. Avrebbe ignorato sistematicamente le denunce verso un suo prete, supportate dalle testimonianze di diverse mamme, in rapporto alla pedofilia dello stesso. L’indagine preliminare canonica non è mai partita e solo il successore ha provveduto ad avviare un procedimento.
Sei vescovi denunciati
Il 10 settembre appare sul Sonntagsblick una lettera che denuncia alcuni preti e sei vescovi di abusi o di insabbiamento degli stessi. La lettera non era destinata alla pubblicazione, ma è stata indirizzata al nunzio apostolico, mons. Martin Krebs, nel maggio scorso.
Il 23 giugno il dicastero dei vescovi ha ordinato l’inchiesta preliminare sui casi, affidando il compito al vescovo di Coira, Joseph Bonnemain, che dovrà chiudere la pratica entro la fine dell’anno. Nella lettera si denuncia un vescovo e tre preti (Losanna, Ginevra e Friburgo) come abusatori e altri cinque vescovi per avere rallentato o oscurato le denunce nei confronti di attori delle violenze. Fra i vescovi ci sono Jean-Marie Lovey, Charles Morerod, Alain de Raemy, Pierre Bürcher e Jaen-Claude Perisset (gli ultimi due sono emeriti). Coinvolto anche il vescovo David Tencer, ex ausiliare di Losanna e ora vescovo a Reykjavik.
Il denunciante è una figura assai credibile. Si tratta di Nicolas Betticher, già portavoce della Conferenza episcopale, cancelliere a Losanna, vicario generale nella stessa diocesi, segretario di nunziatura e ora parroco a Berna. Silenzioso finché la sua lettera non è arrivata ai giornali, ha apprezzato molto lo Studio, sottolineando però la necessità che le pratiche giuridiche canoniche in ordine agli abusatori siano effettivamente messe in opera.
Coinvolgendo anche sé stesso nel clima generale di freno e di silenzio, si è deciso al passo della denuncia perché richiesto espressamente dai documenti del papa. «Ho pensato alle vittime. Sono loro al centro e non i ministri ordinati. Questi hanno fallito. Io stesso, come vicario generale, sono fra questi. Lo riconosco. Ma oggi, a distanza di quindici anni (dalla carica) non posso più accettare che si continui così. Ho numerosi rapporti con le persone interessate. Ancora oggi le vittime constatano regolarmente che le loro segnalazioni restano senza conseguenze per gli abusanti. È molto grave». Esistono strutture già in atto, come le commissioni diocesane, ma si limitano spesso a trasmettere i casi al tribunale civile, come richiesto dalle linee-guida interne, senza ulteriori impegni.
Il fatto e il da farsi
Il vescovo Bonnemain ha espresso il suo dispiacere personale e la conseguente fatica ad accettare il compito affidatogli dalla Santa Sede, sottolineando che la sua non è un’inchiesta. Non sta indagando su nessuno. Si tratta solo di verificare i fatti e di scrivere un rapporto. Ben sapendo che le denunce sono già arrivate al tribunale civile.
«Avrei preferito rifiutare l’incarico da Roma. Per il bene delle vittime e della giustizia, ho accettato. Ora devo farlo, verificando le accuse».
In Svizzera sono attive da diversi anni le commissioni diocesane per gli abusi e il loro coordinamento attraverso una commissione di esperti. Fra le misure già attuate: i candidati agli ordini e alla vita consacrata devono avere referenze, l’estratto del casellario giudiziario, un esame psicologico e un controllo incrociato fra i diversi istituti formativi. Si sono messi in atto modelli di formazione continua, contratti specifici per i dipendenti, controlli più severi per il personale ecclesiastico proveniente dall’estero, l’obbligo alla segnalazione e, eventualmente alla denuncia, alla procura e un colloquio nazionale annuale per tutte le commissioni diocesane.
È facilmente immaginabile l’onda d’urto dei media che già alla presentazione dell’avvio dello Studio si era messa in moto. Meno misurabile, ma certamente più profonda, la sofferenza delle comunità cristiane.
..E aggiungo : il presidente della Conferenza Cattolica in Svizzera è tale Renata Asal Stager, non un vescovo o un cardinale o qualche altro “porporato”. Sarà per quello che c’è una parvenza di “accountability” ?
Se la chiesa italiana cominciasse a fare i conti con gli abusi ! E se non li fa , glieli facesse fare lo stato . In Svizzera parlano di togliere i sussidi statali alle diocesi dei vescovi insabbiatori , noi in Italia diamo alla chiesa Cattolica anche i soldi che non le appettano con il meccanismo truffaldino della “chiesa pigliatutto”. Cosa ci aspettiamo da questi grassi signori , che si autodenuncino ? Loro resistono a qualsiasi commissione indipendente, siamo noi popolo che dovremmo pretendere una commissione indipendente come in tutti gli altri paesi d’Europa !
“Coinvolto anche il vescovo David Tencer, ex ausiliare di Losanna e ora vescovo a Reykjavik”.
Scusate, forse si tratta del vescovo Pierre Bürcher, ex ausiliare di Losanna e ora vescovo emerito di Reykjavik. Mons. David Tencer e l’attuale vescovo di Reykjavik.
Il sig. Augustin Dogaru ha ragione. Si tratta del vescovo Pierre Burcher, che ha chiamato in giudizio il giornale Sonntagsblick per calunnia. Chiedo venia. Aggiungo che il partecipante alla Conferenza episcopale direttamente accusato di abusi è l’abate di Saint-Maurice, Jean Cesar Scarcella, che si è dimesso dall’incarico, con piena disponibilità verso mons. Bonnemain.
Irridemibile.
Ora toccherebbe alla Chiesa italiana fare seriamente i conti con gli abusi e che le coperture che gli abusanti hanno avuto dalla gerarchia. Ma la CEI (mi domando) ha davvero l’intenzione di assumersi tale ineludibile compito oppure preferisce continuare a non fare nulla di concreto per chiarire il passato e riprogettare un presente e un futuro privo di abusi e di cultura della negazione? Forse P. Zollner ha ragione: si tratta di vane speranze senza un cambiamento di strutture, di mentalità e anche (aggiungerei) di persone