Costituisce offesa alla dignità umana impedire ad una giovane donna rumena – disoccupata, in stato di gravissima indigenza, analfabeta, non beneficiaria di alcun sostegno assistenziale pubblico, già vittima di discriminazione nel Paese di provenienza in ragione della sua appartenenza alla comunità Rom – di chiedere, senza recare alcun disturbo ai passanti, l’elemosina in una pubblica via della città di Ginevra per soddisfare i suoi bisogni primari.
La multa di 500 franchi svizzeri comminatale ai sensi della legge penale del cantone di Ginevra, convertita in una pena detentiva di cinque giorni in carcere a causa del relativo mancato pagamento, contrasta con l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali in quanto determina una inammissibile violazione del diritto alla “vita privata” della cittadina rumena impedendole, con il divieto di chiedere l’elemosina, di procurarsi il necessario per vivere.
Di conseguenza, la Confederazione Svizzera va condannata a versare alla medesima la somma di 1.000 franchi svizzeri (corrispondenti a circa 922 euro) – maggiorata degli interessi di legge – a titolo di risarcimento del danno morale da lei subito per i cinque giorni di detenzione, sanzione sproporzionata rispetto alle misure che, in una società democratica, possono essere adottate per garantire la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza, il benessere economico del paese, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani
È quanto deciso dalla terza sezione della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) con la sentenza emessa il 19 gennaio 2021 sul ricorso n. 14065/2015 (Lacatus c. Svizzera) e discussa nella camera di consiglio del 24 novembre e del 1° dicembre 2020.
La corposa (47 sette pagine!) decisione dei giudici di Strasburgo è di notevole interesse per almeno tre motivi: offre un’istruttiva e aggiornata disamina sulle legislazioni in tema di “mendicità” in vigore nella maggior parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa; richiama alcuni elementi di diritto internazionale; motiva la contrarietà ad un divieto generale della mendicità a prescindere dalle modalità di esercizio.
Elemosinare nei Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa
La sentenza analizza la legislazione adottata da 38 dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa: Albania, Andorra, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Moldavia, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia, Ungheria, Ucraina.
Risulta che solo in nove (Albania, Andorra, Finlandia, Georgia, Grecia, Moldavia, Portogallo, Slovacchia e Ucraina) di questi trentotto Stati membri chiedere l’elemosina non è proibito. Nei restanti ventinove Stati membri esaminati chiedere l’elemosina è proibito o regolamentato a livello di legislazione nazionale o locale.
In dodici Stati membri la mendicità è proibita a livello nazionale: Azerbaigian, Cipro, Croazia, Liechtenstein, Lussemburgo, Montenegro, Ungheria, Polonia, Romania, Regno Unito, San Marino, Turchia. In sei Stati membri (Estonia, Francia, Irlanda, Italia, Serbia, Slovenia) sono, a livello nazionale, proibite unicamente le forme invasive e aggressive di mendicità.
In undici Stati membri la mendicità è proibita a livello locale e con modalità molto diversificate: Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Germania, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Russia, Spagna, Svezia.
Anche le sanzioni previste a carico di chi chiede l’elemosina nei Paesi che la vietano o la regolamentano variano in modo considerevole. Per lo più la mendicità è considerata un comportamento contrario all’ordine e alla tranquillità pubblica. In certi Stati membri il divieto è previsto dal codice penale. In altri casi il divieto è adottato mediante ordinanze o decreti delle municipalità.
Le sanzioni si limitano o a intimare diffide o a comminare multe di importo variabile. Alcuni Stati membri (Ungheria, Cipro, San Marino, Polonia e Croazia) prevedono anche forme di reclusione in carcere. In Ungheria chi chiede l’elemosina può essere costretto a svolgere lavori di pubblica utilità. La Turchia prevede la confisca del denaro ottenuto a titolo di elemosina.
La mendicità nel diritto internazionale
La Corte Europea dei Diritti Umani elenca, poi, nella parte della sentenza che ricostruisce il quadro giuridico della problematica, alcune fonti di diritto internazionale.
Con riferimento alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani adottata il 6 maggio 2005 e ratificata dalla Svizzera il 17 dicembre 2012, viene citato un paragrafo del rapporto approvato l’11 luglio 2019 dal gruppo di esperti che hanno il compito di monitorare l’applicazione della Convenzione (“Rapporto Greta”). In esso si afferma che la criminalizzazione di ogni forma di mendicità potrebbe aggravare la situazione delle persone vulnerabili che vi sono costrette dalle organizzazioni criminali dedite alla tratta di esseri umani.
La raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa 2003 (2012), ad oggetto “I migranti Rom in Europa”, invita chi di competenza a prendere atto che la legislazione e le prassi degli Stati membri, criminalizzando la mendicità, potrebbero aggravare la situazione della popolazione Rom.
Nella Risoluzione 21/11 adottata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in occasione della 21ª sessione del settembre 2012, si invitano gli Stati ad abrogare o a riformare le leggi che criminalizzano la mendicità esercitata in luoghi pubblici.
Già in un rapporto redatto nel 2005 e destinato alla vecchia Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite il relatore ebbe l’occasione di esprimere la propria preoccupazione sulle leggi che criminalizzano i senza tetto o che impediscono a chi non ha di che vivere di chiedere l’elemosina.
In un rapporto in tema di “Povertà estrema e diritti umani” destinato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 4 agosto 2011, la relatrice speciale dichiarò: «Le misure penali o le disposizioni amministrative (in particolare le ordinanze) che considerano illegali il vagabondaggio e la mendicità sono sempre più numerose nei paesi sviluppati o in via di sviluppo… Queste leggi e regolamenti hanno un impatto sproporzionato sulle persone che vivono nella povertà. Quando queste persone non ottengono sostegno e aiuto da parte dello Stato, non possono far altro che chiedere l’elemosina per restare in vita… Il divieto di mendicità o di vagabondaggio costituisce una violazione grave dei principi di eguaglianza e non discriminazione… Esso non fa altro che contribuire a perpetuare prassi sociali discriminatrici nei confronti delle persone più povere e più vulnerabili… Gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie per eliminare ogni forma di discriminazione diretta o indiretta delle persone indigenti».
Analoga condanna, in un rapporto del 2017, da parte della Commissione interamericana dei diritti umani (organo dell’Organizzazione degli Stati Americani che ha sede a Washington): leggi o consuetudini che considerano contrario all’ordine pubblico il chiedere l’elemosina non fanno altro che aggravare la situazione di esclusione e di discriminazione delle persone in stato di indigenza.
Per la Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (organo quasi-giudiziario istituito dalla Carta africana dei diritti umani e dei popoli che ha sede a Banjul, Gambia) l’applicazione di leggi che criminalizzano la mendicità sono causa di stigmatizzazione della povertà, che va contrastata non con sanzioni penali a carico dei mendicanti, ma con misure di carattere socioeconomico.
Le motivazioni della Corte Europea dei Diritti Umani
Secondo la Cedu, il diritto al rispetto della vita privata, tutelato dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ricomprende anche quello di chi, trovandosi in una situazione di estrema indigenza, è costretto a mendicare per procurarsi le risorse necessarie per sopravvivere. Il concetto di «vita privata», infatti, è ampio e non si presta a una definizione esaustiva. Comprende aspetti dell’identità fisica, sociale e psicologica di una persona e, entro certi limiti, il diritto di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani nonché il diritto alla realizzazione personale o all’autodeterminazione.
Nell’esercizio di tale diritto non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Circostanze, queste ultime, che non possono essere invocate allorquando una ragazza di 19 anni, di etnia Rom, disoccupata, analfabeta, appartenente ad una famiglia che versa in stato di povertà assoluta, nell’impossibilità di beneficiare delle provvidenze assistenziali, viene, in base all’articolo 11° della legge penale del cantone di Ginevra, sanzionata con una multa di 500 franchi svizzeri per essere stata colta più volte nell’atteggiamento di chi, con modalità assolutamente rispettose e scevre da ogni forma invasiva o aggressiva, chiede l’elemosina nelle vie della città, limitandosi a porgere ai passanti un bicchiere nel quale chi lo desidera può lasciar cadere qualche moneta.
Il mancato pagamento della multa da parte della ragazza, che ne ha comportato la reclusione per la durata di cinque giorni nel carcere di Champ-Dollon, risulta sproporzionato rispetto ai “beni” che la legge che vieta la mendicità vuole tutelare, come il decoro dell’ambiente e la tranquillità dei passanti e/o di chi esercita una professione di tipo commerciale ovvero ancora la moralità. Nel vietare qualsiasi forma di mendicità, la norma travalica il principio di proporzionalità e deve pertanto essere disattesa per violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
E in Italia?
