“Ho visto gente andare, perdersi e tornare… / Pioggia e sole cambiano la faccia alle persone… / Abbaiano e mordono… / Ma il vero Amore può nascondersi, confondersi, ma non può perdersi mai (Sempre per sempre, Francesco De Gregori).
È con questo spirito che, alcuni anni fa, è venuto alla luce il Gruppo Timoteo, dal nome del giovane presbitero “ordinato” da san Paolo e da lui accompagnato e sostenuto nel suo ministero (cf. Timoteo e l’Arte della Manutenzione del Presbiterato, in Il Margine n. 7, 2018).
Sono tempi nei quali “la pioggia e il sole” della pastorale “abbaiano e mordono” ed è alto il rischio dell’esaurimento emotivo e della confusione, derivanti dal pressante carico del ruolo istituzionale che i preti devono sostenere in «questo cambiamento di epoca» (papa Francesco).
È una situazione che amplifica la separazione alienante tra spiritualità e corporeità, non solo praticata ma, a volte, inconsapevolmente teorizzata. Ciò deriva dal fatto che la formazione presbiterale favorisce, tuttora, l’aspetto cognitivo-intellettuale, senza integrarlo sufficientemente con le dimensioni affettive, emotive e neurobiologiche. Occorre allora aver cura di sé, regalarsi un tempo e uno spazio per ascoltarsi e confrontarsi, un luogo che favorisca l’intimità con sé stessi e con i membri del gruppo.
Per essere individui integri, integrati ed integranti, un aspetto fondamentale è la curiosità, intesa come la capacità primaria della mente di stabilire legami e di poter entrare così in relazione con l’Altro.
Nella nostra conduzione del Gruppo Timoteo, agiamo e promuoviamo un atteggiamento di genuina curiosità: impariamo a guardare l’altro, noi stessi, e soprattutto la relazione come ad una realtà da percepire e da scoprire, e non da pre-definire. Quest’atteggiamento curioso ci consente di evitare due errori: ignorare l’altro, riducendolo a “identico a me”, e ignorare noi stessi, come se fossimo fuori dalla relazione.
La curiosità controbilancia una certa ansia del prete nel fornire alla persona “la risposta giusta” che è più funzionale a tranquillizzare se stesso circa il proprio valore, piuttosto che al bene della persona e delle comunità che incontra.
Con questo isolamento pandemico, abbiamo poi sperimentato come essere da soli sia una delle più grandi sofferenze umane; nonostante ciò, viviamo in ambienti sociali ed ecclesiali di persone che cercano disperatamente di amarsi senza riuscirci.
Siamo molto connessi e, a volte, così poco comunicanti!
Per comunicare abbiamo bisogno di aprire nuovi varchi liturgici di possibilità e di costruire nuovi ponti di prossimità. In diverse parrocchie, gruppi di famiglie hanno ri-creato piccole comunità, ritrovando una fede e dei riti più in sintonia con la dimensione propria personale, trasformando questo momento di distanza e di crisi in opportunità. Nella gente è aumentato il bisogno di una spiritualità che dia significato al mondo attorno a noi, ai nostri rapporti interpersonali e alla nostra esistenza di cittadini e credenti.
Scoprire nuove potenzialità personali e nutrire i talenti comunitari può diventare un nuovo stile di prossimità vitale, creativa, responsabile, protettiva e densa di passione per la vita che ci attende nella società post-coronavirus.
Ascoltare le persone ed essere insieme con loro curiosi e aperti a nuove opportunità, ci permette di fare lo spazio necessario a ciò che arriverà, sostenendo il piacere di condividere il tempo insieme, con quella voglia che genera l’attesa e il desiderio dell’incontro.
C’è pure chi educa, senza nascondere / l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni / sviluppo ma cercando / d’essere franco all’altro come a sé, / sognando gli altri come ora non sono: / ciascuno cresce solo se sognato (Danilo Dolci).
Usiamo l’emozione della curiosità con «l’intelligenza della pioggia e del sole», per comprendere le necessità dell’Altro anche dietro le apparenze e nei luoghi nascosti; usiamo l’intuizione, la vicinanza, l’affetto, il rispetto, la generosità e la prudenza per celebrare l’eucaristia nella vita: «Vi esorto fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).
Ci concediamo di “sognare ad occhi aperti”, di vedere noi stessi, l’altro e la relazione in un modo nuovo, inedito, mutando i sogni in progetti, promuovendo una maieutica reciproca che permetta la trasformazione d’individualità singole in un gruppo. Siamo così, promotori curiosi di una comunità sociale ed ecclesiale in cui ciascuno abbia riconosciuto il proprio potere, coniugando “il sognare” con “l’agire”.
