Un’affettuosa lettera indirizzata al Cardinal Martini, che fu arcivescovo di Milano e del quale, a dieci anni dalla morte, si sente ancora nostalgia, apre il nuovo libro di don Armando Matteo La Chiesa che verrà. Riflessioni sull’ultima intervista di Carlo Maria Martini, edito da San Paolo.
Pungolo profetico
Il teologo calabrese, docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana, oggi chiamato da papa Francesco nel ruolo di Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, offre al pubblico una riflessione serrata sull’attuale crisi della fede nell’Occidente, prendendo spunto dalla statura e, ancor più, dallo stile del cardinal Martini, che viene descritto così: «Lo stile dell’intercessione: lo stile di chi procede sforzandosi di far dialogare mondi diversi» (p. 10).
Martini ci è riuscito egregiamente e rappresenta un pungolo profetico anche per noi. Partendo da qui, l’autore rilegge in modo straordinariamente efficace e attuale quella nota ultima intervista che il Cardinale rilasciò poco prima di essere consumato dalla malattia, nella quale denunciò il ritardo della Chiesa, il suo immobilismo, la sua incapacità di scuotersi; ma l’intuizione di fondo del testo – senza dubbio originale – è quella di indicare proprio nella figura e nel Magistero di papa Francesco la via per superare la paura paralizzante che ci contraddistingue e per edificare la Chiesa del futuro. Infatti, «nessuno più di lui ha invitato i credenti, in questi anni, allo sforzo di una nuova immaginazione del possibile ecclesiale… Francesco è la via per la Chiesa che verrà» (p. 19).
La tesi viene sviscerata anzitutto attraverso un’analisi che fa «vedere» plasticamente il ritardo accumulato dalla Chiesa e denunciato da Martini. In particolare, Matteo denuncia una visione ecclesiale e pastorale che non ha ancora preso sul serio il cambiamento in atto in Occidente, limitandosi a pensare che si tratta solo di qualcosa di nuovo e di diverso che si aggiunge al passato e che, quindi, richiederebbe al massimo qualche aggiustamento pastorale e niente di più.
Invece, siamo in presenza di un «mondo altro», i cui cambiamenti attestano la crisi attuale dell’agire ecclesiale, specialmente riguardo al contenuto dell’annuncio, alla relazione con l’universo giovanile, alla questione femminile. In questo contesto di crisi, tuttavia, la fede cristiana può essere ancora una parola fondamentale nelle terre del benessere, laddove le persone non sono più minacciate dalla povertà, dalla privazione e dalla durezza del vivere quanto da una pienezza e potenza che è diventata «egolatria»: un eccesso che stordisce e rende frenetici. La fede ci ricorda invece la nostra destinazione, il «per chi vivere», la mitezza di Gesù che è capace di orientarci al futuro migliore per tutti.
Inquieta domanda
Occorre pertanto passare «da una pastorale del cambiamento a un cambiamento della pastorale: è l’insieme che non funziona più e che richiede una totale riscrittura» (p. 100), oltre le resistenze tradizionaliste e identitarie, oltre lo spirito del risentimento. L’autore afferma che per il cristianesimo «è scattata l’ora della rinascita» (p. 131) e ne tratteggia il volto: una Chiesa in cui si possa realmente incontrare Gesù e la sua bellezza, che rimette al centro la Parola di Dio; che diventa luogo dove «si insegna il gesto della preghiera» (p. 145).
Una Chiesa che, nella liturgia come in altri momenti della sua vita, propone un’esperienza di festa e di incontro, rompendo il binomio fede-depressività e che, prima della disciplina appaia come luogo della prossimità e della comunione, uno «spazio autentico e concreto di comunione, di riconoscimento, di partecipazione» (p. 155).
Il testo si chiude in modo suggestivo con un capitolo in cui l’autore fa quasi «incontrare» il cardinal Martini e papa Francesco. La proposta finale si declina in dieci domande formulate a partire dal magistero di Francesco, affrontando le quali ci si potrebbe far carico del ritardo denunciato da Martini; esse riguardano il modo di immaginare la fede, la felicità nell’essere credenti, l’interesse per il destino del mondo, la misericordia, l’amore, la santità della vita quotidiana, il «quanto» sentiamo davvero la mancanza dei giovani, i sogni per la Chiesa e per il mondo e, infine, una domanda che resta al cuore di ogni domanda e di ogni cammino di fede: che fine ha fatto la tua inquietudine?
Nessuno più di Martini ci ha dato testimonianza di quella che papa Francesco chiama l’inquietudine interiore, scrive Matteo. Leggendo questo libro, si può ben dire che anch’esso pone al nostro cammino di credenti quella «inquieta domanda» che ci tiene desti e che, custodita nel cuore, apre spiragli nuovi per la Chiesa che verrà.
Armando Matteo, La Chiesa che verrà. Riflessioni sull’ultima intervista di Carlo Maria Martini, San Paolo, Milano 2022, pp. 207, € 18,00. Pubblicato su L’Osservatore Romano, 1° luglio 2022.
Penso sia noto il mio apprezzamento per Martini. Fatta questa doverosa premessa, francamente trovo un po’ strano questo “girare intorno a Martini”. Mi sembra un esercizio di retorica. Si dovrebbe andare invece con Martini oltre Martini. Martini non poteva prevedere per intero il cambiamento d’epoca. In più credo che non solo bisogna riflettere su Martini, ma bisogna agire: questo è il tempo dell’azione!!
