La Giornata della Memoria è la testimonianza di un vero e proprio «evento di verità», ancora non pienamente metabolizzato nelle nostre coscienze, nel senso avanzato da Alain Badiou, per aver messo a nudo, da una parte, quella che il primatologo Richard Wrangham ha chiamato «aggressività proattiva», cioè premeditata e prerogativa dell’Homo sapiens e suo «enigma», dall’altro, in quanto convive con la stessa bontà, come viene chiarito nel suo lavoro dal titolo significativo: Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana (Torino, Bollati Boringhieri 2019).
Tale «paradosso della bontà», e nello stesso tempo «sconcertante dato di fatto» per il biochimico Angelo Vianello, ancora non ha ricevuto adeguata risposta in campo scientifico, ma è un problema sempre più pressante date le sfide planetarie del XXI secolo che potrebbero vederci protagonisti «del degrado, forse della distruzione, dell’originario “Paradiso terrestre” della nostra tradizione» (A.F. De Toni, G. Marzano, A. Vianello, Antropocene e le sfide del XXI secolo, Meltemi 2022 e Per una visione agapica dell’Antropocene, 3 marzo 2022).
Principi di speranza
Una «Giornata della Memoria» andrebbe estesa ad altri tragici eventi che hanno contrassegnato la nostra storia nei secoli, chiaramente tenendo conto delle specificità ed unicità che li hanno contraddistinti, per ben comprendere le diverse dinamiche che li hanno resi possibili. Si dovrebbe inoltre farne oggetto di un vero e proprio capitolo del pensiero filosofico-scientifico incentrato sulla violenza, come ha fatto Lorenzo Magnani in un lavoro del 2011 e recentemente riproposto in una nuova versione Filosofia della violenza (Mimesis 2022).
In tal senso, si sta rivelando insostituibile lo stesso pensiero complesso, come ha ben evidenziato Edgar Morin nei suoi diversi scritti sulla natura umana, nel farci prendere coscienza del fatto che siamo insieme Homo sapiens-demens (Edgar Morin: voce delle verità polifoniche della complessità, 18 giugno 2020), in balìa della «potenza delle forze regressive» che ci possono portare «verso l’abisso», come viene ribadito in uno dei suoi ultimi scritti Svegliamoci! (Mimesis, 2022).
Nello stesso tempo diamo alito ad eventi «improbabili». Infatti, nei momenti e nei luoghi dove si verificano i maggiori crimini, facciamo sorgere quelli che con lo stesso Morin si possono considerare «principi di speranza» che generano quasi come contrappeso delle esperienze che da sole hanno la capacità di risollevare le nostre sorti e di farci intravedere ben altri scenari.
E per questo ci sarebbe bisogno di più «Giornate della Memoria» in quanto aiuterebbero a prendere atto della presenza di figure che vanno sempre rivisitate e ascoltate per l’insieme di risorse teorico-esistenziali che continuano ad offrire per aver vissuto con intensità i momenti più drammatici nel tentativo di darne un senso.
Anche se ne sono state vittime, ci hanno fatto dono di insostituibili «rimedi razionali», a partire dall’esempio delle rispettive vite, per usare un’espressione di Hélène Metzger che si consegnò ai suoi oppressori in nome della «vera scienza» e della «vera filosofia» (Hélène Metzger, vittima della Shoah, filosofa della scienza, 27 gennaio 2021), in quanto hanno cercato con tutte le loro forze di non farsi travolgere dalle logiche perverse di un pensiero asservito ai totalitarismi del primo Novecento.
Tutti i totalitarismi vecchi e nuovi, pur diversi con gli strumenti che mettono in atto, mirano in primis ad annientare le capacità critiche degli individui e le loro capacità di reazione col renderli silenziosi, tagliandone le teste e a volte solo «svuotandole» a dirla con il mass-mediologo Herbert McLuhan.
Incontrare Dio all’inferno
Da tali tragici contesti hanno levato la loro voce due figure del primo Novecento, come Etty Hillesum e Pavel Florenskij, che hanno vissuto i rispettivi «inferni» col rimanerne sì vittime, ma col consegnarci delle esperienze ancora vive che vanno tenute attive nel nostro «piccolo Pantheon portatile», per usare un’espressione di Alain Badiou, in quanto ci costringono da una parte a non continuare a mentire sulle regressioni della nostra natura umana e dall’altra a vedervi dei segnali orientati a volte a far germogliare dei «principi di speranza».
Lo delinea bene il breve ma denso scritto del 2014, ora in seconda edizione, di Riccardo Beltrami dal significativo titolo: Incontrare Dio all’inferno. L’esperienza mistica nel pensiero di Etty Hillesum e Pavel Florenskij (Terni, Kion Editrice 2023). Tale lavoro si inserisce nell’interesse sempre crescente sia per Etty Hillesum come donna e vittima dell’Olocausto, sia per la complessa figura di Pavel Florenskij, da pochi anni finalmente al centro di un’importante anche se pure tardiva riscoperta, sia in Italia sia all’estero, grazie soprattutto a Silvano Tagliagambe da anni impegnato con vari lavori ad evidenziarne la portata teoretica ed esistenziale, come Leggere Florenskij del 2006 e oggi riproposto (Mimesis 2022), e Il cielo incarnato (Aracne 2013).
