«Fin dall’inizio della crisi ecclesiale in Ucraina ho sottolineato per iscritto e oralmente che il tempo non è in grado di cicatrizzare le fratture e gli scismi. Al contrario, li approfondisce e li indurisce. La recente decisione del patriarca di Mosca di istituire un esarcato per il continente africano conferma i timori iniziali»: così si esprime in un breve e accorato comunicato l’arcivescovo Anastasio d’Albania, figura stimata nel contesto delle Chiese ortodosse e collocato in un paese sul confine fra mondo slavo e mondo ellenico.
Dopo la spaccatura nella comunità ucraina, si sta avviando quella nelle nuove comunità ortodosse d’Africa, fondate solo da pochi decenni, grazie alle intuizioni pastorali del patriarca di Alessandria, Teodoro (cf. qui).
Gli africani saranno chiamati a conversione da due diversi e opposti patriarcati. Lo scandalo e l’indebolimento della testimonianza ortodossa sono evidenti.
Si tratta di un’evoluzione dolorosa. L’affermazione secondo la quale non ci sarebbe scisma nell’ortodossia, ma un semplice disaccordo è simile alla teoria secondo cui il coronavirus non esiste. «Lo scisma, con le sue diverse mutazioni, è ormai evidente e diventa urgente cercare un rimedio utilizzando il vaccino della tradizione apostolica, cioè la riconciliazione e l’intesa».
Il tempo non risolve nulla
L’arcivescovo richiama il suo Appello per risolvere la polarizzazione ecclesiale del 24 novembre 2019. Di quel testo riprendo i nn. 3 e 6.
«Nella maggior parte delle Chiese ortodosse prevale attualmente un silenzio preoccupante. Le pressioni politiche che traspaiono sui due versanti (russo / bizantino) feriscono l’autorità spirituale della Chiesa ortodossa. La mobilizzazione di persone irresponsabili per insultare coloro che esprimono posizioni diverse, adulando contestualmente i propri sostenitori, avvilisce il dialogo intra-ortodosso e questo in un momento difficile dell’Ortodossia. Alcuni ambiti ecclesiastici si attendono che, poco a poco, tutte le Chiese ortodosse riconosceranno colui che ha ricevuto il tomo (dell’autocefalia).
Tuttavia, anche se alcune Chiese autocefale lo riconosceranno in futuro, un certo numero di altre fra quelle che l’hanno dichiarato, manterranno il loro rifiuto. Il risultato sarà una frammentazione etno-filetista (fra greci e slavi e con coloro che manterranno relazioni armoniose con tutti), che annullerà il carattere multi-etnico e multiculturale dell’Ortodossia, come la sua universalità. Il tempo da solo non corregge automaticamente gli scismi, né li cicatrizza. Al contrario, li consolida e li approfondisce».
«Le soluzioni ci sono. Dio ci illuminerà per trovarle. Evidentemente le soluzioni non verranno raggiunte con lo scambio di testi provocatori e minacciosi, né da interventi esterni alla Chiesa. E non è possibile che esse si impongano unilateralmente e automaticamente con il tempo. Ogni ritardo aggrava una situazione già dolorosa. E se, in fin dei conti e in avvenire, una qualche soluzione arrivasse, nel frattempo si sarebbero già accumulate, nella storia ortodossa, numerose pagine sgradevoli. Il fondamentale principio di conciliarità, su cui si appoggia il cammino secolare della Chiesa ortodossa è il solo che, alla fine dei conti, può aprire una via d’uscita all’attuale crisi.
Radunati nello Spirito Santo, nel rispetto reciproco e avendo come fine esclusivo quello di trovare una regolamentazione pacifica, abbiamo la possibilità di arrivare a una soluzione accettabile per tutta la Chiesa ortodossa. Più si ritarda la valorizzazione della conciliarità a livello pan-ortodosso più diventeranno pericolose le fratture molteplici dell’Ortodossia. La tecnologia attuale enfatizza il tumulto, la confusione e i torbidi tra gli ortodossi e, infine, ferisce la credibilità dell’Ortodossia nel mondo contemporaneo».
Il richiamo al principio di sinodalità e conciliarità non ignora il ruolo del primus inter pares, il patriarca di Costantinopoli. «L’iniziativa per una cura terapeutica della realtà attuale appartiene indubbiamente al patriarca ecumenico. Ma tutte le Chiese autocefale, tutti gli ortodossi senza eccezioni, hanno la responsabilità di contribuire alla riconciliazione».