La Chiesa d’Inghilterra, con il Sinodo generale del 2017, ha avviato un processo di riflessione e confronto sul ministero ordinato che è ora giunto alla stesura di un testo provvisorio, offerto alla discussione dei vari soggetti in causa, sulla base del quale redigere poi la versione definitiva di un «Patto per la cura e il benessere del clero». Lo sfondo è quello della consapevolezza che solo un ministero che sta bene può essere esercitato bene a favore dell’intera comunità cristiana – in primo luogo a livello parrocchiale e, poi, anche a quello più ampio della diocesi.
Un patto per la cura e il benessere del clero
L’idea di un «Patto» dovrebbe mettere in risalto il sostegno e l’impegno delle diverse realtà ecclesiali a favore del ministero stesso; che, a sua volta, è chiamato a imparare a prendersi cura di sé, a riconoscere in anticipo i segni di disagio fisico e psichico, e a confrontarsi con altri rispetto a queste dimensioni di vissuto personale.
Quello che si prospetta è il passaggio a una responsabilità condivisa rispetto al ministero tra il clero stesso, la comunità parrocchiale e la diocesi, così da poter mettere in atto delle pratiche condivise e generare una mentalità di apertura e compartecipazione. Tale dimensione di dialogo deve essere un abito permanente, da un lato, e, dall’altro, avere luogo «sia tra le parti in causa sia all’interno delle strutture e istituzioni che fanno la Chiesa d’Inghilterra». Questo al fine di generare forme di fiducia e affidamento che sono basilari in qualsiasi relazione di cura e supporto. «L’efficacia del ministero e le forme di responsabilità e cura reciproca si basano su relazioni mature e sane; senza fiducia questo genere di relazioni non possono prosperare». Questo implica anche una disponibilità, da parte del clero, a una verifica periodica dell’esercizio del proprio ministero pastorale (supervisione).
D’altro lato, le comunità parrocchiali devono essere disponibili a rivedere realisticamente le proprie attese rispetto al ministero ordinato, e a mantenere aggiornato il profilo complessivo della propria realtà pastorale – così che il ministro possa essere a conoscenza di quelli che sono i bisogni effettivi e centrali della comunità cristiana in cui opera.
Rispetto dei confini
Nell’intreccio fra ministero e comunità rimane importante la capacità reciproca di delineare «limiti professionali e personali» che contribuiscano all’edificazione di entrambi, e permettano una chiara delimitazione delle responsabilità specifiche a ciascuno. In questo, il ministero deve apprendere quali siano i modi adeguati per prendersi cura di sé, delineando spazi e tempi che non possono essere invasi dalle esigenze della comunità. Spazi e tempi propri della persona del ministro che la comunità parrocchiale è chiamata a rispettare come qualcosa che fa bene anche a lei. D’altro lato, questo vuol dire che il clero deve «crescere nel comprendere i limiti della propria competenza e capacità pastorale, la propria vulnerabilità, ed eventualmente indirizzare ad altri coloro che sono sotto la loro cura».
Sul lato della comunità, invece, significa affinare una sensibilità per salvaguardare la disponibilità ministeriale del proprio clero, facendosi carico «di quelle mansioni che possono essere svolte da altri»; ma anche impegnarsi a «esprimere le proprie preoccupazioni per la salute e il benessere del ministro – direttamente al ministro stesso e, quando questo sia appropriato, anche al vescovo». Questo sano bilanciamento diventa centrale rispetto alla dimensione pubblica del ministero ordinato, da un lato, e al vissuto famigliare e affettivo, dall’altro. Si tratta di «rispettare i confini che il ministro e la sua famiglia dovrebbero propriamente porre attorno alla loro vita di casa, e di assicurarsi che lo spazio dovuto, associato al fatto di essere una figura pubblica, venga rispettato e, quando necessario, rinforzato» dalla comunità stessa.
Questioni critiche
Vi sono alcune questioni aperte, sulle quali la Chiesa d’Inghilterra dovrebbe interrogarsi a fondo in vista dell’approvazione sinodale del «Patto per la cura e il benessere del clero», che possono essere di generale interesse per il ministero anche in altre Chiese cristiane. Sorprende, in parte, di trovare una menzione del «clericalismo come qualcosa che impedisce il ministero e la missione dell’intero popolo di Dio». Evidentemente la tendenza del clero a crescere come corpo separato non è problema solo della Chiesa cattolica. In merito a questo nella Chiesa di Inghilterra, sarebbe interessante riuscire a capire come si distribuisce e configura l’atteggiamento clericale tra clero maschile e femminile.
A livello diocesano ci si interroga se vengano messe a disposizione le risorse affinché «i ministri ordinati riflettano sull’esercizio del loro ministero», da un lato, e se quando si mette mano a riorganizzazioni maggiori della pastorale all’interno della diocesi si «tenga conto della cura e del benessere del clero coinvolto in esse, compresi i ministri in pensione».
Come già accennato, particolarmente urgente appare essere la questione di una verifica e valutazione della pratica pastorale nell’esercizio del ministero ordinato: «ci si deve muovere nella direzione che porta a stabilire una cultura in cui una qualche forma di supervisione pastorale sia la norma ovunque e non un’eccezione. Riconosciamo che un’iniziativa del genere richiederà competenze e finanziamenti, ma riteniamo che sia giunto il momento di mettervi mano poiché ci troviamo di fronte a bisogni pastorali sempre più esigenti e complessi (…)».
Infine, è decisivo riuscire a fare chiarezza sul profilo del compito che spetta a un ministro ordinato all’interno di una determinata comunità parrocchiale: «Riteniamo che una delle più grandi fonti di stress e burnout tra il clero sia la mancanza di chiarezza e di bilanciamento rispetto alla natura del compito ministeriale. I profili delle parrocchie e le descrizioni del ruolo del ministro in esse rivelano spesso un tratto eccessivo per quanto concerne le attese – a partire dal numero elevato di chiese e comunità da servire, passando a descrizioni irrealistiche del lavoro e del ruolo ministeriale, fino all’assenza di segni evidenti di un impegno della comunità a favore della cura e del benessere del clero».
Pratica del ministero ed ecumenismo fra le Chiese
Leggendo le pagine del documento preparato per la discussione all’interno della Chiesa d’Inghilterra in vista della redazione del «Patto per la cura e il benessere del clero», non si può non notare la sostanziale prossimità ecumenica del ministero ordinato quando si guarda alle questioni nodali della sua pratica pastorale. Come se differenti concezioni teologiche, diverse condizioni di accesso all’esercizio, prassi liturgiche coerenti a storie specifiche diverse tra loro, si arrendessero tutte insieme davanti all’evidenza che il nodo decisivo e critico del ministero è la sua pratica pastorale e le condizioni umane per un suo buon esercizio – che faccia bene a tutti e non distrugga le persone.
Forse, tra le Chiese cristiane (quantomeno in Occidente) si potrebbe cominciare a mettere in comune questa sapienza quotidiana delle esigenze pratiche del ministero – scoprendo che si è tutti molto più vicini di quanto non si pensi.