Attraverso una lettura attenta dei loro scritti, Beltrami prende in esame le rispettive tragiche esperienze, subite ma interrogate nel loro significato più profondo in quanto hanno «incarnato» i concetti di base del loro pensiero. Esse sono accomunate dal fatto di essere state attraversate in un primo momento da quella che viene chiamata giustamente una vera e propria «conversione»; e poi dall’accettazione di un destino interrogato e vissuto alla luce delle rispettive esperienze mistiche.
È questa l’originale ottica critico-ermeneutica avanzata in tale saggio, ottica che si rivela nel panorama degli studi su queste due figure strategica per accomunarle e nello stesso tempo per interrogarle come testimonianze concrete del fatto di essere divorate insieme dal «fuoco della verità», per usare un’espressione dello stesso Florenskij (Pavel Florenskij: Il fuoco della verità, 16 gennaio 2020).
Il loro pensiero non viene mai staccato dalle radicali scelte di vita fatte in contesti diversi, ma accomunate dal vivere intensamente uno dei periodi più drammatici del primo Novecento e dall’immolarsi come due veri e propri «martiri», dall’essere pertanto «comunicatori della loro esperienza mistica con l’Assoluto», con l’emanare così quel particolare «potere», come lo chiamava Kierkegaard, che deriva dall’essere immersi pienamente «nella situazione della realtà».
Etty Hillesum
Il saggio ripercorre i momenti salienti dell’esperienza di vita di Etty Hillesum col ricercare la genesi della sua intensa spiritualità; l‘incessante «lavorio interiore» l’ha portata a dotarsi di un «patrimonio spirituale», frutto di un «triplice incontro: con se stessa e con la sua cultura ebrea, con Dio e l’umanità», che le ha permesso di vivere il campo di concentramento come un luogo di «preghiera», di perdonare i suoi aguzzini e di interrogarli nella loro stessa umanità.
Beltrami, attraverso una attenta lettura del Diario e delle lettere di Hillesum, si sofferma sul momento della «svolta» quando ella da ebrea arriva a «inginocchiarsi», gesto che ha imparato a fatica, dove avviene l’incontro con Dio, che si rivela in modo gratuito liberandola da ogni logica di possesso e di dominio; ma è nel momento della scoperta della Sacra Scrittura e soprattutto grazie alla lettura e alla meditazione scaturita dal Vangelo di Giovanni che scaturisce la forza della preghiera in lei sino a diventare «tutt’una con la Bibbia».
È d’altronde molto interessante come Beltrami illustri con opportune citazioni tale percorso di conquista di questo particolare patrimonio spirituale, mettendone in luce gli aspetti specifici, come ad esempio il fatto che la preghiera con i Salmi diventano il suo pasto mattutino a digiuno.
Ma è nell’incontro con l’umanità dolente dei campi di concentramento che tale patrimonio di spiritualità si disvela in tutta la sua ricchezza, sottolineata dal fatto che Hillesum vorrebbe trovarsi, come annota nel suo Diario, in «tutti i campi sparsi nell’intera Europa» in fratellanza con i cosiddetti «nemici».
Beltrami sottolinea il potere della preghiera che le ha permesso una «umanizzazione sempre maggiore» sino all’amore stesso per i suoi aguzzini considerati persone da amare e da salvare, di essere una «casa dalla porta aperta». In tal modo è possibile, per usare una sua metafora, riempire le «case vuote» delle vite delle persone e avviare un percorso di condivisione della sofferenza di un intero popolo collo «spezzettare» il proprio corpo come afferma il 12 ottobre del 1942.
Pavel Florenskij
Anche la poliedrica figura di Pavel Florenskij viene indagata attraverso la profonda spiritualità che ne ha caratterizzato l’intensa attività di scienziato, filosofo, teologo e di testimone della fede sempre tesa a combattere ogni forma di pensiero chiamato «tendenzioso», che traduce delle semplici ipotesi in «dogmi» facendo delle teorie «una religione», come viene scritto nel volume Il simbolo e la forma (Bollati Boringhieri 2007) che raccoglie alcuni dei suoi più significativi saggi.
È stata la ricerca costante della verità in tutte le sue articolazioni scientifica, religiosa e artistica l’elemento saliente della vita del pensatore e sacerdote russo che Beltrami esamina ripercorrendone le varie tappe dai primi anni del Novecento sino alla deportazione nel gulag e poi alla morte voluta da Stalin, dopo aver dato un notevole contributo all’industrializzazione del suo paese su invito dello stesso Lenin.
