Pubblichiamo di seguito l’Editoriale firmato da Ludovico Galleni per il n. 2 della rivista Quaerentibus (giugno 2013), un progetto nel quale lo scienziato pisano ha fortemente creduto, accompagnandolo fin dalla nascita (2012), come membro del Consiglio direttivo.
È con grande piacere che accetto l’invito di Lucio Florio a scrivere l’editoriale del secondo numero di Quaerentibus. Come è già stato ricordato, nella presentazione del primo numero, si tratta di una rivista che si occupa dei rapporti tra Scienza e Teologia, pubblicando articoli nelle lingue neolatine. La decisione è stata presa nella consapevolezza che vi è tutto un pubblico importante e anche una ampia categoria di studiosi che non si trova a proprio agio nell’usare come lingua veicolare l’inglese. D’altra parte vi sono temi che riguardano la ricerca teologica e filosofica che non sono facilmente trasferibili in una lingua diversa dalla lingua madre. E del resto si rischia di accentuare la dipendenza dall’inglese, una dipendenza che è ormai praticamente totale per quel che riguarda le scienze sperimentali.
Quaerentibus
Il progetto è partito e il numero uno di Quaerentibus ha ospitato contributi in castigliano, catalano, francese, italiano, portoghese, riprendendo appieno la ricchezza delle lingue neolatine e mostrando, visto l’interesse che ha suscitato, come esse siano facilmente comprensibili dagli esperti delle varie aree linguistiche. E si apre un enorme bacino di studiosi che possono contribuire con studi originali e anche di lettori, che comprende come si vede e come illustreremo, anche aree, quali l’Africa francofona che hanno difficile accesso ai giornali e alle riviste di lingua inglese. Sia chiaro non vogliamo con questo entrare nel dibattito sul colonialismo, ma riteniamo che alcuni eventi collegati al colonialismo, quali una certa unità linguistica, a conti fatti, abbiano avuto una importanza culturale non trascurabile. E questo naturalmente è anche un punto di forza per il castigliano e il portoghese.
In fondo proprio colui che si è battuto per la negritudine e per un visione africana della cultura e della politica, Leopold Sedar Senghor, ha parlato proprio della francofonia come cultura.[1] E Senghor è stato anche colui che ha sviluppato più di ogni altro politico la prospettiva teilhardiana di costruire la Noosfera. E la costruzione della Noosfera, in Senghor, è basata sull’interazione e il dialogo tra culture e non con un’unica cultura che si diffonde a scapito delle altre. Ma le culture, per dialogare, debbono comunicare e le lingue neolatine sono un grande strumento di comunicazione. Ecco perché anche in questo numero presentiamo con piacere un articolo di un filosofo dell’Africa francofona.
Papa Francesco, i poveri, il Concilio
Ma questo numero è particolarmente importante perché si apre con la grande novità di un papa latino americano che con forza ripropone la necessità che la Chiesa sia una Chiesa povera con e per i poveri.
Vuole dunque essere un omaggio a papa Francesco e alle linee di rilancio del Concilio Valicano II che in questi primi giorni di pontificato sembrano riemergere. Ma l’attenzione ai poveri ci interessa per un aspetto particolare: il problema della povertà e quello dell’uscita dalla povertà sono i temi che caratterizzano il contesto in cui ha operato una parte importante della teologia dell’America latina.
Ed è proprio all’interno del recupero delle teologie del contesto che ci vogliamo muovere. Le teologie del contesto nascono nel periodo precedente al Concilio Vaticano II e rappresentano un’importante novità perché aprono alle così dette realtà terrestri: ecco che nascono la teologia del lavoro, la teologia della donna, la teologia dei paesi di missione. Si tratta di teologie del genitivo oggettivo perché il teologo cerca nella sua indagine, basata sulla Bibbia e sul magistero, una collocazione per i problemi posti dall’interfaccia con le realtà del mondo contemporaneo. Ma ben presto, e questo passaggio è decisivo per comprendere il concilio, le teologie del genitivo divengono le teologie del genitivo soggettivo. Sono infatti teologi che vivono concretamente nelle realtà terrestri che si confrontano con la propria esperienza e da lì derivano le capacità ermeneutiche per interpretare il testo sacro e il magistero. Ecco l’importante esperienza dei preti operai, ecco che la teologia della donna diviene una teologia fatta da donne e la teologia del terzo mondo diviene una teologia fatta da teologi dell’allora cosiddetto terzo mondo che si interrogavano sulla loro esperienza quotidiana: da qui nasce la necessità della liberazione e quel momento fondamentale che è stata la teologia della liberazione.
