A 80 anni dalle stragi di Volyn (Ucraina) dove, fra il 1943 e il 1944, furono massacrati 100.000 polacchi e, per ritorsione, 15.000 ucraini, le Chiese polacche e ucraine hanno firmato una dichiarazione comune il 7 luglio scorso (Perdono e riconciliazione).
Il percorso di comprensione reciproca, avviato nel 1987 e alimentato da una dichiarazione condivisa nel 2013, si ispira alla celebre lettera fra gli episcopati polacchi e tedeschi del 1965 (Perdoniamo e chiediamo perdono) ed è collocato sotto la protezione di san Giovanni Paolo II che fu uno dei protagonisti.
Rispetto ad allora, quando sia il governo polacco sia l’opinione pubblica dei due paesi si mostrarono nell’immediato fortemente ostili, l’attuale processo di comprensione reciproca si avvale del consenso dei due governi e dei due popoli.
L’accoglienza dei profughi e il cambiamento di clima
La guerra di aggressione della Russia all’Ucraina (2022-2023) ha costretto a rivedere i fondigli avvelenati delle memorie reciproche. Ma è stata soprattutto la straordinaria ospitalità delle famiglie polacche ai milioni di profughi in fuga dall’Ucraina, assieme al pieno appoggio politico di Varsavia a Kiev, ad accelerare la volontà di purificazione delle memorie.
«Milioni di polacchi hanno aperto le loro case e i loro cuori ai rifugiati ucraini. Il governo polacco fornisce l’assistenza sia ai rifugiati ucraini sia allo stato ucraino. Lo facciamo in vista del comandamento del Vangelo, ma anche nella consapevolezza che questa volta gli ucraini stanno lottando “per la nostra e la vostra libertà”. Paradossalmente, il risultato del tentativo russo di distruggere il popolo ucraino ha portato al riavvicinamento dei nostri popoli».
È uno dei passaggi finali della dichiarazione fra le Chiese che inizia facendo memoria dei molti massacri di cui i due popoli sono stati vittime e testimoni nel secolo scorso e nella convinzione che il processo di riconciliazione richiede di attingere ad «una giustizia superiore», a quanto il Vangelo suggerisce, in conformità alla pietas che tutti accomuna.
«A partire dal 1987, abbiamo realizzato molte iniziative comuni per la riconciliazione. Abbiamo discusso apertamente i casi difficili, definendo, in particolare, gli eventi di ottant’anni fa in Volyn come «eccidi e pulizie etniche le cui vittime furono decine di migliaia di persone innocenti: donne, bambini, anziani, soprattutto polacchi ma anche ucraini, e anche coloro che hanno salvato dal pericolo i vicini e i parenti»».
«Oggi, dopo l’apertura delle fosse comuni di Bucha, Irpin e Hostomel, comprendiamo tutti quanto sia importante citare per nome i colpevoli, riesumare le vittime e onorare il loro diritto a una degna sepoltura e alla memoria».
Il perdono è esperienza personale e interiore, mentre la riconciliazione chiede la partecipazione delle comunità e dei popoli e pretende verità e giustizia.
Liberi fra liberi uguali fra uguali
C’è un invito agli storici perché «aiutino a stabilire la verità su quegli eventi, sulla portata del dramma, ma anche sulla testimonianza di santità che brillava nell’oscurità».
In controluce, si percepiscono i nodi non ancora risolti: la memoria di figure come Stepan Bandera, a capo dei nazionalisti ucraini, apprezzato a Kiev e detestato a Varsavia, la richiesta polacca di riesumare i resti e dare sepoltura ai morti, la qualifica di genocidio (parte dell’opinione pubblica polacca) piuttosto che pulizia etnica.
Le firme della dichiarazione sono quelle del presidente della Conferenza episcopale polacca, Stanislaw Gadecki, e dell’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini, Sviatoslav Shevchuk. Ma, da parte ucraina, vi è stato il consenso dei cattolici di rito latino, del metropolita Epifanio della Chiesa ortodossa autocefala ucraina e del Consiglio pan-ucraino delle Chiese.
Alle manifestazioni dell’evento (7-9 luglio) erano presenti anche i due presidenti, il polacco Andrzej Duda e l’ucraino Volodymyr Zelensky. Qualche tempo prima, vi era stato nel parlamento polacco un importante discorso del presidente del parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk, dedicato ai tragici eventi di Volyn.
«Crediamo di scrivere – annotano i vescovi – in questi giorni difficili, nuove e importanti pagine nel libro della riconciliazione, per poter costruire un futuro comune di liberi con liberi e uguali con uguali».