La condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte della Chiesa ortodossa filorussa del paese, il ruolo del “misticismo” di Putin e l’attenzione di papa Francesco all’invasione e alla sue conseguenze: sono le note più recenti dell’evento bellico sotto l’ottica del comportamento delle Chiese.
La condanna delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, fatta eccezione delle Chiese ortodossa russa e serba, è ormai conosciuta.
Ricordo solo quella dell’anglicano Justin Welby, arcivescovo di Canterbury, che l’ha definita un «atto malefico»; di Bartolomeo di Costantinopoli («un atto di palese violazione di qualsiasi nozione di legittimità internazionale»); e del patriarca di Romania, Daniel («una guerra lanciata dalla Russia contro uno stato sovrano e indipendente»).
Il primate ortodosso Onufrio contro Putin
La vera novità è l’esplicita opposizione all’invasione russa da parte della Chiesa ortodossa filorussa dell’Ucraina. Il vescovo Onufrio ha rovesciato il prudente giudizio espresso nei giorni precedenti (come l’Ortodossia russa si limitava a perorare la causa dei civili e ad aprire le chiese come rifugio antiaereo) nella notte fra il 23-24 febbraio.
«Come primate della Chiesa ortodossa ucraina (filorussa) mi rivolto ai singoli e a tutti i cittadini ucraini. Al di là dei problemi precedenti, sfortunatamente la Russia ha lanciato operazioni militari contro l’Ucraina. In questo tragico momento esorto: non fatevi prendere dal panico, siate coraggiosi e mostrate l’amore per la patria e per gli altri. Vi esorto anzitutto a intensificare la preghiera penitenziale per il nostro paese, per il nostro esercito e il nostro popolo. Vi chiedo di dimenticare gli scontri reciproci e le incomprensioni per unirci nell’amore di Dio e della nostra patria. (…) Difendendo fino all’ultimo la sovranità e l’integrità dell’Ucraina, ci appelliamo al presidente della Russia perché cessi immediatamente questa guerra fratricida».
Una sua presa di distanza c’era stata anche in occasione dell’occupazione della Crimea (2014), ma mai in termini così netti. E questo nonostante i numerosi attacchi vandalici verso le chiese delle comunità filorusse da parte della popolazione. Si rompe il fronte ortodosso slavo favorevole alla Russia.
Cirillo omologato a Putin
Il patriarca moscovita Cirillo, il suo numero due, Hilarion, e l’intera cupola ecclesiastica sono saldamente fermi: nessuna condanna e nessun dubbio sull’operazione bellica. Soltanto si premurano di esortare a salvaguardare i civili e di mettere in atto il salvataggio degli anziani e dei malati. Mai una parola esplicita come invasione, guerra e, soprattutto, Putin.
«I popoli russi e ucraini condividono una lunga storia comune di secoli». L’affermazione è stata ripetutamente espressa da Putin negli ultimi mesi. A questa Cirillo aggiunge la speranza di «superare le divisioni e le contraddizioni che sono sorte e che hanno portato all’attuale conflitto». Per ironia del caso, il giorno prima (23 febbraio), il patriarca ha celebrato la giornata dell’esercito e nel suo discorso ha reso omaggio ai «fatti d’arme di quanti hanno servito nell’esercito, proteggendo le frontiere della nostra terra natale e prendendosi cura di rafforzare la sua capacità di difesa e di sicurezza nazionale».
Esalta il coraggio, la bravura e la determinazione delle armate russe e del servizio militare, «una dimostrazione effettiva dell’amore evangelico per il prossimo e un esempio di fedeltà agli elevati ideali morali della verità e della bontà». «Purtroppo anche ora emergono minacce. Tutti conoscono che cosa sta accadendo ai confini della nostra patria. Credo che ciascuno dei nostri militari non debba avere dubbi sul fatto di avere scelto la strada giusta» nel servizio nell’esercito.
Una convinzione molto coltivata. Cirillo, al tempo della guerra cecena, fece approvare dal Sobor mondiale del popolo russo da lui ideato e presieduto la risoluzione sul carattere sacro del servizio militare creando un dipartimento sinodale per i rapporti fra Chiesa ed esercito. Speculare, anche se meno esposta, la posizione della Chiesa ortodossa serba, da sempre vicina alle indicazioni di Mosca.
