Il 5 gennaio tre vescovi svizzeri (Coira, San Gallo e Basilea) hanno scritto una lettera per richiamare preti e operatori pastorali al rispetto delle norme liturgiche e, particolarmente, alla salvaguardia del ruolo del prete ordinato nella celebrazione eucaristica, nella confessione e nell’unzione degli infermi.
La lettera dei monss. Joseph Bonnemain, Markus Büchel, Felix Gmür risponde a due recenti casi: la “concelebrazione” eucaristica di Monika Schmid in occasione della conclusione del suo servizio pastorale a Effretikon (agosto 2022) e la testimonianza della teologa Charlotte Küng-Bless di avere somministrato l’unzione degli infermi secondo un rito molto prossimo al sacramento.
Censura o dialogo?
L’intenzione e il tono della lettera non sono formali o aggressivi. Vi è lo sforzo di combinare norma con comprensione. Parlando ai preti e agli operatori, sottolineano il difficile equilibrio tra la fede personale e le fragilità e gli scandali della Chiesa, come anche fra la cultura dell’ambiente secolare con l’appartenenza confessionale.
Sollecitati anche dal processo sinodale, dall’esigenza di camminare insieme, i pastori sottolineano il bisogno di forme e regole comuni. «I credenti hanno diritto alla celebrazione che segue le regole e le forme della Chiesa. La liturgia rinnovata, uniforme nei suoi elementi di fondo, è un tesoro della nostra Chiesa».
«Voi sapete che solo il sacerdote presiede validamente l’eucaristia, amministra la riconciliazione sacramentale e l’unzione degli infermi. Proprio per questo è consacrato. Questa regola di fede cattolica romana deve essere pienamente rispettata anche nelle nostre diocesi». Non si tratta di obbedienza cieca o di clericalismo patriarcale, ma della convergenza dell’intera tradizione ecclesiale sul fatto che il celebrante deve essere ordinato.
«Anche i testi liturgici non sono arbitrari, perché non sono di nostra proprietà, ma appartengono all’intera comunità dei credenti». La liturgia permette molti ambiti di partecipazione diretta (canti, riflessione, prediche, meditazione, silenzio ecc.) e non dovrebbe trasformarsi in «un campo sperimentale di progetti personali».
Voci contrapposte
Il liturgista viennese Hans-Jürgen Feulner aveva denunciato la gravità dei gesti compiuti, invocando un intervento canonico dei vescovi. Più numerose, almeno nel dibattito pubblico, le voci critiche alla lettera dei vescovi. La presidente del consiglio sinodale di Zurigo ha detto: «Non so nemmeno chi possa prendere sul serio il rimprovero dei vescovi», ipotizzando che il testo sia una risposta a Roma piuttosto che alle comunità locali.
Anche la protestante Rita Famos ha ripreso la necessità dell’ordinazione per il celebrante, facendo però notare che le Chiese riformate e vetero-cattoliche ordinano le donne. Le interessate non smentiscono le scelte compiute, ma modellano diversamente i fatti. L’unzione era compiuta sul rito cattolico, ma giustificata dall’impossibilità di ricorrere al parroco.
Da parte sua, Monika Schmid non ha negato di «celebrare la comunione in senso biblico. Ma se mi avessero chiesto “celebri un’eucaristia cattolico-romana?” avrei detto di no. Non è mai stata una mia preoccupazione quella di provocare con una liturgia ecclesiale. La celebrazione è terra sacra. La mia preoccupazione era ed è di celebrare insieme alla gente il mistero profondo di Cristo: diventare una cosa sola con Cristo nell’amore».
Parole che richiamano quelle di Ludmila Javorovà, ordinata durante il regime comunista cecoslovacco il 28 dicembre 1970: «Se ora ci ripenso, so che dentro sentivo una sicurezza che era ed è, talmente profonda, che se l’avessi calpestata, sarebbe andato perduto qualcosa del mio stesso essere» (SettimanaNews, qui).
Una lettera aperta dal Canada
Molto più disinvolta e puntuta la lettera aperta di 19 donne (vescove, sacerdotesse e diaconesse) apparsa il 9 gennaio sulla rivista canadese LeSoleil. In essa si critica apertamente la posizione negativa sull’ordinazione sacerdotale femminile di papa Francesco ripetuta nell’intervista apparsa su America.
Si censura la teologia arcaica e patriarcale che regge, a loro parere, la posizione papale, l’archetipo inaccettabile di Chiesa-sposa e prete-sposo e la contraddizione rispetto alla volontà conciliare di rimuovere ogni discriminazione in ordine ai diritti fondamentali di uguaglianza. Mancherebbe a Francesco la disponibilità a leggere i segni dei tempi. Affermano di essere state validamente ordinate nella successione apostolica e di sperimentare un’esperienza viva e vivificante nelle comunità di appartenenza. Delle firmatarie 12 sono statunitensi, 2 canadesi, 2 tedesche e una dell’Africa del Sud.