Tutta la sua vita dedicata interamente alla conoscenza gli ha permesso, come mette in evidenza Beltrami, di scorgere dovunque, anche in quei luoghi di disperazione che erano i gulag, da un lato la bellezza del creato e dall’altra la gratuità del bene, come emerge dalle lettere ben analizzate ai cinque figli contenute in Non dimenticatemi, un testo che si può considerare come un pieno di principi operativi di speranza oltre che un non comune quasi testo di pensiero complesso (Una vita per l’unità dello scibile: Pavel Florenskij, 30 luglio 2020).
Così le stesse ricerche scientifiche prima, le opzioni filosofiche dopo, come soprattutto quella forma particolare di platonismo che caratterizza il percorso del pensatore russo, vengono indagate da Beltrami attraverso il filtro dell’esperienza mistica come «comprensione-contemplazione» di una realtà trascendente che fornisce un diverso e più profondo significato all’esistenza, dove gli stessi concetti vengono ad «incarnarsi».
Così la stessa filosofia del simbolo elaborata da Florenskij, oggetto di studio da parte della più recente letteratura critica ed in particolar modo da Silvano Tagliagambe, viene vista alla luce di tale esperienza che mette in contatto colui che conosce e l’essenza ultima della realtà. Il simbolo diventa così il luogo della verità, l’incontro tra finito e infinito dove tale essenza si rivela, dove si possono attingere i misteri della natura e viene a realizzarsi la via pulchritudinis «come porta di accesso alla mistica».
Beltrami sottolinea a più riprese come il contatto con la natura porta Florenskij a interrogarsi sull’essenza del reale che gli permette di esperire Dio. Nello stesso tempo anche la creazione artistica gioca un ruolo decisivo in quanto permette all’anima di sollevarsi dal mondo terreno per approdare al mondo celeste, diventando una «porta regale di accesso all’Assoluto».
Per questo motivo il pensatore russo dedica molto spazio della sua riflessione all’icona che permette il passaggio dal mondo visibile a quello invisibile e di contemplare Dio in persona; così l’autore di una icona è un asceta che attraverso l’arte fa esperienza della dimensione divina.
La scienza e filosofia diventano così delle strade per penetrare l’essenza e contemplare il mistero, per cogliere la verità ed essere ad essa sempre fedele. Si sottolinea come in Florenskij la verità coincide con l’esistere, con ciò che è con dargli adeguata voce e solo facendo esperienza di essa la si può conoscere integralmente sia dal punto di vista logico che mistico.
Per questo viene messo in evidenza il suo sentirsi, come dice lo stesso Florenskij, un «fuoco divoratore», un «torrente infuocato che mi ribolle nelle vene» con la «segreta speranza di incontrarla»; un percorso che lo accomuna a quello di Simone Weil, «assetata di verità», come diceva di lei Albert Camus.
La «diaconia della verità»
Beltrami, nel tracciare le esperienze di vita di Hillesum e di Florenskij, li ha accomunati nel loro essere umili e costanti «servitori» del vero, nel portare a termine una unica e principale missione, la «diaconia della verità» e quasi, con parole che prendiamo da Nicolás Gómez Dávila, nell’essere «assaltati» da essa per poi farla «rivelare» nelle diverse pieghe che prende nel reale.
Le rispettive testimonianze di vita si possono ritenere degli autentici «rimedi razionali» per mitigare i nostri istinti violenti e regressivi e coltivare i «principi di speranza» col renderli il più possibile eventi sempre più probabili, frutto delle nostre scelte. Ed i loro percorsi sono considerati come delle risposte di senso a delle domande dell’uomo in contesti drammatici. Anche perché, come dice la stessa Hillesum, non serve a niente aver salvato il proprio corpo se al mondo impoverito del dopoguerra non si è fornito un «nuovo senso delle cose».
Del resto a simili punti di vista è approdata negli stessi anni Simone Weil nella sua ultima fatica L’Enracinement, lavoro imperniato sulla necessità di una rifondazione morale e civile del mondo intero per rendere meno pervasiva la nostra ‘aggressività proattiva’ e tracciare dei processi generativi di nuova fraternità nei diversi contesti in cui si viene ad operare e che deve caratterizzare con urgenza il nostro secolo, come viene indicato da più parti da Edgar Morin e Mauro Ceruti a Papa Francesco.
Tale è l’eredità di queste due figure per il mondo odierno per Riccardo Beltrami che ha avuto il merito di leggere le loro esperienze interrogandole nel profondo dei rispettivi vissuti per trovare in esse degli strumenti in grado di farci diventare «cuori pensanti» dell’oggi e di far fronte alle sempre più complesse sfide che ci attendono.
Riccardo Beltrami, Incontrare Dio all’inferno. L’esperienza mistica nel pensiero di Etty Hillesum e Pavel Florenskij, Kion Editrice, Terni 2023. Pubblicato sulla rivista digitale Odysseo, 27 gennaio 2023.
Ringrazio per questo articolo che mi conferma di aver fatto scelte giuste inserendo nel mio Pantheon personale, da tempo, sia l’uno sia l’altro. Gesù è venuto a portare innanzi tutto speranza. Questa speranza immortale brilla in queste due figure che rendono onore a Dio.