Il contesto latino-americano
E forse il primo importante compito di papa Francesco è aprire la Chiesa istituzionale al riconoscimento dei martiri della America latina, innanzitutto mons. Romero e con lui gli altri martiri come padre Elacuria e i gesuiti del Salvador. Una Chiesa che non riconosce una parte importante dei propri martiri non può essere una Chiesa santa, perché disconosce la fonte stessa della santità cioè il martirio.
Ricordando padre Elacuria occorre anche sottolineare il fatto che papa Francesco sia il primo papa, o ancora meglio, come con maggior correttezza teologica egli stesso preferisce suggerire, il primo vescovo di Roma che proviene dall’ordine dei gesuiti. I gesuiti sono stati parte importante della preparazione del concilio, basti pensare alla scuola tedesca e a Rahner, ma anche a quella francese di Lion-Fourvière (De Lubac, Danielou) dove insieme alla scuola dei domenicani di Le Saulchoir (Congar, Chenu) si mettevano le basi delle teologie del contesto.
Ma dobbiamo naturalmente anche ricordare il forte coinvolgimento nei contesti dell’America latina che partono dalle prime esperienze di evangelizzazione che sono anche esperienze di rispetto, promozione culturale e difesa delle tradizioni degli indigeni, e giungono, come abbiamo detto, fino al coinvolgimento della santità del martirio nella prospettiva della liberazione. Il vescovo di Roma gesuita, ci permette di guardare con speranza alla ripresa del cammino del Concilio e dell’esperienza dell’America latina concretizzatasi nei documenti di Medellin.
Teilhard de Chardin, una risorsa
Tra i gesuiti vi è stato anche Pierre Teilhard de Chardin ed è il confronto con la scienza ed in particolare con l’evoluzione che proprio con Teilhard de Chardin, da problema diviene risorsa. Infatti la teologia del contesto ci spinge alla realtà presente e al nostro compito di rileggere oggi la teologia del contesto nell’ambito delle indagini su scienza e teologia. Il contesto oggi è quello delle scienze dell’evoluzione collegate alla visione della natura che muove verso il futuro. Ma il contesto è anche quello che ci troviamo a vivere in un piccolo pianeta a risorse limitate ed equilibri fragili, e le risorse non sono equamente distribuite.
Ricordando la lezione di Teilhard de Chardin ci auguriamo che colui che fu chiamato il gesuita proibito con papa Francesco divenga definitivamente il gesuita riconosciuto: riconosciuto per il suo importante lavoro sui rapporti tra Scienze e Teologia e per le sue indicazioni sul futuro dell’umanità.[2] Il modello di interazione che abbiamo ricavato dai rapporti tra scienza e fede in Teilhard è a nostro modo di vedere molto utile, anche perché si applica in generale a tutte le riflessioni che cercano di elaborare delle teorie scientifiche anche quelle che poi vengono sbandierate dai nuovi atei come le ipotesi necessarie e uniche dal punto di vista filosofico, per un mondo che guarda alla scienza come fonte importante di conoscenza.
Le argomentazioni dei nuovi atei sembrano coerenti perché apparentemente basate su una presunta oggettività scientifica.[3] In realtà mescolano in maniera confusa la parte scientifica e la parte filosofica delle loro riflessioni che debbono essere confrontate ma con gli strumenti adatti che proprio la disciplina di scienza e teologia va suggerendo. Nel modello, la teologia (come del resto la ateologia, perché in fondo si tratta pur sempre di una riflessione su Dio) ha sempre un compito di suggerimento nella costruzione delle teorie scientifiche che però poi debbono confrontarsi col proprio metodo.
