«Il Rapporto è un appello alle autorità: la persecuzione dei cristiani nel mondo non è un problema che riguarda solo i fedeli, ma riguarda tutti gli uomini e donne della politica».
È uno dei passaggi iniziali del volume (Index) che Open Doors International dedica, anno dopo anno, a recensire le violenze anti-cristiane nel mondo. Pubblicato il 19 gennaio (2022), il rapporto può essere letto in parallelo ad altri: la nota dell’agenzia Fides sui missionari uccisi (30 dicembre 2021) e il rapporto dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), reso noto a novembre 2021.
360 milioni di persone a rischio
Da vent’anni si registra l’aumento progressivo della persecuzione anti-cristiana. Essa riguarda tutte le confessioni (cattolici, ortodossi, protestanti sia delle Chiese tradizionali che nuove): per l’anno appena trascorso l’Index parla di 5.898 morti, di 5.110 chiese distrutte, di 6.175 prigionieri. I numeri, largamente inferiori a quelli reali per la difficoltà di informazioni in merito, riguardano i cristiani, ma i territori e le nazioni dove si collocano evidenziano la pressione violenta contro tutte le minoranze e la forma autoritaria e non democratica del governo. Sono 360 milioni i cristiani a rischio.
La forma della persecuzione può essere violenta e devastante (“a martello”) o piuttosto “a pressione”, con un progressivo restringimento delle libertà. Vi sono tre motori attivi in molte parti del mondo: il tribalismo esclusivo, il laicismo estremo, i poteri abusivi e malavitosi. Gli attori maggiori delle persecuzioni nei due decenni scorsi sono il fondamentalismo islamico e l’islamismo statuale, il radicalismo religioso di tipo nazionalista, l’assenza delle autorità dello stato con la criminalità diffusa e organizzata, la tradizione antireligiosa dell’ideologia comunista.
Lo spostamento geografico in atto del fondamentalismo islamico verso l’Africa sub-sahariana (il 79% dei morti è in Nigeria, Burkina Faso, Congo e Mozambico), il disciplinamento forzoso motivato dalla pandemia, la crescita dei paesi che approvano leggi anti-blasfemia (sono attualmente 84), l’esplosione della tecnologia di sorveglianza (fino al riconoscimento facciale) e di “crediti sociali” (sull’affidabilità dei singoli): sono gli elementi più recenti del fenomeno persecutorio. Le violenze più tradizionali come il sequestro e la scomparsa delle persone o la stupro sulle donne e i matrimoni forzati (Africa e Asia), si accompagnano agli strumenti più sofisticati di controllo sociale (Cina).
I 22 testimoni
Il rapporto Fides nasce dalle cronache che l’agenzia delle Pontificie opere missionarie raccoglie giorno dopo giorno. Non ha la pretesa di fotografare l’insieme del problema (come fa la Fondazione pontificia, Aiuto alla Chiesa che soffre, che ogni due anni pubblica un corposo studio), ma sottolinea la dimensione testimoniale di singoli casi. Nel 2021 i missionari uccisi sono 22: 13 sacerdoti, 1 religioso, 2 religiose, 6 laici. 11 sono morti in Africa, 7 nei continenti americani, 3 in Asia, 1 in Europa.
«Parroci uccisi nelle loro comunità, in Africa e in America, torturati, sequestrati da criminali alla ricerca di tesori inesistenti o attirati dal miraggio di facili riscatti o ancora per mettere a tacere voci scomode, che esortavano a non sottomettersi passivamente al regime del crimine; sacerdoti impegnati nelle opere sociali, come ad Haiti, uccisi per rapinarli di quanto serviva per gestire tali attività, o ancora uccisi da chi stavano aiutando, come in Francia o in Venezuela, dove un religioso è stato ucciso dai ladri nella stessa scuola dove insegnava ai giovani a costruirsi un futuro; religiose braccate e uccise a sangue freddo dai banditi in Sud Sudan.
E ancora tanti laici, il cui numero cresce: catechisti uccisi negli scontri armati insieme alle comunità che animavano in Sud Sudan; giovani uccisi dai cecchini mentre si adoperavano per portare aiuti agli sfollati che fuggivano dagli scontri tra esercito e guerriglieri in Myanmar; una missionaria laica brutalmente assassinata per rubare un cellulare in Perù; un giovane saltato su una mina nella Repubblica Centrafricana mentre viaggiava sull’auto della missione; un catechista indigeno, attivista per il rispetto dei diritti umani in forma nonviolenta, ucciso in Messico». Tutti testimoni, con la loro vita, della fede e dell’amore per i poveri.
