Forse non tutti sanno che nella terza strofa dell’inno di Mameli si parla del «sangue polacco». E forse ancora meno persone sono consapevoli che l’inno polacco è stato composto a Reggio Emilia e che nel ritornello di parla di una marcia «dall’Italia alla Polonia».
Legami e differenze
Basterebbero questi piccoli richiami per farci capire quanto il legame fra i due popoli sia antico: Italia e Polonia del resto condividono una unificazione nazionale tardiva e sofferta, una lunga dominazione straniera e un’identità nazionale fortemente legata alla religione cattolica.
Sono però molte anche le differenze, a partire dall’aspetto politico. Ricordo tutta la mia fatica, qualche anno fa, nel dover spiegare a un giovane sacerdote polacco che cos’era il Partito Democratico: impresa abbastanza complicata di per sé, figuriamoci di fronte a chi ha vissuto per decenni l’oppressione comunista e non riusciva proprio a spiegarsi quale punto di incontro poteva esserci fra ex comunisti ed ex democristiani.
Ma come se la passa, oggi, la Polonia? Qual è il Paese andato alle urne lo scorso 15 ottobre, battendo per affluenza tutte le votazioni precedenti? Perché quelle elezioni erano considerate dai polacchi e da molti esperti internazionali un bivio? Da dove viene e dove va la Polonia?
Se ne è parlato il 23 ottobre a Formigine, in una serata organizzata dal Centro culturale Ferrari in vista delle prossime elezioni europee. Ospiti il prof. Gianfranco Baldini (professore di Scienza Politica all’Università di Bologna), Simona Guerra (senior Lecturer all’Università del Surrey) e la musicista Cristina Ganzerla.
Tre tappe storiche fondamentali
«Per comprendere quello che sta succedendo dobbiamo distinguere tre momenti storici – ha spiegato Gianfranco Baldini –. Il primo è il crollo del muro di Berlino, momento in cui la Polonia acquisì un ruolo di punta fra gli stati che ambivano a liberarsi dal potere sovietico».
Sono gli anni di Solidarnosc, di Lech Walesa, di papa Wojtyla… anni in cui ci fu l’illusione che il percorso di democratizzazione sarebbe stato pacifico e senza problemi. Ma l’ingresso nell’Unione Europea portò effetti collaterali, come l’accusa di voler imporre un controllo e una «ortodossia» occidentale, e alcuni partiti sono arrivati ad accostare Bruxelles a Mosca.
Questo è il secondo punto, che ci parla della fragilità della nostra liberaldemocrazia: i partiti che chiamiamo populisti, in nome del popolo, attaccano principi liberali come la divisione dei poteri e i diritti delle minoranze. Ed è un grosso problema.
«C’è un copione dell’illiberalismo – ha spiegato Baldini – che si svolge in Ungheria prima e in Polonia poi: diminuzione delle libertà dei media, magistratura sotto il controllo della politica e restrizioni di diritti nell’ottica di una visione tradizionalista ed iper-conservatrice della nazione».
E questa è la terza fase della Polonia contemporanea, iniziata con l’incidente aereo di Smolensk – diventato episodio chiave di una narrazione complottista – e proseguita con la vittoria del 2015 di Pis, Diritto e Giustizia, il partito che ha controllato la Polonia in questi ultimi anni.
La contraddizione europea
Ma la situazione è chiaramente più complessa e la Polonia di oggi è inserita in diverse contraddizioni. È il quinto Paese più grande dell’UE per popolazione, è il Paese che riceve più fondi dall’Europa ed è una nazione fortemente europeista: gli ultimi sondaggi parlano di un sostegno all’UE intorno al 90%. Eppure il partito al potere dal 2015 a oggi si è posto più volte contro Bruxelles.
«Dal 2015 a oggi il Pis ha preso molte decisioni contro i principi democratici – ha spiegato Simona Guerra – e secondo molti esperti con una vittoria di quel partito alle elezioni dello scorso 15 ottobre probabilmente la Polonia poteva dire addio ai sistemi democratici per diventare un’autocrazia elettorale».
Punti centrali della narrazione di Pis sono la lotta all’immigrazione, vista come «aggressione all’identità europea» e il sostegno a politiche pro life e contrarie alle rivendicazioni LGBT. «Nel 2015, in alcune città, si era diffusa la pratica di creare aree «libere dai gay», pratica bloccata dopo la minaccia di congelamento dei fondi da parte dell’Unione Europea. Ma la narrazione su questi temi resta molto forte».
