Papa Francesco è rientrato dal suo viaggio in Bahrein: arcipelago di isole nel Golfo Persico – vicine alle coste saudite -, questo antico emirato arabo, ora monarchia, dipende in tutto e per tutto dall’Arabia Saudita, della quale è fedelissimo alleato.
Dunque, la prima domanda che va fatta è molto semplice: sarebbe stato possibile questo viaggio – col relativo soffio – se la corona saudita non avesse voluto? La risposta è ovviamente no.
Altra domanda: forse ciò conferma che Riad sta cambiando, ossia che il regno saudita si sta distanziando dal puritanesimo retrogrado e integralista della setta wahhabita con cui si alleò per conquistare il potere? E ancora: verso dove?
Si possono fare varie ipotesi: sta forse avvenendo un machiavellico riformismo dall’alto, oppure il regno sta evolvendo verso un dirigismo verticista dalle apparenze un po’ più aperte, ovvero si sta affermando in Arabia un modello capitalistico alla “cinese”, per intenderci. Difficile dire. Ma c’è almeno una novità.
Per farmi un’idea meno approssimativa – come spesso mi accade da quando il Covid mi ha impedito di tornare a Beirut -, ho chiamato i miei amici più cari, esperti di Oriente, a partire dal professor Antoine Courban della Saint Joseph University. Le loro opinioni mi hanno aiutato.
Quello che Francesco ha permesso
Il punto più evidente – rilevato nel corso della visita di Francesco da quelle parti – è da individuare in ciò che ha detto e soprattutto che ha potuto dire nel contesto a cui ho appena accennato il Presidente del Consiglio dei Saggi dell’Islam, grande Imam della più prestigiosa università islamica sunnita, Ahmad Tayyeb, nel pieno della tormenta che oppone le tre grandi correnti islamiche.
Sono note: la corrente guidata dai sauditi, custodi dei luoghi santi di Mecca e Medina, quella guidata dai teocratici khomeinisti impossessatisi dell’Iran e delle milizie che controllano lo sciismo nei Paesi arabi e la corrente dell’Islam politico guidata dai Fratelli Musulmani, oggi sotto la leadership turca di Erdogan.
I sauditi oggi appaiono ansiosi di conservare il loro ruolo di “custodi dei luoghi santi dell’islam”, membri della famiglia reale legata a doppio filo al proprio Paese e ai suoi interessi economico-finanziari, che, al contempo, intendono parlare per conto dell’intero Islam.
Al capo opposto c’è Erdogan, a costituire la sfida interna al mondo islamico sunnita: questi interpreta la Fratellanza Musulmana quale progetto neo-califfale alla radice del panturchismo che da Istanbul raggiunge – secondo la sua geografia – i confini della Cina in una visione imperiale che assai assomiglia al russkij mir moscovita: panturca la prima, panslava la seconda, ma unite nello sguardo eurasiatico gettato sul mondo intero.
Al terzo polo sta il khomeinismo sciita con un progetto, pur sempre imperiale, ma ovviamente disegnato in maniera ben diversa, a modo di rifacimento dell’impero persiano: sin dal Mediterraneo, unendo sotto la sua teocrazia il cuore dell’Islam, da Teheran a Beirut, passando per Baghdad e Damasco.
In questo contesto di scontro esistenziale – persino da “fine dei tempi” – colpisce ove abbia potuto trovare la sua sede il forum del dialogo tra Oriente e Occidente: ossia nel Paese socialmente e culturalmente più variegato e complesso della penisola arabica – il Bahrein, in cui esistono, da tempi immemori, diverse chiese e sinagoghe accanto alle moschee. A suo tempo il cristianesimo era fiorente pure là.
In un Bahrein composito e multiculturale papa Francesco ha offerto dunque la sua visione fraterna, del tutto in linea con la storia antica, la natura e la dimensione sociale del posto. All’opulenza autoritaria imposta dalla storia più recente ha risposto con una immediata sintonia con la tradizione locale: è arrivato al palazzo reale con la sua 500 bianca, senza ornamenti, senza segni di potere trionfalistico, volutamente depotenziato di ogni lustro coloniale. Arrivando e ponendosi in tal modo – evidentemente ben preparato – ha creato le premesse di un fatto eccezionale.
Ahmad al Tayyeb: un discorso epocale
Poco dopo l’arrivo di Francesco, l’Imam Ahmad al Tayyeb ha potuto così pronunciare un discorso senza precedenti tra Islam gli uni contro gli altri letteralmente armati, anche di fronte a suoi “nemici inammissibili” della Fratellanza Musulmana. Al Tayyeb ha detto parole che – per porre un termine di paragone – possono avere il peso di quelle proferite dal Concilio Vaticano II in ambito cattolico occidentale moderno.
Rileggo qui le sue, per me stupefacenti, conclusioni: «Elogio il titolo di questo importante forum di dialogo tra Oriente e Occidente e il suo significato per la coesistenza umana. Tuttavia, riconosco le difficili condizioni in cui versa il nostro mondo moderno e le minacce all’esistenza umana e alla stabilità delle nazioni. A causa del mio riconoscimento e apprezzamento, come essere umano, per la gravità di queste crisi complesse, chiedo innanzitutto agli studiosi e ai pensatori religiosi di impegnarsi maggiormente nell’educazione dei giovani su questi fatti indiscutibili di comunanza religiosa.
