
Lucio Fontana: Bozzetto per la porta centrale del Duomo di Milano.
Esattamente 60 anni fa, oggi, si concludeva solennemente il Concilio Vaticano II, seguito poi dal rollback romano. Un ricordo del suo futuro.
Chiudete gli occhi per un attimo. Immaginate un cielo stellato di notte e osservate le luci scintillanti. È come per i sedici documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965). Sono come punti luminosi nel cielo notturno, che anche nel XXI secolo possono servire da orientamento se si sa collegarli in una costellazione. Da questa immagine non è lontano il concetto di costellazione (dal latino stella).
Una “lettura della costellazione”[1] del Concilio Vaticano II consente di stabilire le proprie priorità (opzione di primo ordine), purché si mantenga la tensione con le altre priorità (opzione di secondo ordine). Se si riuscisse a coltivare sinodalmente questa “doppia opzione” tra la propria parte e il grande insieme, ne risulterebbe uno stile di approccio non solo ai testi conciliari, ma anche tra di noi, capace di pluralità e sensibile alle differenze.
La costellazione del Concilio
Al centro del Concilio vi sono quattro costituzioni che possono essere sovrapposte alle dimensioni fondamentali della pastorale ecclesiale: la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, la costituzione sulla rivelazione Dei verbum (Martyria) e la costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes (Diakonia).
Tutti e quattro i testi principali del concilio Vaticano II affondano le loro radici nei cambiamenti preconciliari della pastorale: SC nel movimento liturgico (actuosa participatio), LG nel movimento dei fedeli laici (la Chiesa si risveglia nelle anime), DV nel movimento biblico (réveil évangélique) e GS nel movimento missionario (la Chiesa deve uscire da sé stessa).
Squilibrio teologico. Questo modo di interpretare il Vaticano II attraverso le sue quattro costituzioni era già stato proposto dal Sinodo dei vescovi in occasione dell’anniversario del Concilio nel 1985, ma con un’enfasi diversa da quella che segue.
La formula sintetica con cui questo sinodo speciale, dominato da Joseph Ratzinger, ha sintetizzato il Concilio, presenta infatti uno squilibrio teologico conciliare. Essa riduce il plurale della costellazione dei suoi testi dottrinali a un singolare incentrato sulla liturgia: la Chiesa (LG) – sotto la parola di Dio (DV) – celebra i misteri di Cristo (SC) – per la salvezza del mondo (GS). Il verbo che dà senso a questa formula conciliare si riferisce alla liturgia come attività principale che determina l’essenza della Chiesa (“celebra i misteri di Cristo”).
Chiesa sensibile al mondo. La dinamica del Concilio stesso suggerisce un diverso punto focale: posto nella costituzione pastorale Gaudium et spes[2] .In essa era in discussione la questione pastorale fondamentale del Vaticano II: la Chiesa nel mondo di oggi – che cosa vuol dire?
Un riassunto autentico del Concilio sarebbe quindi: la Chiesa (LG) – a servizio della salvezza del mondo (GS) – attraverso i misteri di Cristo (SC) – sotto la parola di Dio (DV). Questa formula sintetica è confermata nei due testi quadro che, in quanto primi e ultimi documenti approvati dal Concilio, ne rappresentano il punto centrale non solo dal punto di vista storico ma anche sistematico: il Messaggio al mondo (20 ottobre 1962) e la Gaudium et spes (7 dicembre 1965).
Marie-Dominique Chenu, che ha ispirato non solo il suddetto messaggio, ma anche la successiva costituzione pastorale, delinea l’immagine ideale di una Chiesa “sensibile al mondo” in modo nuovo: “Il Concilio dovrà definire il problema della Chiesa […] in base alle dimensioni del mondo […]. Non si deve sottovalutare l’importanza […] della riforma liturgica, della rinascita di comunità veramente cristiane, del rinnovamento dei metodi dell’apostolato e del ripristino della funzione episcopale, che sono tutti giustamente all’ordine del giorno del prossimo Concilio, ma tutte queste questioni importanti trovano la loro luce […] nella visione di un mondo nuovo […]”.[3]
Svolta restaurativa
L’8 dicembre 1965 il Concilio si concluse solennemente, ma già il 9 dicembre iniziò la lotta romana contro il Concilio. Durante il lunghissimo doppio pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1978-2013), questa tendenza acquisì addirittura «egemonia culturale» (A. Gramsci) nella Chiesa universale.