La vittoria dei talebani
L’associazione internazionale Open Doors, di ceppo protestante, costruisce il suo Index attraverso informazioni dirette dai paesi interessati o indirette dai media, recensendo le variazioni nella vita privata, familiare, sociale, civile ed ecclesiale e componendo il tutto in una griglia numerica che definisce la classificazione di un’ottantina di paesi in tre gruppi: persecuzione estrema (81-100 punti), persecuzione molto forte (61-80), persecuzione forte (41-60).
Gli 11 paesi più pericolosi per i cristiani sono: Afghanistan, Corea del Nord, Somalia, Libia, Yemen, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Iran, India, Arabia Saudita. Nove di essi sono di tradizione islamica o attraversati da forze fondamentaliste, a conferma del prevalere del fondamentalismo radicale come vettore principale. A ulteriore verifica vi è il sorpasso dell’Afghanistan sulla Corea del Nord che da vent’anni apriva la lugubre gerarchia.
La vittoria dei talebani sulle forze occidentali ha abbandonato la minoranza cristiana ad ogni possibile violenza. Essa ha davanti una persecuzione estrema sia nella vita pubblica sia in quella privata. L’apostasia dall’islam è considerata vergognosa e punita con la morte. I convertiti sono esposti a gravi conseguenze se la loro fede viene scoperta. Molti cercano ogni via per l’espatrio. Un profugo, nascosto in un paese frontaliero, ha detto: «La nostra situazione è disperata. Prego per poter abbandonare il paese verso un posto più sicuro. Qui devo nascondermi o sarò riportato in Afghanistan. Se succede rischio la morte».
La vittoria talebana ha ridato fiato e coraggio al fondamentalismo islamico nel mondo, riflettendosi subito nelle operazioni guerrigliere in Nigeria, Mali, Burkina Faso e Niger. L’estremismo islamico è all’opera in 38 paesi sui 50 più interessati dalle persecuzioni.
Quanto alla Corea del Nord: è da decenni al vertice delle denunce, ma le informazioni sono molto scarse. Si ottengono solo da quanti riescono a fuggire verso la Corea del Sud o dalle donne costrette a prostituirsi in Cina. Da quando si è installato il regime comunista (1948), le persecuzioni nel paese sono fra le più dure del mondo. Ogni attività religiosa è illegale.
Quando i cristiani vengono riconosciuti, sono catturati, torturati e inviati nei campi di lavoro. Sono valutati fra i 50.000 e i 70.000 i detenuti nei campi. Il 75% muore per le violenze, gli stenti e le torture. L’effetto della “legge sul pensiero antirivoluzionario” del 2020 ha ulteriormente aggravato la pressione sui cristiani e sulle “chiese familiari”, aggregazioni segrete a livello di conoscenti e familiari.
Nigeria e Cina
I numeri generali dell’Index sono già ricordati: 5.898 morti, 5.110 chiese distrutte, 6.175 prigionieri. Essi permettono di illuminare alcune situazioni locali.
Se l’88% dei morti è appannaggio dell’Africa, la Nigeria da sola ne rappresenta il 76%. Nel 2018 i morti erano 3.731, nel 2019 erano scesi a 1.350, ma risalgono nel 2020 a 3.530, per arrivare nel 2021 a 4.650. Sulle tensioni sociali fra le popolazioni di pastori degli stati del Nord (musulmani) e quelle agricole e stanziali del Sud (cristiani e musulmani) si sono incistati i gruppi del fondamentalismo islamico (Boko Haram, stato islamico e altri gruppi armati). Sembra chiaro che i cristiani, come le altre minoranze, non possono contare sulle forze di sicurezza nazionali.
Nonostante il significativo dialogo con i responsabili dell’islam locale, la situazione non migliora e i “dialoganti islamici” sono fatti oggetto di violenza come i cristiani. I gruppi estremisti perseguono con lucidità la distruzione di ogni traccia di presenza cristiana e arrivano a minacciare le zone finora risparmiate obbligando a chiudere le chiese se le popolazioni vogliono essere lasciate in pace.
