La Chiesa ortodossa russa ha dato mandato al patriarca Teofilo di Gerusalemme di convocare una sinassi dei patriarchi ortodossi in Giordania per affrontare l’attuale scisma che oppone Mosca a Costantinopoli? Se così sarà, può la Chiesa di Gerusalemme sostituirsi al primato inter pares esercitato dal patriarca di Costantinopoli? La “sostituzione” del primus è finalizzata all’esercizio conciliare dell’ortodossia o è la conclusione di un processo di nazionalizzazione (filetismo) dell’ortodossia? La fine dell’unità ortodossa ellenico-slava consegnerà l’egemonia ortodossa a Mosca, ma entro i confini insuperabili dello “slavismo”? A forza di denunciare il “papismo” non si finisce per invocarlo?
Gerusalemme al posto di Costantinopoli ?
Sono alcune domande che emergono dal turbinio di accuse, dispetti, censure e giudizi che si raccolgono dalle cronache ecclesiali dell’ortodossia di questi mesi. L’esplosione provocata dal riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa “scismatica” ucraina da parte di Costantinopoli (Cfr. Prezzi, Ortodossia: dopo lo scisma, la frantumazione) e la reazione drammatica russa che rompe la comunione eucaristica con Bartolomeo per ragioni canoniche e moltiplica le presenze pastorali nei territori prima affidati al Fanar, ottenendo un ricompattamento della diaspora russa (Chiesa Oltrefrontiera in USA ed eparchia di tradizione russa in Francia-Europa), avviano un processo di ridefinizione drastica delle presenze ortodosse.
Le voci che lamentano la drammaticità di una deriva scismatica non controllabile si stanno moltiplicando. Un appello per il superamento della polarizzazione ecclesiale è stato firmato dall’autorevole arcivescovo Anastasio di Tirana (Albania) che invoca soluzioni a breve. «Ogni ritardo peggiora la situazione già dolorosa. Anche se in futuro verrà trovata una soluzione, molte pagine dolorose saranno già state scritte nella storia dell’ortodossia. Il principio fondamentale della conciliarità, che ha sempre sostenuto la storia della Chiesa ortodossa, è l’unica chiave per trovare una via d’uscita». «Quanto più a lungo verrà ritardata l’implementazione della conciliarità pan-ortodossa, tanto più diventeranno pericolose le fratture nell’ecumene ortodossa».
Credenti allarmati
Il metropolita dello Zimbabwe, Serafino, annota: «Il risultato dell’assenza di dialogo fra le Chiese ortodosse sorelle per esaminare la questione della giurisdizione ecclesiastica canonica in Ucraina è che, adesso, i russi inviano il loro clero in tutte le regioni della giurisdizione del nostro patriarcato ecumenico… Saremo tutti sottosopra e non sappiamo dove potremmo arrivare in una stagione difficile in cui bisognerebbe che l’ortodossia fosse unita e rafforzata».
In Ucraina un giornalista interroga così il metropolita Antonio, cancelliere del primate Onufrio di Kiev: «I fedeli sono allarmati e secondo alcuni è un intero mondo che sta crollando. Cosa possiamo aspettarci?», per poi aggiungere: «In alcuni circoli di fedeli laici si percepisce un sentimento di panico, alcuni accusano la gerarchia d’inazione. Può rispondere?».
Un presbitero ortodosso francese, Alexandre W. Frenkel, si interroga: preti, che sono stati amici, «consacrati per servire e vivere dell’eucaristia, arrivano ad affermare che sono ormai “separati” e non possono più comunicare alla stessa mensa… Forse bisogna pensare che esiste un “gulag” invisibile costituito tra opposti, prigionieri di se stessi, travolti da una feroce volontà di distruzione».
Nonostante incontri “pacifici” avvenuti a Bruxelles fra Bartolomeo e l’arcivescovo Simone del patriarcato di Mosca, negli Stati Uniti, fra il vescovo costantinopolitano Elpidoforos e i vescovo russo Ilarion, presidente del dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca, in Serbia, fra il vescovo ellenico Emmanuel e il patriarca Ireneo, molto vicino alle posizioni russe, non vi sono segnali che indichino una inversione di rotta.