Nel nostro percorso supervisivo di gruppo, i presbiteri si esercitano a dare spazio all’Altro: così, quando sono in relazione con le persone e le comunità a loro affidate, possono promuovere uno spazio relazionale che permette alle persone di attingere alle proprie risorse vitali e spirituali.
In questi anni, i presbiteri che hanno frequentato il Gruppo Timoteo hanno compreso cosa significhi mettere da parte la facoltà del decidere ciò che avviene a favore della capacità di contemplare quello che sta accadendo e del significato che ciò ha per la persona: quest’atteggiamento consente il silenzio e crea la possibilità di costruire una relazione profonda e autentica.
Se guardiamo alla relazione con curiosità, è perché siamo fiduciosi che può essere vitale e generativa e, perciò, imprevedibile com’è lo Spirito! È dunque fondamentale essere curiosi con gli individui e i gruppi che accompagniamo, imparare come stare con loro, incoraggiare l’immaginazione e favorire la capacità di sognare e sognarsi in un altro modo, in più modalità possibili che sostengano questo cambiamento epocale.
Questo che ho letto merita molto di più di un commento. È una descrizione esperienziale che dovrebbe raggiungere la ristrutturazione di sistemi. Soprattutto quelli cattolici se si crede che Gesù è colui che ha valorizzato l’uomo.
Condivido pienamente quello che il Gruppo Timoteo ha scritto. È molto più di una esperienza. È proposta di cambiamento.
Condivido con soddisfazione e con un po’ di tristezza.
Racconto un po’ di storia, non per futile protagonismo, ma per insistere sulla necessità di cambiamento.
A suo tempo facevo parte di una istituzione religiosa. Da diversi anni lavoravo con minori in stato di abbandono.
Nel 1980 decisi di progettare una comunità per tossicodipendenti. Mi fu imposto di andare a formarmi al “Progetto uomo” di don Mario Picchi. La comunità “Progetto Uomo” in Roma era stata visitata dal papa Giovanni Paolo II.
Questo è il punto.
Il “Progetto Uomo” era costruito sul “cognitivo comportamentale” portato in Italia dagli Stati uniti. L’applicazione di alcune tecniche erano taumaturgiche quasi per conto loro. Come se l’induzione di comportamenti mirati fossero sufficienti a far star bene le persone dal di dentro.
“… la formazione presbiterale favorisce, tuttora, l’aspetto cognitivo-intellettuale, senza integrarlo sufficientemente con le dimensioni affettive, emotive e neurobiologiche”.
Questo unico approccio di sistema mi rattristava e mi rattrista “tuttora”.
Nel settembre del 1982, a Borgo Nuovo di Sasso Marconi, fui partecipe della fondazione del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza). Il documento base aveva per titolo “”Tra utopia e quotidiano”. In una delle prime assemblee, si decise che “La Relazione e La Condivisione” fossero le parole chiave del nostro operare.
“…agiamo e promuoviamo un atteggiamento di genuina curiosità: impariamo a guardare l’altro, noi stessi, e soprattutto la relazione come ad una realtà da percepire e da scoprire, e non da pre-definire. Quest’atteggiamento curioso ci consente di evitare due errori: ignorare l’altro, riducendolo a “identico a me”, e ignorare noi stessi, come se fossimo fuori dalla relazione.”
Mi richiamano le parole di Irvin Yalom, psichiatra docente a Palo Alto in California. Molti dei suoi testi sono pubblicati anche in Italia:
“Evitate le diagnosi. Lasciate che il paziente sia importante per voi…Empatia: guardare dal finestrino del paziente…In terapia la forza del cambiamento non è un’intuizione intellettuale, non è una interpretazione, ma è invece un incontro profondo e autentico tra due persone.” Irvin Yalom “Diventare sé stessi”
Com’è andata a finire la mia storia?
Come doveva andare quando le logiche non vanno nella direzione descritta dalla testimonianza del Gruppo Timoteo.
A proposito di storia, ricordo che lo psichiatra e psicanalista Leonardo Ancona, morto nel 2008, come cattolico non ebbe vita facile. Fortuna sua, l’aver incontrato padre Agostino Gemelli.
È plausibile credere che il cambiamento di certi sistemi possano dipendere dall’approfondimento e dalla condivisione di certi approcci esistenziali?
“Se guardiamo alla relazione con curiosità, è perché siamo fiduciosi che può essere vitale e generativa e, perciò, imprevedibile com’è lo Spirito! È dunque fondamentale essere curiosi con gli individui e i gruppi che accompagniamo, imparare come stare con loro, incoraggiare l’immaginazione e favorire la capacità di sognare e sognarsi in un altro modo, in più modalità possibili che sostengano questo cambiamento epocale.”
A proposito di “cambiamento epocale”: quanto è indispensabile valorizzare il femminile, per cambiare davvero?
Sandro Cominardi