Dopo la breve primavera conciliare sotto Giovanni XXIII e Paolo VI (1958-1978), iniziò un “periodo invernale” (Karl Rahner), che solo sotto i papi Francesco e Leone XIV (2013-oggi) si sta trasformando in un disgelo – e il cui periodo di grande freddo ha influenzato anche il sentimento ecclesiale dell’autore di queste righe.
Come molti altri, anche io ho imparato a distinguere, in una schizo-ecclesiologia cognitivamente dissonante, tra la mia esperienza parrocchiale locale e una politica ecclesiale globale, la cui elaborazione teologica non è ancora nemmeno iniziata.
Nuova evangelizzazione. Un momento chiave in questo passo indietro romano è stato il già citato sinodo speciale per l’anniversario del Concilio nel 1985. Esso stabilì un’interpretazione romana del Vaticano II che, partendo da una lettura negativa del periodo postconciliare, avrebbe dovuto contenere i cambiamenti allora in atto nella Chiesa universale: in riferimento alla liberazione politica (America Latina), all’inculturazione cristiana (Africa), al dialogo interreligioso (Asia) e alla secolarizzazione sociale (Europa, Nord America).
Il 1985 era già iniziato con un colpo di scena nella politica ecclesiastica: il Rapporto sulla fede di Joseph Ratzinger, in cui si parlava di una necessaria “restaurazione”. Al centro di questa contro-riforma c’era l’idea di una nuova evangelizzazione ricristianizzante, che allo stesso tempo rappresentava un manifesto allontanamento dal concetto olistico di evangelizzazione di papa Paolo VI espresso nell’Evangelii nuntiandi’[4]: che iniziava con l’auto-conversione della Chiesa ed era all’insegna della gioiosa sequela di Gesù nell’orizzonte del regno di Dio. Il sinodo speciale romano per l’anniversario del Concilio è sinonimo di conflitti massicci tra le Chiese locali e il centro della Chiesa universale, che hanno interessato tutti gli ambiti del popolo di Dio:
- Vescovi: uno strumento centrale di questa politica ecclesiale restauratrice furono nomine episcopali altamente controverse (compreso un questionario sulla fedeltà a Roma, la contraccezione, l’ordinazione delle donne, il celibato, ecc.). I vescovi sgraditi venivano destituiti dal loro ufficio, come accadde a Jacques Gaillot in Francia nel 1995.
- Preti: si arrivò a una completa riclericalizzazione, che portò persino a norme più severe in materia di abbigliamento. Ai “sacerdoti conciliari” vestiti in modo normale seguirono i “sacerdoti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI” con il colletto romano. Inoltre, nel 1994, l’enciclica Ordinatio sacerdotalis approssimò il divieto dell’ordinazione delle donne a una dottrina infallibile.
- Vita religiosa: anche in questo caso ci furono interventi autorevoli, il più importante dei quali fu la nomina di un nuovo generale dei gesuiti nel 1981. A Roma si puntò soprattutto sui nuovi movimenti spirituali come Comunione e Liberazione o il Neocatecumenato, nonché sul potente Opus Dei, elevato a prelatura personale nel 1982.
- Laici: nella Christifideles laici, Giovanni Paolo II mise in guardia dal «livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale» (23). I ministri ecclesiastici non ordinati, come gli operatori pastorali tedeschi, furono messi al loro posto con l’«Istruzione sui laici» del 1997.
