Dal momento in cui ho incominciato a interessarmi di ecumenismo, per alcuni anni sorella Maria di Campello è stata l’«oggetto sconosciuto» che emergeva per accenni e rimandi in relazioni di convegni, in conversazioni a tavola, in ricordi esemplificativi in chi voleva documentare scelte e atteggiamenti nuovi, difficili e fraintesi, ma giusti. Tanto che un giorno, a La Mendola, durante uno dei tanti convegni del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), tirai da parte don Luigi Sartori e gli posi la domanda diretta: «Dimmi chi era sorella Maria di Campello».
Una ricerca
A questa domanda risponde ora una preziosa ricerca di Marzia Ceschia: Sorella Maria di Campello, la minore: eremita, cattolica, francescana. La via al “Sacrum facere”. Sia nei quattro aggettivi che nel titolo specificano la persona, sia nel sottotitolo, la dimensione ecumenica è taciuta. La spiegazione di quale ecumenismo di tratti viene data da Luciano Bertazzo nella Prefazione al volume, che parla di «una figura particolare, ex-centrica nel panorama femminile e religioso italiano del XX secolo», accanto alla quale egli ricorda Gandhi, Albert Schweizer, Ernesto Buonaiuti, Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, e parla dell’eremo di Campello, fondato da sorella Maria, come di un’«esperienza pressoché unica nel suo genere», verso la quale guarderanno «esponenti di rilievo di quel fermentante mondo del cattolicesimo italiano che resta fedele al sogno di una vita evangelica incarnata concretamente, senza cedimenti ideologici o politici». L’eremo di sorella Maria «rimane come il collettore di queste esigenze, testimoniate in una fedele tenacia vissuta radicalmente come risposta a una chiamata interiore».
Il sottotitolo «La via del Sacrum facere» indica che l’intento di Maria di Campello è di collocare l’esperienza religiosa personale – fare il «sacro» – nel creato e primariamente nella «chiamata interiore» della persona. Sorella Maria assume questa dimensione di spiritualità universale direttamente da san Francesco, un riferimento che è nelle mura stesse dell’eremo, che ella scelse perché di origine francescana. Come è della sua stessa vita. Anche la dimensione ecumenica che ella vivrà intensamente viene allargata e collocata all’interno del rispetto e della venerazione del «sacro» che è in ogni coscienza.
La vita
Valeria Paola Pignetti (1875-1961) nasce a Torino da famiglia benestante. Nel 1901 entra nell’istituto religioso delle Francescane Missionarie di Maria a Roma, in via Giusti. Nel 1916, nel contesto della prima guerra mondiale viene mandata come superiora nella comunità impegnata presso l’ambulanza militare anglo-americana sulla via Nomentana. Il contesto di guerra e di dolore che vive, l’incontro con i degenti determinano in lei un ripensamento radicale sul modo della sua consacrazione. Nel 1918 ha un colloquio con papa Benedetto XV; nel 1919 ottiene il decreto di dispensa dai voti e lascia l’istituto.
Incomincia una travagliata ricerca sulla forma di vita da scegliere e sul luogo: «un piccolo rifugio adatto alla nostra povertà». Nel 1921 sorella Maria si dà un piccolo schema di vita: un indirizzo spirituale fortemente intriso dell’ideale francescano primitivo; il riferimento è alla prima regola, quella «Non bollata». Dopo una dolorosa e lunga ricerca in varie regioni, nel 1923 individua un convento francescano abbandonato a Campello Alto, sopra le fonti del Clitunno, in località Passignano, e nel 1926 può dare inizio alla comunità. «Sono dinque donne: Maria di salute precaria, Jacopa cieca dalla nascita, Immacolatella e Angeluccia giovani calabrese analfabete, Rosa di origine toscana. Altre presto si aggiungeranno. Non saranno mai più di quindici».