Belgrado e la diaspora
In una dichiarazione del patriarca di Belgrado Porfirio si dice: «Ogni guerra è una tragedia e per noi è doloroso che si scontrino due stati fratelli e due popoli appartenenti alla stessa fede». Si augura che il più rapidamente possibile «cessino le armi e cominci il dialogo».
Concretamente il patriarca, dopo un incontro con il presidente della Serbia, non condanna l’invasione russa e approva la decisione del presidente Alexsander Vučić di non condividere l’imposizione delle sanzioni alla Russia decise dall’Unione Europea di cui la Serbia è membro.
Senza riflesso politico, ma indicative, le tensioni fra le tre giurisdizioni ortodosse in Francia, dove la più esplicita condanna della Chiesa di tradizione russa (quella nata dai fuoriusciti della rivoluzione del 1915) si scontra con il sostegno all’indirizzo del patriarca di Mosca da parte della più recente eparchia direttamente dipendente da Cirillo. Ilia II, patriarca della Georgia scrive: «Sulla base dell’amara esperienza della Georgia (parzialmente occupata dai russi nel 2008), sappiamo come l’integrità territoriale di un paese sia importante. Per questo osserviamo la situazione tesa in Ucraina con uno stringimento del cuore». E in un suo tweet aggiunge: «Le ostilità in Ucraina devono finire al più presto, altrimenti si trasformano in una tragedia mondiale».
Mistica o potere?
L’irosa e pervicace decisione di Putin di invadere l’Ucraina ha fatto scrivere del suo messianismo e del suo misticismo. La santa Russia come spazio sacro, come “nuovo Israele”, popolo eletto, baluardo etico di fronte alla corruzione dell’Occidente sarebbero le premesse non dette delle azioni del presidente russo.
È vero che nel corso degli anni Putin ha assunto le connotazioni di un certo misticismo russo, ponendosi interrogativi sulla sofferenza e la morte. È altrettanto vero che il suo mentore spirituale è mons. Tikhon e che lui partecipa alle grandi funzioni dell’Ortodossia (cf. Putin, il mistico in SettimanaNews). Ma la sua adesione alla fede ortodossa non si schioda dalla sua funzione prevalente di plenipotenziario del paese e dalla sua pregressa militanza comunista e atea.
In alcune frange filo-monarchiche è fatto passare come cripto-monaco dell’Athos, reincarnazione dello Zar Nicola II ucciso dai bolscevichi nel 1918. Negli stessi ambienti si afferma che il suo riferimento culturale sia Ilia Iline (1883-1954), filosofo antibolscevico e antioccidentale, secondo cui la Russia rinascerà quando riapparirà un altare per Dio e un trono per lo zar. Ma non è casuale che per Putin il disastro supremo del secolo scorso per la Russia sia stato la deflagrazione del paese del 1990 e non la fine dei Romanov del 1918, che non abbia messo in conto la critica della Chiesa ortodossa filorussa in Ucraina (primate Onufrio), che non rifugga dal riproporre come eroica la figura di Stalin anche nelle immagini dentro le chiese e disponga nuovi monumenti al dittatore in Donbass e in Russia.
La maggioranza degli osservatori non percepisce il peso dell’anima russa e della sua tradizione religiosa e si accontenta di vedere in Putin i segni di una degradazione mentale, verbale, comunicativa, uno stile grottesco e una sconnessione con la realtà. Sarebbe spaventato dalla previsione di una nuova Norimberga.
Il papa e l’ambasciatore
Papa Francesco, dopo aver indicato una giornata di preghiera per la pace in Ucraina, ha riproposto di rinnovarla in occasione dell’avvio della Quaresima (2 marzo).
Ha mostrato piena solidarietà ai cattolici e al popolo ucraino, ha lodato la decisione dell’arcivescovo maggiore dei cattolici di rito greco, Sviatoslasv Shevchuk, di tornare nel paese per condividere la sorte dei suoi.
E, sorprendentemente, ha visitato l’ambasciata russa presso la Santa Sede per esprimere chiaramente la sua preoccupazione per la guerra. Se il Vaticano potrà avere un ruolo di mediatore si vedrà solo in futuro.