- Teologi: nel 1979 Hans Küng fu privato dell’autorizzazione all’insegnamento, dando inizio a tutta una serie di condanne dottrinali. Nel 1989 oltre 700 professori di teologia di tutto il mondo firmarono la Dichiarazione di Colonia. Nello stesso anno Roma pubblicò una Professio fidei obbligatoria nella tradizione del giuramento antimodernista.
Alle proteste dei teologi seguirono quelle dei laici impegnati. Un esempio fu il Kirchenvolksbegehren austriaco del 1995, che prese forma a partire dallo scandalo degli abusi sessuali che coinvolse l’arcivescovo di Vienna Groër. La successiva scoperta degli abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti in tutto il mondo (e della loro copertura da parte dei vescovi, che hanno protetto i colpevoli invece di proteggere le vittime) ha inaugurato una nuova fase del periodo postconciliare, che ha caratterizzato il pontificato di Benedetto XVI.
Quest’ultimo fu eletto nel 2005 come successore di Giovanni Paolo II perché prometteva la massima continuità nella lotta contro la “dittatura del relativismo”.
Questo pontificato ha raggiunto il suo punto più basso durante la Pasqua dell’Anno Sacerdotale 2010, quando il cardinale decano Angelo Sodano, che aveva già svolto un ruolo ambiguo come nunzio durante le dittature militari di estrema destra in America Latina, ha assicurato al papa in un discorso di solidarietà che le critiche alla Chiesa per i casi di abuso non erano altro che un chiacchiericcio del momento.
Una svolta nella crisi
Anche se papa Benedetto XVI è stato meno indulgente del suo predecessore in materia di abusi sessuali, fu solo il suo successore Francesco ad affrontare realmente le cause sistemiche di questa crisi epocale della Chiesa. Egli individuò nel clericalismo la causa strutturale principale degli abusi e raccomandò la sinodalità come antidoto efficace: abusi, clericalismo e sinodalità sono profondamente interconnessi.
Nel corso di una corrispondente svolta sinodale, papa Francesco ha compiuto diversi cambiamenti di paradigma, allontanandosi dalla linea restauratrice dei suoi predecessori, anche se molti di essi non sono stati sufficientemente incisivi: limitazione del centralismo romano nel senso di una “decentralizzazione salutare”; coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nei processi sinodali (compreso il diritto di voto),; apertura a forme di vita “irregolari” (ad esempio divorziati risposati, omosessuali); rottura con la dottrina sociale classica a favore di un approccio teologico della liberazione (inclusa la riabilitazione di Gustavo Gutièrrez, Leonardo Boff e la canonizzazione di Oscar Romero) e molto altro ancora.
Attraverso il buco della serratura
Quello che ne è seguito, anche per l’ambito pastorale di lingua tedesca, non è tanto un cammino di uscita dalla crisi che la Chiesa stessa aveva prodotto, quanto piuttosto un movimento all’interno di essa che ha prodotto una ulteriore fase di ricezione del Concilio.
L’ampiezza pastorale globale di una Chiesa conciliare aperta sia all’interno che all’esterno non è stata finora quasi recepita dal mainstream cattolico locale.
Se si chiede ai cattolici cosa abbia portato di nuovo il Concilio, essi citeranno soprattutto riforme rivolte all’interno: sono stati installati i cosiddetti “altari rivolti al popolo” e la messa viene celebrata nella lingua nazionale. Oppure: i laici sono stati valorizzati ed è stato istituito un consiglio parrocchiale.
Questa immagine offre uno sguardo microstorico attraverso il buco della serratura nella vita quotidiana di una parrocchia postconciliare:

Fonte: La chiesa e la sua storia. Ai nostri giorni, Milano 1982.
Nell’area europea, la ricezione del Concilio ha consistito principalmente in una riorganizzazione interna della Chiesa (nel senso di liturgia e koinonia), piuttosto che in una missione nel mondo (di diakonia e martyria): il culto costituisce il divenire comunità.