La candidatura di Teofilo
Il patriarca di Gerusalemme, Teofilo III, ha partecipato con grandi onori al 50° della professione monastica del patriarca Cirillo (Mosca, 20 novembre). Accettando un premio della Fondazione internazionale dell’unità dei popoli ortodossi, ha detto di mettere a disposizione la sede del patriarcato ad Amman (Giordania) per ospitare i primati delle Chiese ortodosse in vista dell’unità dell’ortodossia.
Nell’occasione – caso assai raro – ha potuto, assieme a Cirillo, incontrare il presidente V. Putin che lo ha ringraziato «per la sua significativa attività per il rafforzamento dell’unità dei popoli ortodossi e l’affermazione e la promozione dei valori cristiani nella società». Putin ha sottolineato come «l’isolamento causi una ferita enorme al mondo cristiano in generale e, in particolare, ai cristiani del Medio Oriente».
Il patriarca Teofilo III ha ringraziato a sua volta per l’incontro e per l’azione della Russia verso i cristiani della regione e per il sostegno e protezione alla Chiesa del Santo Sepolcro.
L’iniziativa annunciata da Teofilo ha immediatamente avuto il sostegno della Chiesa russa. Oltre alla protezione politica, i legami fra Gerusalemme e Mosca sono molto stretti sia economicamente (pellegrinaggi e istituzioni) sia ecclesialmente (pieno assenso alla posizione di Cirillo sull’Ucraina).
Teofilo è noto per la sua distanza dall’interesse ecumenico e per il suo orientamento conservatore. Un precedente tentativo di dialogo avviato dall’arcivescovo di Cipro, Crisostomo, non ha avuto seguito per il “no” preventivo di Bartolomeo. Quello di Teofilo non ne ha chiesto il benestare e ha quindi un senso anti-Fanar.
Ma chi può convocare la sinassi dei primati ortodossi? La tradizione è univoca a favore di Costantinopoli, ma il metropolita del Montenegro (serbo e pro-russo) ha posto seri dubbi sulla primazia attuale di Bartolomeo, a favore dell’autorità sovrana del concilio. Sulla stessa linea il metropolita ucraino filo-russo Antonio («qualcuno deve prendere l’iniziativa. Forse qualcuno degli antichi patriarchi o delle antiche Chiese»). L’arcivescovo di Atene e primate della Grecia, Ieronimo, ha detto: «Non chiunque può convocare un concilio ortodosso. È il privilegio del patriarca ecumenico. Se è lui a invitare, noi non diremo di no, ma a qualsiasi altro responsabile ecclesiale che ci invitasse risponderemo di no».
Bartolomeo condizionato dagli USA
La delegittimazione di Bartolomeo passa anche dall’accusa di interessi politici, sia ucraini sia statunitensi. Il sinodo russo ha denunciato «le forze politiche internazionali nell’interesse delle quali è stato legalizzato lo scisma ucraino». Il patriarca Cirillo ha sottolineato: «Siamo in possesso di informazioni credibili secondo le quali non è un caso ciò che sta accadendo ora nell’ortodossia mondiale, e non è il capriccio dell’uno o dell’altra parte religiosa la cui mente si è annebbiata. Siamo davanti all’attuazione di un piano molto preciso, che mira a separare il mondo greco dalla Russia». «Oggi è in atto una pressione sulla Chiesa ortodossa, anzitutto per produrre una rottura fra il mondo ortodosso greco e slavo. Dobbiamo fare di tutto perché questo disegno non mini alla radice l’unità della Chiesa».
Il già citato metropolita ucraino Antonio: «Si cerca di coinvolgere la Chiesa ortodossa nei grandi piani geopolitici. E una parte dei nostri fratelli ortodossi ha accettato questa logica politica invece della custodia dell’unità dell’ortodossia universale».
Il ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov, ha rafforzato l’ipotesi.
Il consenso della Chiesa greca a Bartolomeo «è stato preceduto dalla visita del segretario di stato americano ad Atene. (Pompeo) non ha nemmeno negato che questo problema fosse tra quelli affrontati». «Gli Stati Uniti non vogliono fermarsi. Stanno cercando di far progredire lo scisma nel mondo ortodosso nel suo insieme».
