A dicembre 2017 sembrava che le Chiese scismatiche ortodosse di Ucraina si componessero in unità sotto l’egida di Mosca che in quei giorni (29 novembre – 2 dicembre) celebrava con solennità un concilio per i 100 anni della rifondazione del patriarcato (cf. Settimananews del 3 dicembre 2017, Mosca-Kiev: riconciliazione annunciata e smentita).
A distanza di poche settimane, il 19 aprile, il parlamento ucraino approva l’appello del presidente della Repubblica, P.A. Poroshenko, indirizzato al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, per chiedere la concessione del tomo dell’autocefalia (indipendenza e pieno riconoscimento) alle Chiese ortodosse ucraine.
Se a dicembre il riferimento era Mosca, ad aprile è Costantinopoli. Il capovolgimento merita di essere raccontato perché coinvolge un nucleo nodale dell’Ortodossia (Mosca non si pensa Chiesa senza le radici storiche di Kiev), ma anche il rapporto fra i patriarcati (Mosca-Costantinopoli) e il contesto politico (lo scontro militare in atto nel Donbass, l’avvenuta annessione della Crimea alla Russia e le prossime elezioni politiche in Ucraina).
Autocefalia
Al Concilio di Mosca, davanti a 500 vescovi, si legge una lettera di Filarete di Kiev, capo riconosciuto della Chiesa scismatica ucraina, in cui si chiede di «considerare nulle e non avvenute tutte le decisioni, come le sanzioni e le scomuniche che hanno intralciato il passato». «Come confratello e concelebrante, domando perdono per i peccati che ho compiuto in parole, atti e sensi, come io perdono a voi, sinceramente e di cuore».
Sembra l’avvio del ritorno a casa ma, a distanza di poche ore, Filarete accusa Mosca di manipolare la lettera, di ignorare la domanda di autocefalia, di rifiutare ogni idea di dimissioni dal suo ruolo.
Nel frattempo, continua la dura battaglia militare nelle regioni orientali che dissangua l’economia e alimenta il sentimento antirusso da parte della popolazione.
Almeno 50 parrocchie di obbedienza moscovita chiedono di passare al Patriarcato di Kiev di Filarete. Poroshenko, a seguito di molti altri interventi su Bartolomeo (già nel 2016 i parlamentari avevano chiesto l’autocefalia), si reca a Costantinopoli (9 aprile) e ottiene dal patriarca l’avvio del processo di autocefalia per le due Chiese ortodosse scismatiche (oltre a quella di Filarete, una seconda fa riferimento alla tradizione della diaspora, alla cosiddetta Chiesa oltre-frontiera).
Il 22 aprile, un comunicato del Santo sinodo di Costantinopoli annuncia «di aver ricevuto la domanda di concessione dell’autocefalia da parte di istituzioni ecclesiastiche e civili, in rappresentanza di milioni di ucraini ortodossi e ha deciso di comunicarlo subito alle altre Chiese sorelle ortodosse per l’informazione e il coordinamento».
Come il 1054
Il patriarcato di Mosca reagisce con estrema durezza. Da un lato, apre per la prima volta all’idea di una autocefalia ucraina, ma in capo alla Chiesa filorussa (in cui dovrebbero rientrare le due Chiese scismatiche, escludendo che il nuovo patriarca possa essere Filarete) e, dall’altro, minaccia Bartolomeo di compiere un gesto divisivo di enorme peso.
Il metropolita Hilarion Alfaeev, presidente del dipartimento degli affari esteri del patriarcato russo, afferma: «Mi rifiuto di pensare a quello che potrà succedere nel caso di una concessione dell’autocefalia agli scismatici ucraini… La divisione in seno all’Ortodossia sarebbe una conseguenza inevitabile, paragonabile alla divisione fra Oriente e Occidente del 1054. Se si producesse, sarebbe la fine dell’unità dell’Ortodossia».
Poroshenko ha mostrato ai parlamentari la firma di numerosi vescovi del Patriarcato di Kiev e della Chiesa oltre frontiera. Sette vescovi di quest’ultima giurisdizione prendono carta e penna per sostenere la domanda. Ricordano che, fino al 1030, i territori di Kiev erano sotto Costantinopoli e che, nonostante i 332 anni di “dominazione” russa, non è venuta meno nei fedeli la convinzione di appartenere alla tutela di Costantinopoli. Nella speranza che la concessione avvenga entro luglio 2018, a 1030 anni dal battesimo dell’Ucraina attraverso il principe Vladimiro.