L’attenzione si è concentrata sulle due costituzioni Sacrosanctum concilium e Lumen gentium. Solo con il pontificato di papa Francesco le altre due costituzioni, Gaudium et spes e Dei verbum, sono diventate sempre più centrali – una dinamica estroversa della missione nel mondo che sfida letteralmente la dinamica introversa della raccolta nella Chiesa: il servizio all’uomo come testimonianza di Dio.
Il Concilio ritorna così in Europa con una svolta latinoamericana. Perché una Chiesa in senso conciliare non è solo “a casa dentro”, ma anche “a casa fuori”. Attenzione però: non si tratta affatto di un appello “missionario” nel senso della nuova evangelizzazione, che dovrebbe distrarre dall’urgente necessità di affrontare i problemi sistemici della Chiesa (non dobbiamo ruotare solo intorno a noi stessi).
Fedeltà creativa al Concilio. Piuttosto, vale il paradosso missionario: chi esce all’esterno si trova confrontato con le patologie del proprio interno (“come, sei della Chiesa? Non voglio avere niente a che fare con essa”). Non si può eludere l’auto-conversione della Chiesa come presupposto per una nuova credibilità.
Perché una Chiesa clericale e coloniale, omofoba e misogina, identitaria e autoritaria, è un ostacolo manifesto all’evangelizzazione. Le questioni strutturali riflettono i contenuti della fede, altrimenti non sono conformi al Vangelo. Ciò significa che non deve esserci una “competizione tra vittime” (Regina Ammicht-Quinn) tra gli emarginati dalla società e quelli dalla Chiesa. Pertanto, anche il Cammino sinodale in Germania è in fedeltà creativa al Concilio.
Auto-evangelizzazione. Come già nel concilio Vaticano II, si tratta dell’auto-evangelizzazione della Chiesa nel senso dell’Evangelii nuntiandi, di cui oggi si celebra anche il 50° anniversario.
In definitiva, è come nel caso dei preti operai francesi dopo la II Guerra mondiale che hanno compreso il Vangelo proprio tra quei lavoratori che in realtà volevano convertire alla Chiesa. In breve: i sacerdoti (SC) lasciano l’interno della Chiesa (LG), escono nel mondo (GS) e lì scoprono le tracce di Dio (DV).
La via per arrivarci è indicata da Ad gentes, un altro testo conciliare sulla missione globale della Chiesa: “Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo […].
Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell’avvento del regno di Dio, così anche la Chiesa […] si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti […]. Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell’angoscia della morte” (11-12).
Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.
[1] Cf. Ch. Bauer: Optionen des Konzils? Umrisse einer konstellativen Hermeneutik des Zweiten Vatikanums, in: Zeitschrift für katholische Theologie 134 (2012), 141-162.
[2] Il cardinale romano Brandmüller ha recentemente reagito alle critiche tradizionaliste al Concilio con un argomento tradizionalista (cf. la tesi di dottorato Pastorale Lehrverkündigung di Florian Kolfhaus), che ignora in linea di principio il significato dogmatico della costituzione pastorale: “I documenti veramente importanti, cioè le costituzioni sulla liturgia, sulla Chiesa, sulla Sacra Scrittura, sono duraturi e si inseriscono pienamente nella tradizione ecclesiale. […] È curioso che i tradizionalisti si scaglino proprio contro i testi che, a differenza delle costituzioni citate, hanno il minimo grado di vincolatività e sono solo dichiarazioni. Mi riferisco alla Nostra aetate sugli elementi di verità nelle altre religioni e alla Dignitatis humanae sulla libertà di fede e di coscienza”.
[3] M.-D. Chenu: Vie conciliaire de l’Église et sociologie de la foi, in: Id.: La foi dans l’intelligence. La Parole de dieu II, Parigi 1964, 371–383, 381.
[4] Cf. Ch. Bauer: Vom Lehren zum Hören. Offenbarungsmodelle und Evangelisierungskonzepte im Übergang vom Ersten zum Zweiten Vatikanum, in: J. Knop-M. Seewald (a cura di): Das Erste Vatikanische Konzil. Eine Zwischenbilanz 150 Jahre danach, Darmstadt 2019, 95-116.

Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.




Dalla sua immediata posterità il Concilio assieme ad entusiasmi incondizionati, specialmente degli spettatori e osservatori esterni, ovverosia il resto dei testimoni di (altre) fedi e della società civile, suscitò nel cattolicesimo degli anni Sessanta dell’ ostilità sul nuovo che proponeva nel suggerimento dello “scambio culturale” da verificarsi missionariamente tra le genti nell’articolato quanto attento progetto della loro inculturazione al Cristianesimo. Ciò presupponeva, come fu accolto peraltro subito dalla “Populotum progressio” di Paolo VI, di poco successiva al 1965. l’ sprexzamento e l’ utilizzo di quanto la tecnica e le nuove scienze sociali stavano mettendo a disposizione nell’ Occidente a noi più o meno vicino. A monte della resistenza sono ad oggi riscontrata sia dall’ ecumenismo che dal tentativo di dar vita comunicativa al dialogo interreligioso, assai meno sagacia interpretativa delle Costituzioni dogmatiche riscontrò l’attualità della Nostra Aetate in favore del riconoscimento della pari dignità morale. di tutte le storiche esperienze di fede.
Solo altre due cose vorrei osservare a proposito del cambiamento nella disponibilità nei cfr. del modo di ricezione il teologo Bauer ha rilevato tra il pontificato di Benedetto XVI e quello di papa Francesco dal 2013. Sul problema dell’ infallibilità, che sopra è citata a proposito di una presa di posizione nettamente chiusa nella pregiudiziale opposizione a qualsiasi riconoscimento ditale prerogativa a soggetti di sesso femminile, mi pare durante il papato di s. Giovanni Paolo II (riguardo al non riconoscimento della medesima nel caso del Papa stesso da parte del teologo cattolico H. Kueng, Ratzinger procedette. con l’ estromissione dalla missio, fino alla scomunica).
Sull’identificazione della “Lumen gentium” con la Chiesa e la priorità assoluta data nei primi tempi all’ aspetto liturgico nella vita di fede, ricordo, come del resto l’ A. del testo sottolinea sui diversi foci dell’attenzione religiosa, i continui richiami di Francesco alla necessità di una pratica da parte della. Chiesa che si risolvesse “in uscita” e non nel Tempio, nonché la certa attribuzione a “Lumen gentium” della qualità di titolo cristico, dal primo momento che (dopo il 2015) ho incominciato ad accostare più analiticamente la lettura di tale testo.
Per Lucio: nei primissimi giorni dopo l’elezione di Bergoglio mi è capitato di leggere un testo un po’ apologetico di Davide Semeraro. Confrontava entusiasticamente Bergoglio e la sua apertura al mondo con il senso di assedio di Pio IX.
Lì per lì pensai: non è che Pio IX si sentisse assediato, lo hanno preso a cannonate! Ci immaginiamo che sarebbe successo se Salvini fosse entrato a Santa Marta per occuparla?
in ogni caso Bergoglio ha goduto si di una accoglienza trionfale nei circoli che contano, ma avuto ovviamente anche una forte opposizione interna ed esterna se pur di senso opposto. Ci ricordiamo della faccia corrucciata vicino a Trump?
Ci ricordiamo delle immagini di Francesco nella piazza San Pietro resa deserta dalla Pandemia? Degli inascoltati appelli alla pace tra accuse di putinismo assortite? Delle ultime giornate quando era già sofferente?
Le lune di miele purtroppo o per fortuna durano sempre poco. In una delle ultime interviste (quando credo già fosse emerito) Papa Benedetto disse: la Chiesa non si divide in progressisti o conservatori ma tra missionari o meno e uno dei decreti conciliari meno citati probabilmente è Ad Gentes.