La disciplina italiana in materia di “accattonaggio” è disciplinata dall’art. 669 bis del codice penale (rubricato “Esercizio molesto dell’accattonaggio”), inserito dall’articolo 21 quater comma 1 della legge 1° dicembre 2018 n. 132.
La norma recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque esercita l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà è punito con la pena dell’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da euro 3.000 a euro 6.000. È sempre disposto il sequestro delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l’illecito o che ne costituiscono il provento».
Il reato contravvenzionale introdotto nel 2018 ricalca l’articolo 670 del codice penale (oggetto di alcuni giudizi di legittimità da parte della Corte Costituzionale) che era stato abrogato dall’articolo 18 della legge 25 giugno 1999. Esso vuole sostanzialmente rendere effettivo il contrasto all’accattonaggio molesto, oggetto di plurime ordinanze sindacali.
La norma trova applicazione qualora il fatto non costituisca più grave reato, come ad esempio la truffa o la violenza privata.
Si noti la variazione linguistica introdotta, sostituendo il termine “mendicità”, presente nella precedete disciplina, con il più dialettale-gergale “accattonaggio”, più denso di connotazioni socioeconomiche, a partire dall’archetipo cinematografico pasoliniano. Più neutra, in un’ottica strettamente giuridica, e più rispettosa della dignità di chi vive in condizioni di povertà, in un’ottica sociale, sarebbe stata una formulazione limitata ad evocare la semplice “richiesta di elemosina”.
L’accattonaggio sanzionato è unicamente quello esercitato:
- con “modalità vessatorie”, ossia attraverso modalità di richiesta di aiuto tali da risolversi in un’alterazione dolorosa o anche solo fastidiosa dell’equilibrio psichico di una persona normale;
- “simulando deformità o malattie”, ossia in un’attività diretta a persuadere con l’inganno il destinatario della richiesta caritatevole. Trattandosi di simulazione, non sono punibili le ipotesi in cui deformità e malattie siano esistenti, seppur esasperate o ostentate con esagerazione. Con riferimento all’interpretazione dei concetti di deformità e malattia, per malattia si intende che nel soggetto si sviluppi un processo patologico – acuto o cronico, localizzato o diffuso – che determini un’apprezzabile menomazione funzionale dell’organismo; per deformazione, invece, si richiede qualsiasi alterazione anatomica che ne turbi la simmetria e che cagioni una sensibile modificazione in peggio dei lineamenti corporei. Ai fini dell’integrazione del reato, la malattia simulata può essere sia fisica che psichica. Gli esempi più comuni sono quelli di chi si finge cieco, sordo o muto, o simula di non poter camminare o di essere mutilato, nascondendo uno o più arti sotto i vestiti;
- “attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti”, ossia con modalità tali da simulare circostanze inesistenti o da dissimulare circostanze esistenti ovvero attraverso un’attività simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso per il vero. Il mezzo fraudolento deve essere usato per destare l’altrui pietà, ossia al fine di indurre altri ad offrire l’elemosina per un sentimento compassionevole suscitato dall’inganno del mendicante.
Va ricordato altresì l’articolo 600 octies del codice penale (rubricato “Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione dell’accattonaggio”) che punisce con la reclusione fino a tre anni le condotte di chiunque si avvalga per mendicare di una persona minore degli anni quattordici, comunque, non imputabile, ovvero permetta che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare. Con la reclusione da uno a tre anni è altresì punito chiunque organizzi l’altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto.
Anche questa norma trova applicazione qualora il fatto non costituisca più grave reato, come, ad esempio, la riduzione in schiavitù e i maltrattamenti contro familiari o conviventi.
Ero abbonato alla vostra rivista alcuni anni fa, poi la chiusura… e oggi mi ritrovo guardando sulla posta elettronica un vostro riferimento con alcuni articoli interessanti. Alla vostra proposta sono interessato. Vi chiedo di farmiavere notizie piu’ precise anche il pagamento. E’ un servizio importante che fate perchè questi sono tempi in cui è difficile trovare delle fonti che alimentano la scelta del Vangelo. Grazie
don Gian Paolo Goggi (Via sorelle Agazzi 3, Rezzato, Brescia)