“Individualismo è un termine recente, originato da un’idea nuova.
I nostri padri non conoscevano che l’egoismo”
Alexis de Tocqueville, Democracy in America (1840)
Lo stato di malessere in cui versa la democrazia liberale europea è sotto gli occhi di tutti. La natura di tale crisi non è definibile in modo univoco. Essa investe infatti ambiti diversi, che non si lasciano agevolmente circoscrivere, per il fatto che l’uno sconfina necessariamente nell’altro: geo-politica, economia, finanza, tecnica, con indubbi risvolti sul piano della vita sociale concreta, dell’etica e della visione antropologica.
Ad accrescere la complessità dei fattori in gioco, vi è poi la doppia prospettiva dalla quale la problematica deve essere osservata: dal punto di vista regionale dei singoli Paesi membri della UE, alle prese con le molteplici e diverse difficoltà interne, e dal punto di vista sovranazionale e sovra-europeo, come minaccia per la tenuta stessa dell’Unione e del suo ruolo sulla mappa mondiale.
Ben lontana dall’essere stata raggiunta infatti non è solo una integrazione delle singole economie europee, come da ultimo il caso-Brexit rivela, ma utopica sembra persino una pur minima coerenza di comportamenti fra i Paesi dell’Eurozona nella messa in opera di politiche comuni, come quelle relative all’accoglienza e ripartizione dei profughi provenienti dal Medio Oriente.
Critica verso il sistema democratico europeo
Ad emergere in maniera sempre più chiara è l’incapacità da parte dei Paesi membri a definirsi praticamente come soggetto plurale e solidale, al modo di una costellazione federale di Stati dove ad essere in gioco non sono solo i singoli interessi regionali, ma anche la solidità dell’intero sistema comunitario.
Non è un caso dunque se nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una impennata della critica verso il sistema democratico europeo nel suo complesso, e questo non solo da parte del dibattito politico in senso stretto, ma anche all’interno della discussione teorica, come la proliferazione di titoli che includono la parola “democrazia” o “Europa” dimostra. Si tratta di studi che, nonostante le differenze disciplinari, convergono nel definire l’attuale regime sovranazionale come insostenibile, contraddittorio, bisognoso di un riassestamento, di una rifondazione, quando non addirittura di un abbandono.
Idealità irraggiungibile
Una delle questioni cruciali riguarda la messa a fuoco del presupposto sul quale si fonda la democrazia; il fatto cioè che la democrazia liberale viva di una forte componente ideale di per sé irraggiungibile, di una distanza congenita fra intenti e realtà concreta, come già Böckenförde negli anni Settanta ha sostenuto in riferimento allo Stato liberale e più recentemente Sartori e Canfora hanno ribadito. La democrazia, in definitiva, promette qualcosa che essa stessa non può realmente mantenere: libertà integrale e uguaglianza sociale, quasi una promessa di coincidenza postsessantottesca fra liberalismo e socialismo. Ora è sull’incidenza che questo orizzonte culturale ha avuto ed ha nella formazione dell’immagine dell’uomo europeo che bisogna riflettere. Si tratta di descrivere l’impatto che la forma democratico-liberale ha avuto sulla coscienza individuale, di misurarne le conseguenze sull’autoimmagine del singolo cittadino europeo, dell’uomo della strada che vive a valle delle effettive dinamiche macropolitiche, ma che ne sarebbe il soggetto protagonista e il destinatario.
Pretese contraddittorie
In questa linea, si deve ad Alexis de Tocqueville il merito di aver preconizzato, già nella prima metà dell’Ottocento, l’influenza straordinaria che la democrazia avrebbe esercitato in maniera capillare sui modi di vita della società civile. Una delle dialettiche che l’autore francese ha messo in luce è la palese contraddizione fra l’insaziabile pretesa di autonomia e di tutela dei propri particolari interessi, da parte dell’homo democraticus, e l’altrettanto contradittoria pretesa di protezione nei confronti dello Stato. Se ogni soggetto del regime democratico è portatore di un’immagine individualistica del potere, di un potere cioè asservito a garantire la soddisfazione dei propri appetiti particolari, ecco che la stessa idea di Politica e di Comunità ne viene compromessa, trascinando nel baratro lo stesso interesse individuale. L’homo democraticus rende così impossibile allo Stato la difesa dei propri pretesi interessi, nel momento in cui egli esige al contempo da esso l’esercizio integrale di un’autorità tutelante. È stato in particolare Massimo Cacciari a richiamare l’attenzione sull’urgenza di ricalibrare oggi il dibattito sulla democrazia nell’ottica aperta da Tocqueville.