Il Vaticano II ha avuto una preparazione remota e prossima. La fase celebrativa è stata complessa. La fase ricettiva è stata a più riprese. Non parlerei proppriamente di periodo invernale per i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ma quanto un periodo di consolidamento e di decantazione. Penso che siamo nella seconda fase di ricezione del Vaticano II: la prima è stata la fase di Paolo VI e la seconda di Papa Francesco. Papa Francesco ha impresso alla Chiesa nuova forza per iniziare nuovi processi di ricezione sia ad intra che ad extra. La Chiesa Cattolica ha tempi lunghi di ricezione di un grande Concilio come il Vaticano II. Il Vaticano II rientra a pieno titolo tra i grandi Concili della storia come i quattro Concili dell’antichità (Nicea, Costantinopoli I, Efeso e Calcedonia), Lateranense IV, Costanza, Trento e appunto il Vaticano II.
Per i tradizionalisti è consolante pensare che sia tutta “colpa” del Vaticano II; è consolante ma è illusorio: basti pensare che già Hegel (1770-1831) diceva che “”la preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale””. Quindi, la nostra è una crisi che affonda le sue radici in un lontano passato, quantomeno negli ultimi due secoli (non oso immaginare quale sarebbe la situazione attuale se, al tempo del bosone di Higgs, fossimo rimasti fermi al Vaticano I…)
Insomma, la Specola Vaticana è stata fondata nel 1891, del resto il concilio Vaticano II è stato portato avanti da uomini che erano nati prima del Concilio Vaticano II, e incredibile a dirsi, erano sufficientemente preparati e moderni per pensarlo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Specola_Vaticana
Infatti – un nome a caso- Gregorio XVI riteneva, ad esempio, che le le ferrovie fossero una “”manifestazione del diavolo””…
George Lemaitre formulò quella che attualmente è considerata la teoria del Big Bang nel 1927 e fu presidente della Pontificia accademia delle scienze fino al 1960.
https://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Lema%C3%AEtre
Lo sa che la giornata del migrante e del rifugiato è stata istituita nel 1914? Poi magari sui giornali pensano che sia stato Papa Francesco.
https://it.wikipedia.org/wiki/Giornata_mondiale_del_Migrante_e_del_Rifugiato
Quando si parla di continuità nella storia della Chiesa non si parla solo di continuità negativa ma anche di semi di sviluppo che vengono piantati prima del loro frutto. Facciamo che il VatII è stata una felice stagione di raccolto di quanto si era laboriosamente coltivato prima, la stagione attuale non è tempo di raccolto ma di semina, forse addirittura di aratura di campi troppo precipitosamente abbandonati all’incolto..
Lei per esempio conosce la storia di Georges Anawati? Ha mai letto qualche cosa di suo?
https://www.oasiscenter.eu/it/anawati-cambiamo-sguardo-sull-islam
Nato nel 1905, con i suoi studi ha contribuito alla stesura della Nuova Aetate. A volte a sentire certi ultraconciliari pare che nel 1960 si siano aperte in due le volte del cielo e il Concilio sia sceso sulla terra già bello impacchettato.
Il dramma dell’ateismo ateo di De Lubac (padre conciliare anche lui) fu scritto nel 1944 in una Francia occupata dai nazisti e a mio avviso può tranquillamente competere con L’uomo in rivolta di Camus. Forse il Concilio è nato come reazione di un mondo occidentale che aveva conosciuto l’orrore della guerra, della distruzione e della crudeltà umana.
I singoli casi che si possono portare non inficiano la considerazione di fondo e cioè che la Chiesa, negli ultimi secoli, si è sentita una cittadella assediata ed ha, conseguentemente, assunto una atteggiamento di chiusura verso il nuovo, la scienza, “il mondo”; d’altronde è sufficiente leggere qualche libro di storia scritto da cattolici per averne conferma. Il rifiuto del “mondo” non ha però comportato un rifiuto della “mondanità” che, anzi, è continuata fino ai giorni nostri.
