I gesti dicono le parole e le parole si comprendono dai gesti. La visita di papa Francesco a Lesbo (Grecia) il 16 aprile, come quella a Lampedusa (2013) e a Ciudad Juárez (Messico, 2016), integra e rilancia il suo magistero. Così l’incontro con alcuni dei 3.000 profughi raccolti nel Moria refugee camp può essere illuminato da alcuni termini.
Tristezza e lacrime
«Questo è un viaggio segnato dalla tristezza… È un viaggio triste» ha detto all’inizio del viaggio. Davanti al papa, all’arcivescovo di Atene, Ieronymos, e al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, si è spalancata la tragedia di emigranti e profughi che si sta ripetendo in molti altre parti del mondo. Piange il giovane pachistano che cade ai suoi piedi e che ha visto sgozzare la sua sposa perché cristiana. Piange a dirotto una bambina che il papa cerca invano di sollevare. Piange un anziano che racconta dei figli morti in mare. Guardare i bambini e i loro disegni – commenta a fine viaggio – «era da piangere». Le lacrime mettono in campo un altro livello dell’essere e della sua profondità psichica, esprimono un cedimento, come una sopraffazione e una capitolazione davanti a una forza superiore. Come scrive Macario il grande: «Coloro che sono stati degni di diventare figli di Dio … piangono e si affliggono per tutto il genere umano, pregano versando lacrime per l’Adamo totale, infiammati qual sono di amore spirituale per l’umanità».
I gesti
Vi è il gesto delle corone di fiori lanciate dai tre gerarchi al porto di Mytiline e, più in generale, quello del viaggio. Ma ciò che ha colpito in particolare è quello del papa di portare con sé al ritorno tre famiglie di rifugiati dalla Siria: 12 persone, di cui 6 bambini. P. Lombardi ha specificato: «Si tratta di persone già presenti nei campi di Lesbo prima dell’accordo fra l’Unione Europea e la Turchia. L’iniziativa del papa è stata realizzata tramite una trattativa della Segreteria di stato con le autorità competenti greche e italiane. I membri delle famiglie sono tutti musulmani. Due famiglie vengono da Damasco e una da Deir Azzor, che è nella zona occupata da Daesh. Le loro case sono state bombardate. L’accoglienza e il mantenimento delle famiglie saranno a carico del Vaticano. L’ospitalità iniziale sarà garantita dalla Comunità di sant’Egidio». La precisione della presentazione dice tutto l’azzardo del gesto che costituisce una vera sfida non solo ai populismi e ai nazionalismi risorgenti nel continente, ma anche alle resistenze significative di Chiese locali, episcopati e fedeli cristiani.
Speranze e pace
«Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi: non perdete la speranza. Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera». «Prima di tutto è necessario costruirla pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove». Parole sommamente spirituali si collocano su una consapevolezza del ruolo e dell’autonomia della politica, espressa così nella dichiarazione congiunta: «Sono urgentemente necessari un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze, combattere il traffico e il contrabbando di essere umani, eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, e provvedere procedure sicure di reinsediamento… Insieme imploriamo solennemente la fine della guerra e della violenza in Medio Oriente».
Bancarotta umanitaria
Ieronymos ha detto: «Soltanto quelli che hanno incrociato lo sguardo di quei piccoli bambini che abbiamo incontrato nei campi dei rifugiati potranno immediatamente riconoscere, nella sua totalità, la “bancarotta” dell’umanità e della solidarietà che l’Europa ha dimostrato in questi ultimi anni». È la «catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale» ha aggiunto il papa. Fondamentalmente si tratta di «una crisi di umanità, che richiede una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse» (Dichiarazione congiunta).
Europa
Sono l’Europa e il pericoloso sfaldarsi del suo sogno di unificazione per il combinato disposto della crisi economica, dell’impotenza politica e dei populismi il vero oggetto di accusa e di sollecitazione delle parole e dei gesti. «Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria e le cause ad essa soggiacenti, mediante iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente, sia in Europa» (Dichiarazione congiunta). «Oggi l’Europa deve riprendere questa capacità, che sempre ha avuto, di integrare» (papa Francesco). «Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende» aveva detto al Parlamento europeo il 25 novembre 2014.
Ecumenismo
Come ha ben spiegato su Settimananews Ioannis Maragós la dimensione ecumenica emerge in tutta la sua forza. I tre gerarchi, in particolare Ieronymos, hanno dovuto resistere a pressioni contrarie al viaggio e alla presenza comune. Il «sacrificio» di una preghiera comune ne è l’emblema. E tuttavia l’evento rappresenta la decisione accorata «di intensificare i nostri sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani», dando così anche compimento alla «missione di servizio delle Chiese nel mondo» (Dichiarazione congiunta).
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