La Nigeria, assieme al Pakistan, ha il maggior numero dei sequestri di persona, 2.510 nell’ultimo anno. Sono violenze particolarmente devastanti e che interessano prevalentemente le popolazioni cristiane, specie negli stati di Benue e Kaduna. Ne sono vittime i responsabili ecclesiali (per la richiesta di riscatto) e soprattutto le ragazze. Fatto che traumatizza le famiglie, nell’attesa angosciosa del loro ritorno. Per la volontà di proteggerle le si obbligano a stare a casa, privandole del fondamentale servizio scolastico.
Pakistan
La Cina continua nel suo progetto di sinizzazione delle fedi e di controllo del fatto religioso. Sono diminuiti i danni alle chiese e la loro distruzione. Ora è fatto con maggiore discrezione e senza clamori. Invocando l’emergenza della pandemia, si chiudono le chiese per poi mettere in atto procedure amministrative insormontabili alla loro riapertura. Nel corso degli ultimi 8 anni ne sono state chiuse 21.000. L’accordo provvisorio con la Santa Sede se funziona, con molta lentezza, sul versante della nomina dei vescovi, non ha prodotto alcuna eccezione sul piano delle vessazioni amministrative: proibizione di frequenza per i non maggiorenni, video-sorveglianza nelle chiese, penalizzazione nei “crediti sociali”.
L’arresto dei responsabili (in particolare per protestanti e cattolici “sotterranei”) fa parte integrante della strategia delle autorità per controllare e imbavagliare le Chiese. Nel corso del 2021 sono stati 1.100. È frequente la convocazione al posto di polizia per ore di interrogatorio e, talora, anni di prigione. Frequenti le condanne a multe molto sostanziose e a forme di “detenzione amministrativa” che sguarnisce le comunità dai loro responsabili.
L’India e il Pakistan condividono con la Cina il facile ricorso alla prigione. I cristiani si trovano in galera in base ad accuse generiche o false. Zafar Bhatti e Sajjad Masih Gill sono stati condannati all’ergastolo per supposti scritti blasfemi. In India il mito che preannuncia il pericolo della popolazione indu di diventare minoranza ha motivato in 10 stati una legge contro la conversione.
I cristiani, in particolare, sono accusati di convertire i poveri che servono. Interruzioni di celebrazioni religiose, sollevazioni locali contro singoli credenti, forme amministrative penalizzanti (è il caso dei fondi bloccati alla famiglia religiosa di santa Teresa di Calcutta) sono all’ordine del giorno. Soprattutto in Pakistan sono in crescita il sequestro di donne e ragazze. Sono prelevate, maritate a forza, abusate sessualmente e forzate alla conversione.
Laicismo europeo
«Nell’Europa di oggi non solo è fuori moda vivere la fede cristiana con convinzione, ma tale scelta può anche portare a gravi violazioni della libertà personale in importanti ambiti della vita come il lavoro e la formazione»: l’affermazione è del direttore dell’OIDAC (Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa), Madaleine Enzlberger.
L’istituto, che fa riferimento all’OSCE (associazione internazionale che lega 57 stati fra europei e altri) informa di anno in anno sui crimini contro le minoranze. Nell’ultimo anno sarebbero 7.000, un migliaio contro edifici e soggetti cristiani, oltre 2.000 di taglio antisemita, 1.200 sull’inclinazione sessuale dei singoli, 2.300 di stampo razzista, 300 contro i musulmani, 80 contro Rom e Sinti ecc. Presentando il rapporto, la teologa pastorale Regina Polak (Vienna) ha richiamato la crescente intolleranza e la lievitazione dei crimini anti-cristiani del 70%, attribuendo l’intera ondata dei crimini al secolarismo progressista e all’estremismo politico di radice fondamentalista islamica.
La fragilità riconosciuta dello studio è determinata dal numero degli stati che denunciano (42 su 57), dalla diversità dei criteri di misurazione, dalla politicizzazione di chi strumentalizza i dati e le vittime, come le maggioranze negli stati di Visegrad. Difficilmente si può parlare di persecuzione, ma di tendenze “cristianofobiche” sì.
Stupisce in merito la disattenzione dell’Unione Europea e, in particolare della sua burocrazia (meritevole in molti ambiti, non in questo), dove un certo radicalismo laicista trova benevolo ascolto. L’ultimo episodio, subito rientrato per decisione politica, è stato il documento di dicembre scorso sul “linguaggio” da praticare: meglio non usare il termine Natale e i nomi della tradizione cristiana.