Nel 1963 si restituì la liturgia al popolo, con gli eccellenti risultati oggi ben visibili: chiese stracolme e tuttavia insufficienti ad accogliere le masse dei fedeli che accorrono per riappropriarsi del rito, essenzialmente adolescenti e giovani; moltiplicazione dei turni di catechismo in oratori oramai troppo angusti; mesi, anni per riuscire a prenotare un matrimonio in chiesa, centinaia di nuovi seminari e noviziati per accogliere le decine di migliaia di vocazioni sacerdotali e religiose…debbo ammettere che i fatti danno loro ragione!
Noi ridiamo e scherziamo, ma il Concilio ha semplicemente portato avanti l’ottimismo che regnava sotto Pio XII, che dava l’impressione che tutto andasse bene.
Invece le crepe e le fessure erano parecchie, ma non si poteva dirlo
Questo articolo mi sembra esprimere un giudizio su come sia stato vissuto e gestito il post-concilio piuttosto manicheo ( primavera- inverno), contraddicendo proprio quello stile, che l’autore stesso auspica, capace di pluralità e sensibile alle differenze. Non che siano mancate forze che, dopo il Concilio, hanno cercato di ridimensionarlo o addirittura ostacolarlo, ma ci si dovrebbe anche chiedere se, al di là della volontà di restaurazione presente in alcuni ambienti, certe preoccupazioni non fossero fondate. E’ innegabile che in nome del cosiddetto “spirito del Concilio” molti si erano lanciati su posizioni e atteggiamenti inaccettabili. Paolo VI, preoccupato per i pericoli da cui era minacciata la dottrina cattolica, aveva indetto un “anno della fede” e formulando un Credo che riaffermava le verità fondamentali. Gli opposti estremismi si sostengono e alimentano a vicenda ( oggi lo vediamo più che mai all’interno della Chiesa). Riguardo alla preminenza della liturgia, affermata da papa Benedetto, non posso che condividerla. la costituzione conciliare sulla liturgia non è forse stata la prima ad essere promulgata? Come afferma anche il Catechismo della Chiesa cattolica, l’Eucarestia è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” E’ il Signore che convoca il suo popolo, lo istruisce e lo plasma con la sua Parola, ne fa un corpo solo, lo alimenta con la sua stessa vita e quindi lo abilita e lo sollecita anche ad aprirsi al mondo per mettersi al suo servizio. Mettere al primo posto l’impegno nel mondo significa ancora e sempre mettere al primo posto l’agire umano. Sembra che conti di più ciò che noi facciamo per il prossimo che ciò che il Signore ha fatto e fa per noi. Giustamente papa Benedetto affermava che la causa principale dell’attuale crisi della Chiesa in Occidente è il deficit di spiritualità: c’è tanto attivismo, molto si parla, si discute di cambiamenti strutturali, si fanno riunioni, i documenti escono a cascata, ma quale spazio si dà alla Parola da cui lasciarsi trasformare, alla preghiera, ai sacramenti, alla contemplazione? Un’ ultima osservazione: l’articolo sembra quasi fare dell’ironia a proposito della “dittatura del relativismo” fortemente denunciata da papa Benedetto. Ma non è forse una realtà più che evidente? E non è proprio il relativismo, ormai giunto al soggettivismo e all’individualismo estremi, il cancro che devasta la società odierna?
Una lettura doppiamente positiva ed obiettiva, di Bauder, dei 60anni vissuti dalla chieda del Concilio Vaticano II.
Ciò che dispiace l’aver perso alcuni decenni nell’aver bloccato la primavera della chiesa, voluta da papa Giovanni XXIII e portata avanti di Paolo VI, mentre gli altri due successori hanno ibernato l’apertura e il rinnovamento della chiesa; forse non hanno saputo ascoltare il soffio dello Spirito? Mentre papa Francesco ha riportato la ricchezza del Vaticano II, con stile profetico; ora stiamo a vedere il cammino di Leone XIV.
Sia sempre lo Spirito, sempre presente, ascoltato da tutta la chiesa “Popolo di Dio”.