Dovrebbero essere adattati nei moderni programmi accademici per insegnare e convincere i giovani che, agli occhi della filosofia religiosa, c’è spazio nella vita per coloro che hanno fedi, razze, colori e lingue diverse, e che la diversità culturale arricchisce la civiltà e stabilisce la pace che manca.
Invito inoltre i miei fratelli, gli studiosi musulmani di tutto il mondo, di ogni dottrina, setta e scuola di pensiero, a tenere un dialogo islamico, un dialogo sull’unità, la coesione e il ravvicinamento, un dialogo per la fraternità islamica, privo di divisioni, discordie e, soprattutto, di lotte settarie.
Occorre concentrarsi sui punti in comune e sui punti di incontro, con una comprensione delle differenze. Scacciamo insieme ogni discorso di odio, provocazione e scomunica e mettiamo da parte il conflitto antico e moderno in tutte le sue forme e con tutte le sue propaggini negative. Rivolgo, con cuore amorevole per tutti, questo speciale appello ai nostri fratelli musulmani sciiti.
Ribadisco che gli alti studiosi di al Azhar e del Consiglio musulmano degli anziani ed io siamo pronti a ospitare un incontro simile con cuore aperto e mani tese, in modo da poterci sedere insieme in un’unica tavola rotonda per mettere da parte le nostre differenze e rafforzare la nostra unità islamica su posizioni notoriamente pragmatiche e al servizio degli obiettivi dell’Islam e della sua legge, che vieta ai musulmani di cedere agli appelli alla divisione e alla frammentazione.
Dobbiamo guardarci dal cadere nella trappola di compromettere la stabilità delle patrie e di sfruttare la religione per alimentare il fuoco dei sentimenti nazionalistici e ideologici […]. In questa importante occasione per ospitare il dialogo tra Oriente e Occidente per il bene della convivenza umana, mi associo a tutti coloro che cercano la pace e il bene. Chiedo anche la fine della guerra russo-ucraina, per risparmiare le vite degli innocenti che non sono coinvolti in questa violenta tragedia. Chiedo di issare la bandiera della pace, non della vittoria, e di sedersi al tavolo del dialogo e del negoziato».
Francesco e al Tayyeb: esercizi di fraternità
Io – non da solo – penso che al Tayyeb non abbia fatto questo discorso straordinario per reverenza verso l’amico Francesco col quale ha firmato il Documento congiunto sulla fratellanza nel 2019. Credo tuttavia che la relazione personale lo abbia toccato profondamente per aver trovato un interlocutore che, presentandogli un volto non-docente, non in vena di umiliazioni o di ricordi coloniali, gli ha consentito di trarre da sé – o dall’alto – il meglio per il bene di tutti.
Ma con quale sciismo, realisticamente, può proporsi di dialogare l’Imam al-Tayyeb? Il gruppo culturalmente più rilevante a livello mondiale ed effettivamente capace di far incontrare ali in volo è la scuola di Najaf, cioè la casa-madre dell’ortodossia sciita guidata dall’ayatollah al-Sistani, colui che non ha mai piegato la testa davanti all’eresia teocratica di Khomeini.
Un incontro privato tra al-Tayyeb e al-Sistani – auspicato e forse propiziato da Francesco – era già stato previsto. Poi è stato aggiornato. Si farà presto? Sarà solo un incontro privato o molto di più? La voce di al-Tayyeb non l’ha detto.
Ha detto – ed è molto! – che l’Islam ha bisogno di pacificarsi, ha bisogno di finestre per guardare il mondo e tornare in relazione col mondo, attraverso uno sguardo credente: sì, perché al-Tayyeb era lì – come Francesco – unicamente quale leader religioso, o meglio, spirituale, non legato a doppio filo alla politica. Almeno così io penso. La porta l’ha aperta Francesco. Al-Tayyeb c’è entrato per guardare avanti, insieme.
Una nuova visione dell’Occidente a Oriente
Basta questo per dire che, in qualche modo, lo spirito del Concilio è approdato sulle sponde del Golfo? Leggiamo un’altra frase dell’Imam: «Forse sarebbe corretto dire che l’Occidente ha bisogno della saggezza dell’Oriente, delle sue religioni e dei valori morali su cui è stato allevato il suo popolo, nonché della sua visione equilibrata dell’uomo, dell’universo e del nostro Creatore.
Ha bisogno della spiritualità dell’Oriente e della sua profonda meditazione sulla realtà, per non essere più accecato dall’anteporre l’effimero all’eterno. È vero che “non è tutto oro quel che luccica”, come recita un vecchio adagio. L’Occidente ha bisogno dei mercati orientali e della sua forza lavoro per le sue fabbriche in Africa, Asia e in altri luoghi. Ha anche bisogno delle materie prime che si trovano nel profondo di questi due continenti, senza le quali l’Occidente non può produrre nulla. Non è né giusto né equo ricompensare la benevolenza con la povertà, l’ignoranza e le malattie.
Lo stesso si può dire per l’Oriente, che deve adottare la tecnologia occidentale e utilizzarla per il suo sviluppo tecnologico ed economico, oltre a importare prodotti industriali, medici, di difesa e di altro tipo dai mercati occidentali.
Gli orientali hanno bisogno di una nuova visione dell’Occidente, piena di equità e di carità. Hanno anche bisogno di una comprensione tollerante dei modi civili dell’Occidente e dei costumi occidentali, interpretandoli attraverso la lente delle circostanze particolari, degli sviluppi e delle risposte che l’Occidente ha pagato a caro prezzo per molti secoli».
Sto sognando?