La Chiesa filo-russa sottolinea l’illegittimità di una richiesta proveniente dal potere politico, stante l’articolo 35 della Costituzione ucraina che stabilisce l’indipendenza fra Chiesa e Stato. Essa, come unica giurisdizione ortodossa che gode del pieno riconoscimento di tutte le Chiese ortodosse, non ha partecipato in nulla al processo messo in moto. Nessuno dei suoi vescovi ha firmato l’appello del presidente Poroshenko. Le decisioni poste sono abusi di potere che mostrano l’intenzione politica e non ecclesiale, col paradosso che entità non riconosciute dovrebbero godere dell’autocefalia, ancora prima di risolvere lo scisma in atto.
Il Patriarcato di Costantinopoli ha finora riconosciuto solo la Chiesa filo-russa, diretta erede della tradizione sovietica precedente. Un pellegrinaggio di alcune centinaia di persone a Gerusalemme, provenienti da parrocchie di questa Chiesa, percorrono la via dolorosa per invocare la pace nel paese e fra le Chiese.
I perfidi “uniati”
Hilarion risponde punto per punto.
– Milioni di persone chiedono l’autocefalia? Non è possibile, visto che la Chiesa filo-russa ha 12.000 parrocchie, cioè più del doppio degli scismatici, 5.000 monaci e monache rispetto ai 215 degli altri e migliaia di persone manifestano nelle processioni la loro adesione.
– Sarà a favore dell’unità della nazione? Avverrà il contrario. Ci sarà un’ulteriore destabilizzazione della società.
– L’autocefalia di Mosca nel 1589 non è avvenuta grazie al solo intervento del patriarca di Costantinopoli, Geremia II? Allora non c’erano possibilità di comunicazioni e il riconoscimento definitivo dell’autocefalia di Mosca è divenuto pieno solo nel 1593, quando altri quattro patriarchi si sono accordati in merito.
– Filarete? Personaggio ambiguo. Alla caduta del regime si candida a patriarca di Mosca. Offeso, torna in Ucraina e lavora per la divisione della Chiesa. In un successivo sinodo a Mosca promette le dimissioni per poi dividere la Chiesa ucraina e proclamarsi patriarca.
– Le procedure? Sono state fissate nei documenti preparatori al Sinodo di Creta del 2016 e prevedono la richiesta della Chiesa-madre (in questo caso russa), e l’unanimità delle altre Chiese. (Ma la Chiesa russa non ha partecipato al sinodo e non ha accettato quei documenti).
– A chi interessa l’autocefalia? Anzitutto ai politici, poi agli scismatici e, infine, agli “uniati”. Sono i loro deputati che si sono fatti promotori dell’iniziativa. Ma il loro intento non è l’autocefalia, ma ricondurre le Chiese locali all’obbedienza a Roma.
La Chiesa cattolica di rito orientale, gli “uniati”, forte di oltre cinque milioni di fedeli e della sua storia martiriale, non è entrata nella questione. L’attesa espressa dall’arcivescovo maggiore (prima Husar e ora Shevchuk) è di un unico patriarcato per tutte le Chiese di rito orientale (quindi per le Chiese ortodosse come per la loro) che potrebbe anticipare l’unità delle Chiese nell’autonomia delle loro giurisdizioni. Un “sogno” che non ha il sostegno di Roma e che è visto come fumo negli occhi dalle Chiese ortodosse.
Poroshenko e Putin
Nella vicenda gioca anche il non facile rapporto Mosca-Costantinopoli. La prima a capo della più grande e ricca Chiesa ortodossa, la seconda di altissimo prestigio storico e di scarsissima consistenza strutturale. Riconoscere l’autocefalia ucraina rappresenterebbe un allargamento significativo dell’influenza di Costantinopoli per i prossimi decenni.
Il caso recente della domanda di riconoscimento d’autocefalia della Chiesa macedone nei confronti della Chiesa bulgara a danno della Chiesa serba, senza attenzione a Costantinopoli, prefigurerebbe relazioni future fra Chiese ortodosse in cui il riferimento al Fanar[1] potrebbe progressivamente svilirsi.
Nella partita è entrato Poroshenko, il presidente ucraino, preoccupato di portarsi a casa l’indipendenza delle Chiese locali prima delle elezioni (previste per il 2019). È difficile che prima o dopo non entri il rieletto presidente russo Putin. Visitando la Turchia, il 3 aprile scorso, non ha mancato di telefonare a Bartolomeo per riaffermare la relazione con la Chiesa russa assicurando un incontro diretto col patriarca alla prossima occasione.
[1] Talvolta il Patriarcato ecumenico dei greco-ortodossi viene indicato con il nome del quartiere storico di Istanbul, il Fanar, in cui ha la sua sede.