L’autocefalia per favorire l’unità o l’unità come premessa necessaria all’autocefalia? Ci ponevamo la questione durante la nostra visita in Ucraina, perché ci sembra una sorta di criterio dirimente fra le posizioni della Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev e Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Mosca.
Nell’intervista che ci ha concesso, l’arciprete Nicola Danilevich esprimeva la posizione della Chiesa fedele al Patriarcato di Mosca: prima gli “scismatici” (di Filarete) tornino alla comunione con il Patriarcato di Mosca, poi si avrà più forza e coerenza per chiedere l’autocefalia.
Ma, a questo punto, il processo avviato dal Patriarcato di Kiev è ad uno stadio avanzato e il dilemma posto al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è tutto lì e non si torna indietro.
La richiesta è stata presentata dal presidente Petro Porošenko, che l’ha recapitata personalmente a Costantinopoli il 9 aprile. Ha il sostegno esplicito del Parlamento che, il 19 aprile scorso, ha approvato l’appello del presidente.
Il Santo Sinodo di Costantinopoli ha comunicato, il 22 aprile, di «aver ricevuto la domanda di concessione dell’autocefalia da parte di istituzioni ecclesiastiche e civili, in rappresentanza di milioni di ucraini ortodossi e ha deciso di comunicarlo subito alle altre Chiese sorelle ortodosse per l’informazione e il coordinamento».
Questa consultazione delle Chiese sorelle è ancora in corso. È un’interrogazione comprensibilmente lunga. Il tema sarà poi affrontato in una sessione dedicata del Santo Sinodo, che era prevista per giugno ma che è stata spostata a luglio. Avrebbe un particolare significato se il tomo della concessione dell’autocefalia arrivasse entro il 28 luglio, a 1030 anni dal battesimo della Rus’ di Kiev nella persona del santo principe Vladimir.
Favorevoli e contrari
Secondo la percezione che se ne ha negli ambienti del Patriarcato di Kiev, la maggioranza del popolo ucraino si aspetta che venga riconosciuta l’identità nazionale della Chiesa ucraina. Il conflitto nelle regioni del Donbass sta amplificando l’insofferenza verso Mosca e le sue pretese di egemonia sull’Ucraina. La Chiesa ortodossa russa è nata dal seno della Chiesa ucraina (la Rus’ di Kiev, ndr)[1] e, ora che l’Ucraina ha ritrovato la sua identità autonoma, sono in molti a ritenere mature le condizioni perché la Chiesa ucraina si veda riconosciuta come Chiesa nazionale. In questo senso, la richiesta di riconoscimento dell’autocefalia è probabile che interpreti un sentimento diffuso più ampio dell’appartenenza dichiarata al Partiarcato di Kiev.
Il Patriarcato di Kiev sta intrattenendo incontri bilaterali con i rappresentanti di altri patriarcati. Nello stesso tempo, i legati del patriarca ecumenico Bartolomeo sono passati in visita alle varie Chiese. Non ci sono rapporti formali. Non tutti approvano il processo e alcuni sono apertamente contrari.
Il primo e più autorevole oppositore è il Patriarcato di Mosca e la Chiesa ucraina ad esso fedele. Anche il Patriarcato della Chiesa ortodossa serba e quello di Alessandria hanno dichiarato apertamente la loro contrarietà. È altrettanto esplicita l’opposizione del governo di Mosca.
Il Patriarcato di Kiev può forse contare sul sostegno del Patriarcato di Gerusalemme, della Chiesa ortodossa di Grecia, della Chiesa autocefala di Cipro e della Chiesa ortodossa polacca. Non si sono ancora pronunciate apertamente in un senso o nell’altro le Chiese di Romania, Georgia e Bulgaria.
Per tutte le Chiese va tenuto conto che il livello ecclesiale della questione si intreccia con il livello politico, poiché le Chiese ortodosse riflettono l’identità nazionale. Ci è stato detto che anche molti dei preti e prelati russi che vivono in Ucraina sostengono la richiesta di autocefalia della Chiesa ucraina.