Il panorama politico
Ma chi erano i protagonisti della sfida elettorale dello scorso 15 ottobre? È innanzitutto necessario chiarire che in Polonia non esiste più un partito di sinistra riformista. I legami con l’ex partito comunista e alcuni scandali hanno portato alla scomparsa di una formazione che pure in passato ha avuto successo e che si avvicinava alla SPD tedesca.
I due rivali principali sono stati quindi il Pis di Jaroslaw Kaczynski e la Piattaforma Civica di Donald Tusk, entrambi espressioni di partiti conservatori. Sia Tusk che Kaczynski facevano parte di Solidarnosc ma poi le strade si sono divise e se il primo ha scelto un conservatorismo liberale ed Europeo (in linea, per intenderci, con il Partito Popolare Europeo) il secondo ha virato su posizioni più illiberali ed euroscettiche. A completare il quadro esiste un raggruppamento di centro, un partito di sinistra radical-ambientalista e una formazione di destra molto estrema.
Com’è andata? Diritto e giustizia (il Pis) ha ottenuto la maggioranza dei voti (35,4%) ma da solo non riuscirà a raggiungere la maggioranza in parlamento e non ha alleati. Mentre Piattaforma Civica (30,7%), i centristi di Terza Via (14,4%) e la Nuova Sinistra (8,6%) insieme avrebbero numeri sufficienti e hanno già dichiarato di essere disponibili ad un’alleanza, sotto la guida dell’ex presidente del Consiglio europeo Tusk. Non sarà un percorso facile, visto che il Presidente della Repubblica appartiene al Pis e che questo partito non pare voler passare la mano molto facilmente. Ma la strada sembra essere segnata.
Cosa racconta il voto
Il voto non è stato uniforme. Indicazioni interessanti arrivano, per esempio, a livello territoriale: nelle aree più ricche, urbanizzate e occidentali stravince la coalizione di Tusk, mentre la vittoria di Pis è netta nelle piccole città e nelle zone orientali. Molto utile anche un’analisi per fasce di età: tra i giovani Coalizione Civica è saldamente in testa e il partito di Kaczynski è addirittura dietro a tutti i partiti principali, mentre fra gli ultrasessantenni Pis ha un enorme successo.
Merita attenzione lo studio del voto visto dal punto di vista religioso, in un Paese fortemente legato all’identità cattolica e privo di una tradizione di cattolicesimo progressista. Il Pis nei mesi precedenti alle elezioni ha spesso fatto pubbliche donazioni alle parrocchie e i temi pro-life ed LGBT hanno avuto un grande peso.
«Il fattore religioso in Polonia è rilevante – ha spiegato Simona Guerra – anche se negli ultimi anni il cattolicesimo ha perso forza. Ci sono meno persone che vanno in chiesa e ci sono altre persone che hanno una visione più indipendente. Molti in Polonia vanno a votare la domenica mattina, dopo essere stati a Messa, ma se prima era determinante ascoltare l’indicazione del prete, ora c’è più indipendenza. In ogni caso dove il cattolicesimo è più forte è più largo il successo di Diritto e giustizia, visto il sostegno arrivato da Radio Maria e dai giornali di quell’area».
Le sfide e le risposte
Dove va la Polonia? Rispondere a questa domanda è ancora piuttosto complicato, ma con i risultati delle ultime elezioni pare che la strada scelta sia quella europea. Le sfide certo non mancano e, fra queste, anche quelle interne alla Chiesa: come contrastare una secolarizzazione che avanza, come porsi nei confronti di una società che pare voler rifiutare quel modello di cattolicesimo conservatore su cui una parte consistente del clero aveva investito? La Polonia si avvia ad affrontare problemi già visti in molti altri stati europei: quale sarà la risposta della Chiesa polacca? Mettersi in difesa di una fede identitaria è davvero la soluzione giusta?
E le domande riguardano poi anche l’Italia e il resto d’Europa. I contesti cambiano, così come cambiano gli ingredienti che compongono il quadro politico e sociale dei diversi stati.
La sfida per le democrazie resta quella di coniugare l’identità delle nazioni e la globalizzazione, il popolo e le élite, la rivoluzione tecnologica e i lavoratori dimenticati.
I populisti a tutto questo forniscono risposte inefficaci ma di impatto immediato, mettendo in pericolo la tenuta stessa delle istituzioni liberali. Ma qual è la risposta delle democrazie? L’impressione è che questo problema sia ancora lontano dal trovare una soluzione.