A confronto col nuovo ateismo
Qui per esempio emerge la differenza fondamentale nell’indagine su scienza e teologia tra Monod e Gould, e in generale dei nuovi atei, da una parte e Teilhard de Chardin dall’altra. Gli uni partono da una base metafisica di negazione della necessità di un Dio Creatore, si appoggiano alla affermazione metafisica dell’auto consistenza della materia ed elevano teologicamente il caso a spiegazione ultima , e ne fanno uno strumento interpretativo dei dati scientifici. Come si vede bene nonostante l’affermazione di Gould che scienza e teologia sono magisteri che non si sovrappongono, i nuovi atei, Gould innanzitutto, li sovrappongono in maniera sbagliata proprio dal punto di vista filosofico perché usano uno strumento di cui poi negano l’ esistenza.
In Teilhard de Chardin l’interazione tra scienza e teologia è più facilmente descrivibile e lo porta a ritenere che vi sia una qualche necessità dell’essere pensante nell’economia dell’ universo. Questo lo porta e definire la legge di complessità coscienza che però è una vera e propria legge galileiana perché basata sulle prime osservazioni del paleontologo su materiale raccolto in Francia e poi confermata dalle indagini compiute in Cina.[4]
Ma questa legge ha anche un importante aspetto euristico perché porta Teilhard de Chardin a sviluppare una vera e propria teoria della Biosfera che ci è anche da guida per l’interazione tra uomo e ambiente. Seguendo Teilhard de Chardin, infatti, il contesto è quello di una evoluzione che muove verso al complessità e la coscienza, ma nel rispetto dei parametri della stabilità della Biosfera. Questa è la grande sfida dell’incontro e del dialogo con la scienza, una scienza che ci prospetta i limiti dello sviluppo ma anche le vie per costruire il futuro con due aspetti che devono trovare una giusta sintesi. Da una parte il mantenimento degli equilibri della natura nella consapevolezza che non è possibile uno sviluppo indefinito per tutti e quindi se c’è chi deve migliorare le proprie condizioni di vita, qualcun altro deve accettare di diminuirle tagliando almeno in parte il superfluo. D’altra parte è anche chiara la necessità di continuare il muovere verso il futuro.
L’Evoluzione come contesto
Nella teologia vi è anche la riflessione sul contesto e contesto di oggi è quello dell’evoluzione, evoluzione della materia e della vita che muove verso la complessità e la coscienza ed è la chiave di lettura del muovere verso quella che ci interessa. L’umanità deve muovere verso
il futuro, nella consapevolezza che, lavorando sull’ importante proposta scientifica teilhardiana di studiare l’evoluzione a livello della Biosfera, la Biosfera va verso a complessità mantenendo la stabilità dei parametri che permettono l’evoluzione della vita e la progressiva complessificazione che porta all’uomo.
Come si vede, quindi, qui ci aiuta proprio la sintesi proposta da Teilhard de Chardin su scienza e teologia. Infatti il programma di ricerca scientifico teilhardiano parte dal concetto fondamentale del muovere verso recuperato dalla prospettiva teologica di un universo che dall’alfa della creazione va all’omega della seconda venuta di Cristo, ma che diviene un importante riferimento teorico della biologia: l’evoluzione come muovere verso la complessità e la coscienza rappresentata da quella che come abbiamo appena scritto è una vera e propria legge galileiana, la legge di complessità coscienza. Ma per indagare sulla legge Teilhard deve proporre la biologia come scienza dell’infinitamente complesso e proporre i fenomeni di evoluzione parallela e le canalizzazioni dell’evoluzione come gli aspetti più rilevanti dell’evoluzione studiata a livello di Biosfera.
Oggi seguendo e sviluppando il suo programma di ricerca possiamo affermare che la Biosfera muove verso la complessità e la diversità mantenendo però stabili i parametri fondamentali che permettono il mantenimento della vita sulla terra. Ecco quindi che la teologia del contesto ci dà, lavorando sul rapporto con l’evoluzione, una prospettiva importante: il cammino verso il futuro dell’umanità sulla terra potrà proseguire se e solo se si rispetteranno le leggi generali della Biosfera.