Una nazione, una Chiesa
Il fondamento della richiesta di autocefalia è il medesimo che legittima lo statuto delle altre 14 Chiese autocefale riconosciute.[2] E cioè, ogni Stato che rappresenti un’identità nazionale ha diritto a una propria Chiesa: una nazione, una Chiesa. È così per la Romania come per la Polonia; è così per gli Stati che hanno riacquistato la loro autonomia dopo la fine dell’URSS (Georgia),[3] o il dissolvimento della Jugoslavia, dove le singole nazionalità trovano voce nella richiesta di autonomia delle Chiese dal Patriarcato di Serbia. Secondo la consolidata tradizione ortodossa, una Chiesa indipendente è alla base di un Paese indipendente e dà forma alla sua identità e autonomia. Il processo che conduce all’autocefalia è stato già percorso dalle altre Chiese e storicamente ha avuto bisogno di molto tempo.[4] Anche il Patriarcato di Mosca si è visto riconoscere tale dopo un processo durato almeno 150 anni, attraverso momenti alterni e laboriosi.
Mosca, Costantinopoli e Roma
Mosca: ha già alzato la voce contro l’ipotesi del riconoscimento del Patriarcato di Kiev anzitutto e ancora più contro la concessione ad esso dell’autocefalia (cf. qui). Se verrà consegnato il tomo dell’autocefalia a Kiev, il Patriarcato di Mosca ha già detto che interromperà la comunione eucaristica con il Patriarcato di Costantinopoli, innescando un effetto domino su diversi livelli, non solo ecclesiastico.
Costantinopoli: per Bartolomeo si tratta di una decisione difficile, un vero e proprio dilemma dal quale non può uscire senza pagare un caro prezzo. Il rischio è una divisione del mondo ortodosso, non solo un ulteriore contenzioso con la Russia e il Patriarcato di Mosca. I sostenitori dell’autocefalia però non accettano che Mosca continui a imporre la propria volontà sulle altre Chiese dell’Ortodossia né sull’Ucraina. Nel caso di un rifiuto del tomo, il Patriarcato di Kiev probabilmente insisterà, vista la convinzione dei più che l’autocefalia per la Chiesa in Ucraina sia una richiesta legittima e coerente con l’Ortodossia e che, se non verrà accordata ora, lo sarà più avanti, perché è nella dinamica delle cose.
Roma: non ci sono stati incontri ufficiali tra il Patriarcato di Kiev e la Santa Sede di papa Francesco. Non ci sono coinvolgimenti a livello diplomatico né a livello ecumenico. I rapporti tra Roma e Mosca sono buoni e le risposte date da papa Francesco a Hilarion in riferimento all’ipotesi di un Patriarcato latino nella giurisdizione del Patriarcato di Mosca confermano la linea diplomatica della non interferenza. Ci sono tutte le ragioni per credere che Roma non voglia inserirsi nel processo riguardante la richiesta di autocefalia avanzata dal Patriarcato di Kiev e che, dunque, anche le parole di papa Francesco a Hilarion non si riferissero al processo promosso dal Patriarcato di Kiev, ma esclusivamente all’ipotesi del riconoscimento dello statuto di Patriarcato alla Chiesa greco-cattolica.
In questa partita, gioca una parte di rilievo la comunicazione, il racconto che se ne fa. La versione data dall’informazione russa è molto diversa da quella proposta dall’informazione ucraina. Mentre Mosca – e quanti obbediscono al patriarca Kirill – presentano la richiesta di autocefalia presentata dagli “scismatici” come una minaccia per l’unità dell’Ortodossia, dall’altra parte, la si legge come una tappa verso l’unità della Chiesa ucraina. Radunare tutti i fedeli della nazione ucraina in un’unica Chiesa non più divisa tra obbedienze diverse, ma riconosciuta nella sua identità nazionale. L’autocefalia, cioè, come un primo passo verso l’unità.
[1] Il riconoscimento del Patriarcato di Mosca è un processo durato più di 150 anni (dall’autoproclamazione del 1448 al riconoscimento da parte di Costantinopoli).
[2] La Chiesa ortodossa in America si è vista accordare l’autocefalia dal Patriarcato di Mosca, ma non è stata riconosciuta da quello di Costantinopoli.
[3] Autocefalia riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1989.
[4] La Chiesa georgiana reclamava l’autocefalia già dal V secolo.