Individualisticamente democratico
Sarebbe dunque estremamente parziale guardare alle aporie della democrazia semplicemente come ad una forma politica bisognosa di aggiustamenti. Essa è diventata nel frattempo un intero sentimento di vita, una paradigma spontaneo di autocomprensione e di gestione di se stessi e dell’interazione sociale. In altre parole, la stessa coscienza che l’uomo europeo ha di sé, ciò che chiamiamo l’io, è divenuto “individualisticamente democratico”: ognuno pensa e sente se stesso in modo plurale, si sperimenta portatore di diverse istanze, di tante voci che avanzano pretese fra loro inconciliabili, dove ognuna rivendica diritti, la propria illimitata autonomia e la propria speciale forma di tutela: carriera versus famiglia, privacy versus trasparenza, meritocrazia versus sondaggi di gradimento, mobilità versus sicurezza, umanesimo versus scienza, medicina versus tecnica, diritto della maggioranza versus rispetto di ogni minoranza, tecnologia versus ecologia.
Senza accorgercene, abbiamo così introiettato e reso costume di vita gli assunti della democrazia liberale, iniziando a comprenderci secondo il mito protologico del self made man, sempre necessariamente competitivi, efficienti, occupati ad aumentare le nostre performances, flessibili, in continua innovazione, sempre raggiungibili, inquieti, reverenti verso ogni forma di opinione – obbedienti alla legge del politically correct.
L’illusione liberale che ognuno sia capace di realizzarsi infinitamente come individuo – cosa di per sé impossibile, tanto più se prescinde dal riferimento all’“altro’’ –, ha condotto di fatto ad un sentimento di diffusa precarietà: il rischio è divenuto la cifra della biografia contemporanea e dell’intera società (Risikogesellschaft). Uno stress permanente ne è la conseguenza. È il Nervenleben, già diagnosticato da Simmel, il sintomo dell’inganno che si nasconde dietro l’ideologia liberal-democratica divenuta paradigma interpretativo, forma di vita e processo societario.
Populismi
Una delle più evidenti e istintive reazioni a questo stato di disagio è rintracciabile nella proliferazione di movimenti politici di matrice “populista”, che nutrendosi del malumore generale di fronte alla complessità della situazione storica (con la paura che la sottende) nonché all’irraggiungibilità dell’ideale individualistico, cresce in legittimazione e consenso. La strategia adoperata è sempre la stessa: dar voce all’insostenibilità di un atteggiamento di permanente apertura, proponendo di contro “chiusure”. Si assiste, in tal senso, ad una estrema semplificazione delle problematiche in gioco nell’attuale assetto sociale, cosa che dimostra lo stesso armamentario retorico da essi adottato. Ci si serve infatti di un vocabolario semplice, spicciolo, mirato ad individuare un capro espiatorio esterno (“Euro”, “Europa”, “migrante-terrorista”, “islam”) e a porre in essere un simbolico restringimento topografico (“invasione”, “patria”, “sicurezza”, “legittima difesa”, “confini”, “tradizione”, “casa”, “famiglia”). Tanto sta accadendo non solo nell’Est europeo, ma anche nella Mitteleuropa, come i populismi conservatori di Italia, Austria, Francia, Germania rivelano. E non sembrano sufficienti a rassicurarci le sconfitte elettorali che tali movimenti politici recentemente stanno inanellando in Europa – come è accaduto prima in Austria e poi in Olanda e in Francia.
Crescita tentacolare dell’individualismo
Ciò che è decisivo, infatti è che queste forme di populismo, che vorrebbero rimpiazzare l’ideologia liberal-democratica, ne sono di fatto un prodotto derivato, come il catrame dal petrolio. Non fuoriusciamo dunque dall’analisi di Tocqueville; anzi assistiamo, inermi, ad una crescita tentacolare dell’individualismo, che permea non solo gli ambiti più disparati della vita, ma anche l’intero sistema europeo. Come se essa, l’Europa, fosse una proiezione cartografica in grande scala dell’homo democraticus annunciato da Tocqueville. Se ciò è vero, allora, l’unica scappatoia possibile non può che essere quella di lasciar cadere la forma consolidata dell’individuo e di rimettere invece al centro, davvero al di là di ogni retorica, la realtà precaria e forte della persona. L’homo democraticus non può esistere “al singolare’’, ma per suo stesso statuto è tale solo se coniugato al “plurale”. Non si tratta però di una pluralità ristretta al solo campo dell’io, con le sue molte voci e aspirazioni, ma di una pluralità che insieme riconosca di essere tale proprio di fronte all’altro, con tutta la prosaica e feconda fatica che ciò comporta. L’homo democraticus o sarà persona, nel senso forte del termine, o non sarà affatto.
Gianluca De Candia è borsista della von Humboldt Stiftung presso il Dipartimento di questioni filosofiche fondamentali della teologia dell’Università di Münster e collaboratore del direttore del Dipartimento prof. Klaus Müller. [Il testo è stato pubblicato con il titolo «L’io democratico» sul blog Il Rasoio di Occam il 6.6.2017]