L’accusa è facilmente rovesciabile verso Mosca: perché ricorrere ai ricatti economici legati ai pellegrinaggi per condizionare e dividere le diocesi greche? Perché usare l’influenza politica di Putin per legare a Mosca le Chiese patriarcali? Non vi sono pesanti interessi politici e militari russi in Ucraina?
Bartolomeo ha indicato le operazioni del patriarcato di Mosca come un «affare oscuro», in cui la verità si confonde con il proprio tornaconto. E ha aggiunto: «Ho la coscienza tranquilla, perché ho fatto semplicemente il mio dovere. Ho salvaguardato e protetto i diritti e i privilegi canonici che i concili hanno consegnato alla Chiesa di Costantinopoli».
Filetismo e papismo
A rafforzare la posizione di Bartolomeo è arrivato il consenso della Chiesa greca (Cfr. Prezzi, Mosca-Atene: scontro sul tomo) e poi quello, importante, di Teodoro II del patriarcato di Alessandria (Cfr. Maragos, Ortodossia: vento gelido a Nord-Est). Teodoro conosce infatti molto bene la situazione ucraina avendo studiato e operato a Odessa, con perfetta conoscenza della lingua. Fra qualche giorno concelebrerà con Bartolomeo.
Le accuse dal mondo ellenico di filetismo, cioè di cedimento etnico e nazionalistico, irritano la controparte russa che ricorda la decina di etnie che compongono la propria Chiesa. Essa accusa a sua volta Costantinopoli di «papismo», di esercitare un primato del tutto inconciliabile con la tradizione ortodossa. Cirillo dice di non poter permettere che un «papismo o un “quasi-papismo” emerga nell’ortodossia. Dirò forse qualcosa di inaspettato. Perché il papismo è pericoloso? Certamente perché il papismo non deriva né dalla parola di Dio, né dalla tradizione della Chiesa. Offrirò ancora un altro argomento completamente diverso: il papismo è pericoloso in quanto è molto più facile influenzare un individuo che un gruppo di persone. Un papa e un patriarca che vuole diventare papa diventano un bersaglio molto attraente per i poteri in essere. E un’influenza esercitata su un individuo può rovinare la Chiesa».
Ma l’operazione di usare la sponda gerosolimitana per invalidare il primato di Costantinopoli non è forse la pretesa di sostituirsi ad essa, un’altra forma di “quasi-papismo”?
L’amara profezia di Soloviev
Il dibattito non è affatto nuovo. Lo aveva già sviluppato Vladimir Sergeevič Soloviev nel volume La Russia e la Chiesa universale del 1889. «Per fare di Gerusalemme il centro gerarchico della Chiesa universale, bisognerebbe espropriare la confraternita panellenistica e creare ex-nihilo un nuovo ordine di cose. Ma, anche se una tale creazione fosse teoricamente possibile, è evidente che essa non potrebbe venire realizzata dalla Russia se non al prezzo di una definitiva rottura con i greci. Allora a che si ridurrebbe questa Chiesa universale per la quale la Russia dovrebbe forgiare pezzo per pezzo un potere centrale e indipendente? Non vi sarebbe più nemmeno una Chiesa greco-russa; e il nuovo patriarca di Gerusalemme non sarebbe in fondo che il patriarca di tutte le Russie. I bulgari e i serbi non appoggerebbero l’indipendenza ecclesiastica, ed eccoci allora ritornati a una Chiesa nazionale, il cui capo gerarchico non può essere che un vassallo e un servo dello stato».
E aggiungeva alcune altre righe che mantengono intatta la loro provocazione: «L’impossibilità manifesta di trovare o di creare in Oriente un centro di unità per la Chiesa universale ci obbliga a cercarlo altrove. Innanzitutto dobbiamo riconoscere quello che siamo in realtà – una parte organica del grande corpo cristiano – e affermare la nostra solidarietà intima coi fratelli d’Occidente, che possiedono l’organo centrale che ci manca. Quest’atto morale, quest’atto di giustizia e di carità rappresenterebbe di per sé un progresso immenso per noi e, in pari tempo, la condivisione indispensabile di qualsiasi ulteriore progresso» (L’ecumenismo che verrà. La Russia e la Chiesa universale, Milano 2013, pp. 110-111).