L’ospitalità e la corrispondenza epistolare saranno i due veicoli con cui Maria intesserà una rete di conoscenze nazionali e internazionali sorprendente in quel periodo ecclesiale e politico. «I miei studi mi portarono a contatto con l’opera dell’indimenticabile prof. Buonaiuti. La sua anima cristiana trasformò lo scetticismo della mia in una fede incrollabile nel Bene. La purezza della vita evangelica, rievocata dal suo insegnamento, mi ha fatto sentire la consunzione di tutte le forme che essa ha assunto nella storia», così p. Giovanni Vannucci, dei servi di Maria, che fondò poi in Toscana l’Eremo delle Stinche, scrive a Maria nel 1947. Don Ernesto Bonaiuti era stato a Roma al centro di un «cenacolo» di studio e di spiritualità, alimentato sui testi della chiesa delle origini. Per Maria era stato consigliere nel momento travagliato della scelta, poi sacerdote di riferimento per l’eucaristia, e divenne infine «Ginepro», nome che Buonaiuti aveva preso divenendo terziario francescano e nome con cui Maria lo indica abitualmente nei suoi scritti, in chiaro rimando al clima da Fioretti francescani vissuto alle origini dell’eremo di Campello.
Il volume
Il volume si articola in tre capitoli più una lunga appendice di documentazione e di bibliografia. Il primo è una densa ricostruzione storica su «Istanze di rinnovamento e inquietudini spirituali nel cattolicesimo italiano all’inizio del XX secolo»; in particolare vengono delineati tre efficaci ritratti di Giovanni Semeria (1867-1931), commesso viaggiatore delle nuove idee, di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), la passione di un pellegrino, di Brizio Casciola (1871-1957), un «prete di strada». Da segnalare un excursus su Buonaiuti formatore: «Un’esperienza di “tirocinio spirituale”: la koinonia buonaiutiana» (pp. 53-58).
Il secondo capitolo, «Dall’istituzione all’intuizione: vie di discernimento tra memoria, gratitudine, precarietà e novità» copre la vita di sorella Maria dall’ingresso nella congregazione delle Francescane Missionarie fino alla sistemazione nell’eremo di Campello.
Il terzo capitolo, «Semantica del sacro» è la biografia spirituale sintetica di sorella Maria di Campello. L’articolazione della parte centrale del capitolo ne presenta gli aspetti fondamentali: Conventum facere – Sacrum facere: la terra arida e santa dell’eremo; La “lectio brevis” delle creature: il sacramento di ogni vita; Sacra fraternità: la “koinonia” patetica; Sacra ospitalità: un ecumenismo mistico;Sacra semplicità: la lode perenne.
A conclusione: «La messa cosmica»
I poli di interesse che mi hanno fortemente colpito nel volume sono tre: quello storico sui ricchi e insospettati fermenti ecclesiali nell’Italia della prima metà del Novecento; il ritratto di Ernesto Buonaiuti che ne emerge; la spiritualità essenziale di sorella Maria.
Nel «Saluto alla Minore», letto da p. Giovanni Vannucci, il giorno del funerale viene sintetizzato in maniera efficace l’opera di sorella Maria:
«Grazie, per averci mostrato che nella fedeltà semplice e assoluta al Signore Gesù, la fede dell’Oriente e dell’Occidente, la Chiesa di Roma e tutte le Chiese possono incontrarsi nell’unità dell’amore. Grazie, per aver ridato vita alle parole essenziali del cristianesimo che, per l’usura del tempo, erano sbiadite: l’Agape, la Koinonia, il Sacrum facere, la Pace, il Fratello, la Madre Terra… Grazie per aver riportato nel vecchio Eremo la vita dei monaci antichi, da te ripetuta con fedeltà allo spirito e novità nelle forme…».
Marzia Ceschia, Sorella Maria di Campello, la minore: eremita, cattolica, francescana. La via al «Sacrum facere», collana «Sophia» 22, Messaggero, Padova 2017, pp. 356.
Posto meraviglioso, sorelle fantasiche. Fin da piccolo (oggi ho 73 anni) sentivo mio padre, mia madre e mia zia Olga (Goga), parlare di questo posto che, sentendo i loro racconti, a me sembrava incantato.
Solo nel 2022 ho avuto l’occasione di andare in loco solo per dire una preghiera sulla tomba di mia zia Olga (lì sepolta) ma per ragioni di ristrutturazione edilizia non ho potuto vedere il monastero.
La sorella superiora (Daniela Maria) è una donna fantastica con un carattere sicuro e deciso, perfetto per quella funzione.