Le edizioni cattoliche “Ares” hanno pubblicato da poco un agile, sintetico e chiaro saggio di Armando Torno su Fëdor Dostoevskij. Nostro fratello – il grande narratore e ben più che narratore di cui Torno ha peraltro curato per Bompiani la ristampa di molti capolavori.
Ho letto con passione quelle introduzioni e molti lavori di Torno, che è un saggista instancabile! e di recente anche un molto amabile Il giovane Mozart a Milano (Hoepli, 2017). Non mi sembra abbia invece scritto molto su Tolstoj (ma ha curato un importante saggio di Lev Sestov che lo riguarda: Saggio introduttivo a Lev Sestov, “Jasnaia Poljana e Astapovo. La filosofia di Tolstoj”), edito da Book Time, che mi incuriosisce molto (e che sto cercando di recuperare) mentre per me, e per tanti che conosco, è sempre esistito e continua a esistere un dilemma “Tolstoj o Dostoevskij?”.
A chi dare la palma delle nostre predilezioni, chi scegliere come una delle nostre guide, pur sempre una delle fondamentali? O meglio: chi ci ha nutrito di più?
Non è, questo, un dilemma da letterati, ma un dilemma che si ripresenta di continuo a chi cerca di ragionare sul senso da dare alla propria esistenza… Dirò francamente che nel mio piccolo, anzi nel mio infimo di lettore e non di filosofo o di esperto, mi sono nutrito di entrambi ma con una netta predilezione, sino a una certa età, per Tolstoj, complice anche l’attenzione dedicata a Tolstoj da Gandhi e Capitini. Senza trascurare troppo quel pessimismo dostoevskiano che ha spinto molti verso derive decisamente nichiliste.
Ancora di recente si è molto discusso, direttamente o meno, delle due visioni e del fallimentare legame Tolstoj-Nietzsche, traducendo il già citato saggio di Lev Šestov su Tolstoj tra Jasnaja Poljana e Astapovo e altri, ancora di Šestov e più “a tema” su Tolstoj, Dostoevskij e Nietzsche, da Aragno (La filosofia della tragedia. Dostoevskij e Nietzsche, 2017) e Castelvecchi (L’idea di bene in Tolstoj e Nietzsche, 2018).
Diciamo, rozzamente, che non si tratta di confronti da poco, di dilemmi da poco. Per essere davvero chiari è forse bene “partire da sé”, come si diceva una volta. La differenza tra due modi di agire nel mondo, di vivere il mondo, mi sembra evidente: c’è chi si arrende al dominio del male nel mondo e finisce nel nichilismo («niente di quel che facciamo serve a niente, di fronte alla radicalità e onnipresenza del male») o nell’idiozia del «tutto va bene e continuerà ad andar bene almeno per me e per noi» e chi invece accetta la sfida, e con gli esempi da Gesù e altri profeti di altre religioni e di altre culture, reagisce al male con la sfida del bene. Come appunto Tolstoj.
Oggi, nei migliori, anche dietro le frivole apparenze dell’accettazione del mondo così com’è, e dunque della complicità con gli orrori attuali e quelli, ben più gravi e probabilmente definitivi, che si preparano, trionfa a ben vedere il messaggio nichilista, e non c’è affatto da illudersi sulla buonafede o la profondità di chi finge di negarlo e s’adatta a vivere alla giornata.
Trionfa Dostoevskij… nonostante gli angelici Alioscia che cercano il bene, vittime sacrificali. È forse il momento, dunque, di riprendere in mano Tolstoj e di farsi confortare e stimolare cercando con lui i modi di una rivolta, che sia com’è stato per lui, fondamentalmente cristiana e nonviolenta.
- Ripreso dalla rivista Confronti.
Per riprendere il commento precedente con cui sono d’accordo, Dostoevskij è un fatalista, piu’ che nichilista, ed è appunto dove il legame con Nietzsche (nichilista attivo scultore dell’Uomo) fallisce. Ho amato profondamente entrambi per ragioni diverse e in anni decisivi per la mia formazione, ad oggi dico Tolstoj anch’io. Bellissimo pezzo, complimenti.
F. M. Dostojevski era pravoslavni, L. N. Tolstoy no
Anche secondo me la sua lettura è molto parziale.. non credo che Dostojevski fosse nichilista, descrive il modo di ragionare dei nichilisti mostrandone tutti i limiti e indicando una strada molto diversa.. la compassione per l’altro, la fede come unico argine al Male..
Non direi proprio che Dostoevskij possa essere considerato o avvicinato ai nichilisti. I suoi personaggi vivono nel dolore e nell’ angoscia ma in questo stato trovano comunque una sorte di rassegnazione positiva o stato d’animo che rassomiglia alla pace (non tutti ovviamente). Dostoevskij ha modificato il mio modo di guardare la realtá e ne sono grato.
Mi sembra una lettura di Dostoevskij piuttosto superficiale, può essere che nei suoi lavori ci sia maggior radicalità rispetto a Tolstoj, ma da qui a definirlo nichilista ci andrei piano. Non sono Sonja Marmeladova o Aleksej i personaggi sui quali cade la simpatia dell’autore?
confronto che non esiste, dosty dice le cose, tipo: il principe si commesse fino alle lacrime…
Ma appunto lo deve dire, non arriva mai, scrivendo, alla commozione, la mette in campo.
Nella morte di ivan ilich, tolstoi, ti fa vivere e ti fa morire.