Forse è irriverente rispetto ad un atto ecclesiale di peso, ma la concessione del tomo dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa Macedone (5 giugno) ricorda un balletto fra Serbia, Macedonia, Costantinopoli e, a bordo pista, la Russia.
Si può cominciare con il 9 maggio 2022: il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, apre la comunione con la Chiesa ortodossa della Macedonia del Nord, bloccata dal 1967 in condizione di scisma (rispetto a Belgrado, la Chiesa madre, e conseguentemente con le altre Chiese dell’Ortodossia). Il 16 maggio il sinodo della Chiesa ortodossa serba annuncia la soluzione dello scisma. Il 24 maggio il patriarca serbo, Porfirio, concelebra con il metropolita macedone, Stefano, a Skopje. Il 5 giugno Porfirio trasmette a Stefano il tomo dell’autocefalia.
Il 12 giugno, festa delle Pentecoste, secondo l’anno liturgico ortodosso, Bartolomeo dovrebbe concedere l’autocefalia alla Chiesa macedone in una solenne celebrazione a Costantinopoli, ponendo alcune condizioni sulla denominazione, sulla diaspora e sui rapporti con la Chiesa confinante greca. Mosca ha sponsorizzato la piena responsabilità serba in ordine all’autocefalia, delegittimando tutte le pretese del Fanar, e sottolineando la radicale diversità fra l’autocefalia macedone e l’autocefalia ucraina.
Tornando al 5 giugno, nella basilica di Belgrado, in comunione con il proprio sinodo, Porfirio concede la piena autonomia (autocefalia) alla Chiesa ortodossa di Scopje. Accompagna il gesto con una discorso lirico molto ampio in cui ricorda che l’atto liturgico e canonico avviene indipendentemente da spinte etniche, politiche o statuali. Non è un gesto che può essere piegato a interessi di parte: «la Chiesa non è uno strumento per altro».
Il processo di gemmazione di una Chiesa rispetto alla Chiesa madre non intende dividere, ma unire e moltiplicare la forza dell’annuncio. La decisione della Chiesa serba verrà portata a conoscenza delle altre Chiese perché tutte si pronuncino in comunione con la Chiesa macedone. Il metropolita macedone Stefano muovendosi sul filo del rasoio, ringrazia per la cessione del tomo che «conferma una realtà di fatto: la status di autocefalia della rinnovata arcidiocesi di Ohrid, come Chiesa ortodossa macedone».
Inoltre conferma di muoversi con la benedizione del patriarca ecumenico con cui ha appuntamento fra pochi giorni. In una successiva dichiarazione, Stefano, informerà Bartolomeo dei passi compiuti per ottenere «l’emissione del tomo dell’autocefalia da parte di sua santità il patriarca ecumenico Bartolomeo, secondo la sua giurisdizione canonica e storica».
Costantinopoli, irritata dall’essere stata anticipata da Belgrado, attribuisce lo sgarbo al metropolita Ireneo di Backa (grande elettore di Porfirio) ed esibisce la domanda inviata dal presidente della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, per la richiesta dell’autocefalia (per i precedenti cf. Macedonia: autocefalia per la Chiesa; Macedonia: lo scisma risolto).
Abusi nella Chiesa serba
La Chiesa serba chiude il contenzioso macedone, ma forse dovrà riaprire il faldone degli abusi degli ecclesiastici.
Il procuratore generale del Montenegro ha chiesto alla procura di Belgrado di ascoltare la deposizione di Bojan Jovanović, sostenuto dalla Ong Montenegro International. L’accusa è rivolta al metropolita del Montenegro, il vescovo Giovanni, in precedenza, di Budimlje e Niskšić, accusato di aver coperto gli ecclesiastici predatori. Courrier des Balkans (3 giugno) ricorda il libro Confessions: comment nous avons tué Dieu, pubblicato nel 2021, in cui Bojan Jovanović raccontava degli abusi dentro la Chiesa serba e accusava il vescovo Giovanni di complicità.
Una commissione interna alla Chiesa, presieduta dal vescovo Giovanni, aveva indagato sulle accuse di abusi da parte di preti ortodossi fra il 2002 e il 2015 con una quarantina di interrogatori. Senza però avviare alcuna procedura.
Secondo l’avvocato di Bojan, gli abusanti sarebbero a numeri a due cifre. Le inchieste finora condotte non hanno avuto alcun seguito. Il vescovo Panomio di Vranje, accusato di violenza su quattro minori, è stato prosciolto nel 2006. Il procuratore di Vranje ha riavviato il caso in base a nuove accuse nel 2013, ma il pubblico ministero ha chiuso il processo.
Un monaco di Hopovo in Voivodina, accusato di abusi su una decina di ragazzi e condannato nel 2006 si è visto annullare il processo dalla Corte suprema in favore di un nuovo processo che non si è mai avviato. L’ex vescovo di Zvornik e Tuzia, Vasilio Kačavenda, accusato di pedofilia, non è mai arrivato a giudizio. Il suo caso è arrivato fino a un tribunale londinese che nel 2009 si è dichiarato incompetente.