Costruire la Noosfera
Ma vi è anche un’altra prospettiva importante che sempre viene da Teilhard, cioè il fatto che a fianco della Biosfera cioè dell’insieme dei viventi e della parte non vivente che li circonda e con loro interagisce, e delle loro relazioni, esiste anche una Noosfera, l’insieme degli esseri pensanti. Una novità dell’evoluzione che sta oggi lentamente nascendo grazie ai contatti tra le varie componenti della famiglia umana. Ma riprendendo il parallelo con la Biosfera, la Noosfera può crescere solo se si comprende l’esistenza di uno scopo comune. E se per la Biosfera è quello del mantenimento della stabilità, per la Noosfera non è certo il collegamento tramite la rete (l’errore più grave che si possa fare è considerare Teilhard de Chardin il patrono di internet), ma è quello della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. All’interno di questa dichiarazione si possono articolare le varie diversità culturali e religiose, ma solo come atto secondo. Oggi infatti il contesto drammatico con cui si deve confrontare l’umanità è proprio la necessità che tutti gli individui che compongono la famiglia umana prendano coscienza dell’importanza della dichiarazione e si adoperino per farla rispettare.
É all’interno di questi due progetti generale, cioè il mantenimento degli equilibri della Biosfera e della costruzione della Noosfera che si possono muovere i due progetti che il nome di Francesco ci fa venire alla mente: quello dell’essere dalla parte del povero e quello di essere dalla parte della natura, ma non solo nel senso romantico dei buoni sentimenti ma anche di quello concreto delle piste per costruire la Terra. E è su questa strada che il nome di Francesco deve portarci.
E oggi ancora è la prospettiva teilhardiana di costruire la Terra per una umanità pronta per la seconda venuta di Cristo che ci interpella grazie alla ricchezza del dialogo tra scienza e teologia: una terra da costruire che recuperi le prospettive teologiche più importanti nate o comunque sviluppate nell’ambito latino, cioè le teologie del contesto, e quella della liberazione delle varie componenti della famiglia umana, liberazione dalla fame, dall’oppressione, ma anche dall’ansia di profitto e di potere. Occorre dunque giungere ad un riequilibrio all’interno delle varie componenti della famiglia umana affinché non ci sia chi è eccessivamente ricco e chi muore di fame, di stenti o di guerre. Ma tutto questo può avvenire all’interno dei meccanismi della stabilità della Biosfera ricordando come solo una prospettiva di liberazione dalle guerre e dalla fame può permettere il cammino verso il futuro.[5]
Ludovico Galleni (Università di Pisa, Italia)
[1] L. Sedar Senghor, «La francophonie comme culture», in Le Dieu de l’Evolution, Seuil, Paris 1968, 100-113.
[2] Cf. V. D’Ascenzi, Teilhard de Chardin a fronte della globalizzazione, Pardes, Bologna 2006.
[3] L. Galleni, «Teilhard de Chardin: un programma di ricerca in scienza e teologia», in: V. Cresti, L. Galleni e S. Procacci (a cura di), Teilhard de Chardin pensatore universale, Felici, Pisa 2012, 157-172.
[4] L. Galleni, «Pierre Teilhard de Chardin, L’evoluzione come muovere verso. Aspetti fenomenologici ed epistemologici», in Quaerentibus 1(2012), 58-81.
[5] Quando l’uomo scese sulla Luna, Paolo VI, un papa a cui papa Francesco fa spesso riferimento, presentò la discesa sulla Luna come una grande conquista della scienza, ma nella stessa occasione ricordò tutte le guerre in corso e ancora le infinite morti per fame che interpellavano con forza l’umanità. Cf. Paolo VI, Insegnamenti sulla scienza e sulla tecnica, Quaderni dell’Istituto Paolo VI (Brescia) n. 5, Studium, Roma 1986, 91-92.