Le parole di A. Matteo e di F. Cosentino, insieme a quelle di Martini, meriterebbero commenti più rispettosi. Questi antimodernisti sono noiosi e infinitamente ripetitivi.
“Modernismo” è stato sin da subito un termine per raccogliere e giudicare negativamente in blocco tutta una serie di idee, posizioni, opinioni, filosofie che avrebbero meritato di essere discusse e valutate separatamente, ma a chi comandava faceva comodo appiccicare un’etichetta per evitare il confronto. Ecco, anche l'”antimodernismo” è la stessa cosa, solo che è cambiato chi comanda.
Parole sante. Quelle di Andrea Grillo.
Per fortuna il tempo degli “ipse dixit” è terminato da un pezzo. La critica chiara e argomentata è il miglior rispetto che si può riservare ai “pensanti” i quali hanno a disposizione gli stessi mezzi per controbattere.
Quanto all’antimodernismo – dopo la “Pascendi dominici gregis” – dovrebbe essere patrimonio di ogni cattolico. Tanto più se pretende di insegnare la fede da una cattedra…
Grazie Prof. Siamo in un certo senso “abituati”, ma è davvero stucchevole che la critica sia sempre noiosamente la solita e che la necessaria e imprescindibile relazione con il mondo (che non è affatto un espediente politico o “pastorale” ma un dato teologico connesso all’incarnazione) sia ideologicamente tacciato di modernismo o di “adeguamento al mondo”. Ma si può dire una cosa del genere nel 2022? Dopo 60 anni di Concilio, dopo Gaudium et Spes, dopo mille altri pronunciamenti del Magistero e tanto cammino della teologia? A volte è battaglia persa: alcuni pensano la propria fede come una fortezza incrollabile e statica entro cui ripararsi dalla vita, dalla storia e dal mondo e non li schioderebbe da li neanche Nostro Signore…
Il problema è che si limitassero a stare nella loro fortezza in fondo cavoli loro. Il problema è che da lì lanciano pietre in testa al prossimo.
È evidente che lei legge i commenti altrui senza volerli capire e – come il povero don Chisciotte – mena fendenti nell’aria contro avversari frutto solo della sua immaginazione. Nel mio commento – per chi vuol comprenderlo – non si sostiene alcun “contemptus mundi” ma più semplicemente si contesta la oramai famosa frase del cardinale Martini sui pretesi 200 anni di arretratezza della Chiesa, ben conoscendo quale sia il sottotesto di quella frase. Ovvero l’agenda riformatrice che ai nostri giorni si incarna nel Synodale Weg germanico. Piuttosto – in quel commento – mi sembra di aver delineato delle polarità proprie della relazione della Chiesa con il mondo che evidentemente lei non ha colto.
Ma tant’è! Quanto al libro del p. Matteo non era certo l’oggetto del mio commento come è risulta chiaro a chi lo legge.
Saluti
Mi spiace si sia sentito così toccato dal mio commento che non era, in effetti, direttamente riferito a lei. Evidentemente ho colto nel segno.
Gentile Pietro, non rispondevo al suo di commento – come è evidente a chiunque veda lo schema ad albero delle risposte. Ne ritengo che lei abbia colto in alcun segno rimuginando di inesistenti fortezze o prendendo per pietre quelli che sono inviti a riflettere sulle nefaste conseguenze di certe “agende” ecclesiali. E qui mi taccio.
C’è inquietudine ed inquietudine. L’inquietudine Martiniana aveva tratti ambigui, con riflessi da crisi della fede, crisi della fede nel capo della Chiesa che è Cristo.
Si, perché se si pensa che la Chiesa debba adattarsi giocoforza a quanto il mondo (non di rado contro Dio e contro l’umanità) è andato partorendo negli ultimi duecento anni allora si ha poca fede in Colui che ha fondato la Chiesa.
Se si pensa che la Chiesa è obbligata da una sorta di darwinismo sociale a conformarsi allo “spirito del mondo” allora si ha poca fede in Colui che l’ha fondata.
Bisogna fare pace con la storia, lungi da ogni storicismo modernista.
La Chiesa non sempre si è potuta inculturare. Spesso è stata esculturata. Di frequente si è dovuta “incistare” in società avverse al Vangelo ed allo Spirito Santo restando in attesa di tempi migliori. In molti altri casi è prosperata portando salvezza alle società che l’hanno accolta.
Certo si è trasformata facendo tesoro delle culture con cui si è incontrata ma ha conservato la sostanza del deposito di fede. Così è rimasta cattolica e apostolica.
È la storia del popolo eletto e poi della Chiesa: Unversalità e particolarità, apertura e chiusura (“valutate ogni cosa e ritenete ciò che è buono” scriveva l’Apostolo).
In alcune aree poi, segnatamente quelle in cui è nata, la Chiesa è stata quasi sradicata riducendosi ad un tanto minuscolo quanto coriaceo “resto”.
È stato sempre lo Spirito di Dio a suggerire apertura (Ger 29,7) o chiusura (Ap 18,4 oppure Es 3, 7-10). Ma oggi chi ascolta la voce dello Spirito? Molti la confondono con la voce del “libero spirito”. Costoro sono a lavoro, loro malgrado, per minare l’unità (cattolicità) e la verità (apostolicità) nella Chiesa.
Caritatevolmente additano alle donne e agli uomini del nostro tempo pozzi avvelenati a cui abbeverarsi.
Auguri a tutti