Mircea Eliade sosteneva che ogni mito si fonda sulla «speranza di liberarsi dal peso del “tempo morto”, dal tempo che schiaccia e uccide».[1] Il mito, e più in generale le narrazioni soddisfano, infatti, il bisogno antropologico di fare della propria vita un racconto significativo che sia compreso dell’inizio al suo compimento.
Nel corso del XX e del XXI secolo sono stati prima il cinema e poi la televisione i grandi media che hanno soddisfatto il bisogno collettivo di racconti di immaginazione. Le grandi narrazioni audiovisive contemporanee hanno riflettuto in diversi modi sul rapporto tra l’uomo e il tempo e più in generale sulle situazioni limite dell’uomo: l’amore, la morte, la libertà, che rappresentano anche punti in cui l’incontro con il trascendente diviene di nuovo possibile.[2]
Come reagire all’inevitabile
In questi giorni è al cinema Arrival, film che rilegge la relazione tra tempo ed affettività in una luce nuova. Adattamento cinematografico di Storia della tua vita, racconto di fantascienza di Ted Chiang, il film è diretto da Denis Villeneuve, regista canadese che in poco tempo si è imposto nel mainstream hollywoodiano con alcune pellicole di straordinario valore estetico e narrativo.
Arrival è la prima pellicola a tema fantascientifico di Villeneuve che, pur desideroso di mettere in scena questo genere, non aveva tuttavia mai trovato il soggetto adeguato.[3] A detta dello stesso regista la lettura di Storia della tua vita è stata una rivelazione; e infatti il racconto incrocia molte tematiche già presenti nei suoi precedenti lavori. Come ha dichiarato lo stesso Chiang, il racconto nacque come riflessione «sulla reazione di una persona all’inevitabile» e in effetti le ultime pellicole del cineasta canadese sono attraversate da una evidente tensione escatologica.
Arrival prosegue il discorso iniziato con i precedenti Prisoners e Sicario, e tratta il tema dell’inevitabilità di certe scelte di ordine morale di fronte a casi limite.
La trama
La storia inizia con l’arrivo sulla terra di dodici astronavi, soprannominate «gusci», che vanno a occupare dodici diverse posizioni del globo. In tutto il mondo vengono organizzate squadre di scienziati per entrare in contatto con gli alieni e capire le ragioni della loro venuta. La linguista Louise Banks (Amy Adams) viene scelta per far parte di una squadra creata per comunicare con gli eptapodi (chiamati così per via dei sette arti di cui sono provvisti), nel sito degli Stati Uniti in Montana.
Dopo i primi approcci fallimentari nell’interpretazione del linguaggio alieno, Louise scopre che gli eptapodi possono comunicare attraverso la scrittura, basata su simboli circolari che non hanno corrispondenze con la loro lingua parlata. Louise comincia così a costituire un vocabolario per poter domandare agli alieni il motivo della loro venuta sulla Terra. Ma lo studio della scrittura aliena comincia a provocare cambiamenti in Louise: la donna, infatti, viene sorpresa da ricordi di eventi che non ha ancora vissuto.
Si tratta di flashforward, un mezzo narrativo conosciuto in letteratura come prolessi. Se il flashback è un ricordo del passato, il flashforward è un “ricordo” del futuro, un momento che vivremo, un futuro che diventa presente.[4]
Questo fenomeno è provocato dalla sempre più approfondita conoscenza della scrittura degli eptapodi da parte della donna. Essi si esprimono con logorammi, segni che sono svincolati dal tempo e che veicolano un significato, non un suono.
Controtendenza
Come comprenderà Louise, «gli esseri umani avevano sviluppato una consapevolezza di tipo sequenziale, gli eptapodi di tipo simultaneo. Noi percepivamo gli eventi secondo un ordine, e le relazioni tra loro come di causa ed effetto. Loro percepivano gli eventi tutti insieme, allo stesso tempo, secondo un obiettivo a cui tendevano. Un obiettivo di minimo e di massimo».[5] Quello che Louise comincia a comprendere essere il suo futuro è infatti attraversato da momenti di felicità e conquista ma anche di irrevocabile perdita. Mentre in tutto il mondo la presenza dei gusci suscita disordini e scatena interventi militari, Louise comprende quale sia il dono che gli alieni sono venuti ad offrire al genere umano. Ma non vogliamo qui svelare ulteriori particolari sulla trama.
Arrival è una pellicola fortemente contro tendenza rispetto ai canoni del genere. Nei film e nelle serie TV la conoscenza del futuro è sempre vista come negativa: vedere il futuro significa avere la possibilità di cambiarlo, anche se come spesso succede ogni tentativo di evitarlo conduce alla sua inevitabile realizzazione. Arrival si pone in un orizzonte diverso: la vicenda personale di Louise la conduce a conoscere il meglio e il peggio di quello che l’attenderà, eppure è proprio l’inevitabilità di ciò che l’attende a renderla capace di accettare il proprio presente.
La visione si contrappone a quella tipicamente contemporanea, che da una parte continua a pensare e a elaborare i propri miti in un orizzonte di senso ma che, dall’altra, è poco interessata alla provenienza e alla destinazione, sfociando sull’indeterminato del tempo e della storia.[6] Il film di Villeneuve invece (così come il racconto di Chiang) è una delle riletture più interessanti in tempi recenti sul tema della profezia e ne coglie il senso più autentico e profondo: la speranza.
[1] M. Eliade, Mito e realtà, Borla, Roma 2007, 227.
[2] Cf. J. Daniélou, Miti pagani, mistero cristiano, Edizioni Arkeios, Roma 1995, 13.
[3] Villeneuve sarà anche regista dell’attesissimo sequel di Blade Runner (1982) in uscita a ottobre 2017.
[4] M. Nicoletti, «Il flash forward. il presente che sarà, il futuro che è accaduto», 11 ottobre 2009 (qui).
[5] T. Chiang, Storie della tua vita, Stampa alternativa & Graffiti, Viterbo 2008, 141.
[6] Cf. S. Natoli, Il crollo del mondo. Apocalisse ed escatologia, Morcelliana, Brescia 2009, 56-57.