L’approvazione del disegno di legge Zan alla Camera il 4 novembre scorso ha suscitato preoccupazioni all’interno di un certo mondo cattolico che, attraverso i suoi quotidiani ha mosso varie critiche alla legge, chiedendo delle modifiche nel prossimo passaggio al Senato. Alcune di queste preoccupazioni riguardano la terminologia, in particolare il concetto di “identità di genere”.
Cerchiamo allora di chiarire alcuni aspetti, ascoltando la voce di un’esperta che proviene dallo stesso mondo cattolico.
– Dottoressa Brogliato, nel dibattito, molte diffidenze rispetto a questo tema nascono spesso dalla confusione concettuale intorno a certe nozioni. Può chiarire la terminologia fondamentale per chi vuole addentrarsi nella questione?
I termini fondamentali, da non confondere sono: identità di genere, transessualità, intersessualità, orientamento sessuale, identità sessuale. L’identità di genere corrisponde al genere con cui ci si identifica primariamente (maschio o femmina, ad esempio).
Se tale percezione è in linea con il proprio corpo biologico, si ha un’identità gender conforming (sintonica), altrimenti si possono avere casi di transessualità (disforia di genere), nello spettro che va dall’atipicità di genere alla transessualità in senso proprio.
Essendo il fattore corporeo fondamentale, vanno considerati anche i casi di intersessualità (nel loro spettro), che vanno protetti da discriminazioni.
Infine, nell’identità di genere può rientrare l’orientamento sessuale, se la si vuole intendere come sinonimo di “identità sessuale” (quest’ultima è la sintesi personale di tutti gli aspetti dell’identità connessi alla sessualità e al genere: sesso, orientamento, ruoli interiorizzati…).
– Secondo i detrattoti del ddl Zan, la nozione di “identità di genere” sarebbe opaca, confusa o divisiva. È veramente così?
È divisiva se la si associa forzatamente a una presunta “ideologia”. Non va confusa la scarsa conoscenza di un termine da parte del pubblico con una presunta intrinseca ambiguità del termine stesso che, in questo caso, non vi è.
Il termine è chiaro dal punto di vista clinico e scientifico, e sempre più anche dal punto di vista della giurisprudenza. Non deve quindi spaventare il possibile uso di termini tecnici: spiegandosi, le eventuali contrapposizioni (a volte create in malafede) si possono superare.
È il termine “genere” – preso da solo: è il sistema o ordine/regime, anche simbolico, di organizzazione dell’umano intorno alla differenza sessuale – che rimanda a una più ampia galassia di significati, ma non è questo il termine in questione.
Il testo approvato alla Camera, dopo varie sollecitazioni, definisce ora con chiarezza i termini scientifici, che in ambito clinico sono ampiamente condivisi.
Identità e scelta
– Riprendiamo dunque il concetto: ci potrebbe spiegare ancor più nel dettaglio la nozione di “identità di genere”?
Come ricordato pocanzi, è l’identificazione sessuata di sé che emerge dal proprio percorso esistenziale: si forma nella prima infanzia, matura e si esprime nell’adolescenza e nell’adultità. Una volta emersa va rispettata (in quanto nucleo essenziale di ciascuno) e protetta dalle multiformi violenze di chi non accetta che vi siano identità plurali.
Anche attraverso tutele giuridiche, se nella società non è ancora maturata una mentalità diffusa di accoglienza. Così come vanno tutelate le persone che si trovano in un percorso di definizione della propria identità.
– Tale identità può essere “scelta”, o è in qualche modo innata?
L’identità di genere non si eredita automaticamente con il patrimonio genetico, ma dipende anche dalla strutturazione psicologica che – in tutti – procede secondo complesse dinamiche multilivello e multifattoriali.
Dinamiche precoci che “depositano” una strutturazione (una “coreografia”) psichica, un’identità, che viene “scoperta” (portata a coscienza) in tempi diversi, soggettivamente determinati.
Di certo non è “scelta” come la scelta di un vestito! Essa supera la volontà della persona, sebbene sia poi la persona adulta a doversi riappacificare con la propria identità, e quindi decidere di viverla nel modo più migliore possibile.
– Come si affrontano, clinicamente, i casi in cui l’“identità di genere” non sia ben definita?
Per evitare confusioni, bisogna riferirsi al DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) e ai documenti del WPATH (World Professional Association for Transgender Health) per eventuali aggiornamenti e ampliamenti.
Il DSM permette una comunicazione univoca a livello globale, a prescindere dall’indirizzo psicologico adottato dal terapeuta (cognitivo-comportamentale, gestaltico, sistemico-relazionale…). Come in tutte le questioni scientifiche, l’affinamento concettuale e terminologico è progressivo, ma si ha un quadro teorico già sufficientemente chiaro.
Sono numerosi i sintomi che una persona può manifestare quando vive un disagio, perché per una persona è fondamentale essere centrata nell’identità di genere. In ambito clinico riscontro spesso disturbi depressivi (per deficit d’autostima) fino ad atti suicidi o autolesionistici, d’autoisolamento, fobia sociale, problematiche relazionali.
La non definizione del Sé, del resto, può portare ad attacchi al proprio corpo. Le terapie devono quindi consentire di (e mirare a) ritrovare l’armonia del proprio Sé psico-corporeo.
– Sono state identificate le cause che portano a queste situazioni di disagio rispetto all’identità di genere?
Non c’è una causa unica, e talvolta non è rintracciabile. L’essere umano è molto complesso nello sviluppo della propria identità e la plasticità può riguardare livelli diversi (più o meno profondi). Non bisogna banalizzare e semplificare tale evoluzione.
Indubbiamente, cause e sintomi sono amplificati se manca un contesto familiare o relazionale supportante. È davvero fondamentale ricevere accoglienza incondizionata per quello che si è.
- Beatrice Brogliato è psicologa, psicoterapeuta. Perito presso la Corte d’Appello di Venezia, il Tribunale Civile e Penale di Vicenza e il Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto; docente di Psicologia Familiare e psicoterapeuta per l’Istituto Rezzara (VI); componente dell’équipe diocesana per gli orientamenti: Gender. Una questione da conoscere (Collegamento Pastorale, 2016). Co-autrice del testo L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia, pastorale (Cittadella, 2014); Omosessualità e Sinodo 2015 (MicroMega, 2015).
Sono curioso di capire cosa succederà quando la prima transgender autopercepita chiederà di essere ammessa fra le clarisse.
Tanto basta aspettare poco.