L’architettura di Washington DC è disegnata per costruire uno spazio di venerazione dei simboli maggiori della democrazia americana, creando una geometria visuale che induce l’adorazione di costruzioni che incarnano letteralmente lo spirito di una Nazione che celebra la propria unicità come una missione portata oramai a termine.
La presa del Campidoglio di ieri, per mano di un’orda armata incitata all’orgasmo politico distruttore dal presidente in carica Donald Trump, assume quindi il tono simbolico di una profanazione del tempio della democrazia americana, che così stabile e compiuta poi non è. In termini politici, si è trattato di un tentativo di colpo di stato – o di qualcosa di molto simile, tenendo conto del fatto che le due Camere stavano procedendo all’atto costituzionale della ratificazione dell’elezione del nuovo presidente americano.
Il tutto sotto il segno di un’arrogante impunità: per il fatto che si è reso possibile qualcosa di simile da parte delle forze dell’ordine, da un lato, e per il fatto che si è permesso nel corso degli anni a Trump di arrivare a questo apparente epilogo della sua presidenza, dall’altro.
Sotto la foga urlante della massa che ha invaso il Campidoglio è caduto fragorosamente e senza onore in primo luogo il Partito repubblicano, delegittimato a essere rappresentante di quell’America che si è appropriata ieri di uno dei simboli vitali di un sistema democratico oramai esausto. Nello stesso tempo, si è presa in ostaggio anche la futura presidenza Biden (se ne verrà confermata l’elezione da un Congresso impaurito e scosso nelle sue fondamenta istituzionali).
Il messaggio lanciato è chiaro: non ci sono spazi di manovra per la prossima presidenza davanti al potere informale del grande padrone della Nazione – che non si sa bene se sia Trump o il risentimento violento che ha saputo far convergere intorno alla sua persona. Davanti a questo stato delle cose, l’elezione di due senatori democratici in Georgia assume il sapore di una vittoria di Pirro – inutile, stante la situazione che Trump ha saputo creare ad arte da un anno a questa parte.
Pensare a una legislatura che va avanti a forza di colpi di maggioranza nelle due Camere in mano a un Partito democratico in cerca di identità, sarebbe un suicidio civile e un omicidio politico di quel che resta della democrazia americana. Ma anche ogni tentativo di tornare a intessere una politica legislativa bipartisan, con la costruzione di quei compromessi e mediazioni continui immaginati dai Padri fondatori, in vista di un equilibrio in stato di tensione permanente che consenta un minimo di coesione nazionale senza che nessuna parte possa prevalere sulle altre, appare essere oggi difficilmente viabile perché delegittimato di ogni rappresentanza dall’ossessione per il potere incontrollato di Trump (e dell’America che in lui si rispecchia).
Non è la prima volta che la democrazia americana si affossa con le proprie mani, riemergendo poi dalla tomba della propria sospensione. Ma ogni volta che è successo ci si è ammazzati tra connazionali, come ci ricorda anche la cronaca della giornata di ieri. Se Biden riuscirà a traghettare il paese nei prossimi quattro anni, allora gli Stati Uniti avranno trovato uno statista inaspettato: d’altronde, in pieno spirito americano, sono le condizioni dell’ora presente che forgiano la statura politica di un leader.
Impegnato come sarà a riscattare la propria presidenza dalla prigionia a cui Trump l’ha costretta ancora prima di entrare in carica, Biden e la sua amministrazione avranno solo forze residuali da mettere in campo a livello di politica internazionale e di costruzione di equilibri un minimo stabili in un panorama geopolitico senza padroni dichiarati.
Un’occasione inaspettata che si offre all’Unione Europea, che si trova chiamata a impegnarsi nell’esecuzione politica definitiva del suo progetto nel mezzo della crisi pandemica – che, paradossalmente, ne ha accelerato la possibilità. Non certo per dare forma a una nuova egemonia europea del mondo, oramai impraticabile, ma per annunciare la viabilità di una nuova stagione di una democrazia possibile senza dipendenze sistemiche né sul versante occidentale né su quello del lontano oriente.
Se l’Unione Europea si accorge di quanto nessun commento di oggi dei fatti di Washington ha colto, allora questo potrebbe segnare l’inizio di una nuova era geopolitica. Il tempo è breve, ma l’occasione vale il tentativo dell’impresa – se Berlino e Parigi ne sono convinte e ne hanno le forze.