Tre di esse appartengono alle sette donne ordinate su un battello lungo di Danubio nel giugno del 2002 (cf. SettimanaNews, qui) da un vescovo argentino molto discusso e di dubbia validità, Romulo Braschi. Si stima che nel mondo ci siano circa 300 donne preti. Esse si collocano oltre i limiti segnati dalla dichiarazione Inter insigniores (1976) e alla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (1994).
Signora Tosatti, nella nostra tradizione cattolica apostolica romana abbiamo l’esempio vivo di Maria Santissima e l’esempio delle pie donne a cui Gesù ha donato grande dignità, pur non stravolgendo il loro ruolo…a loro imitazione e sulla loro sequela si ottengono dal Cielo fiumi di grazie. Se per voi la tradizione può essere reinterpretata in base ai tempi moderni, per la Chiesa Cattolica Apostolica Romana la tradizione rimane una istituzione divina e quindi non modificabile dall’uomo…Gesù ha scelto12 apostoli come suoi successori e non delle donne…
Le donne nella nostra religione possono avere grandi carismi e aiutare la Chiesa in molti modi, ma non possono fare i sacerdoti. Nel dialogo interreligioso nessuno vieta a voi di fare le vostre scelte. Ma non potete imporre al Papa e alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana il vostro credo.
Il ministero ordinato femminile non rivendica emancipazioni sociali, bensì il diritto di Dio a chiamare chi vuole e delle Chiese ad avere tutti i ministri che Dio suscita loro.
Solo in terza battuta subentra il diritto/dovere di ciascuna/o a poter rispondere alla sua vocazione.
+m. Teodora Tosatti, biblista
vescova cattolica per i vetero-cattolici d’Italia
L’ordinazione ministeriale femminile non rientra nelle – sacrosante – rivendicazioni femministe.
E’ il riconoscimento del diritto di Dio a chiamare chi vuole, senza che noi andiamo a porgli limiti, e del diritto delle Chiese ad avere tutti i pastori che Dio suscita loro.
Soltanto in terza battuta è il diritto/dovere di ognuna/o di rispondere/poter rispondere alla sua vocazione.
+m. Teodora Tosatti, biblista, Vescova cattolica per i vetero-cattolici d’Italia
‘ diritto di Dio a chiamare chi vuole’ appunto, Gesù scegliendo come Apostoli solo degli uomini ha mostrato a noi la sua scelta
Da donna posso esprimere che il cambiamento progressista non sta aiutando l’uomo/ la donna ad emanciparsi… anzi, si parla solo di diritti e mai di doveri… è sbagliato questo, perché si arriva a perdere l’essenza di tutto… pensando di poter far fare alla donna tutto, senza concentrarsi sul proprio dovere… e lo dico da donna, sposata, madre, cattolica cristiana apostolica romana. Le donne hanno un ruolo importantissimo nella famiglia e nella società… i risultati di questa confusione di ruoli sono sotto gli occhi di tutti. Non mi sembra che la società sia più felice… e il problema non è esterno a noi, ma è una insofferenza che è dentro di noi. Io li chiamo: capricci da adulti. Perché oramai sembra che dobbiamo essere accontentati in tutto…e che dobbiamo sperimentare tutto per essere realizzati… ma Gesù ce lo chiede? Rispondo alla signora che ha detto che Gesù ci ha lasciato le penne perché rivoluzionario e controcorrente…lei è libera di pensare come vuole, ma chi legge può essere confuso dalle sue parole: intanto Gesù non “ha lasciato le penne” in quanto ha obbedito al progetto del Padre per amore, volontariamente è morto e quindi risorto… e ci ha indicato la via da percorrere… è questa la rivoluzione cara signora: morire a noi stessi per risorgere e per risorgere serve solo l’amore, non la realizzazione di sé stessi… è per questo motivo che il mondo va tanto male. Per amare come insegna Gesù ci vuole consapevolezza di sé stessi, dei propri ruoli e dei propri limiti. E un grande aiuto ci viene donato anche dalla preghiera…
Sono assolutamente d’accordo
Se solo ogni tanto ci si ricordasse l’adagio russo “non si vive nel monastero altrui secondo la regola propria” si evirerebbero magari le ormai noiose scempiaggini che chi non si professa cattolico dice a proposito della Chiesa cattolica. Nessuno è obbligato a far parte della comunità cattolica, se non se ne condividono regole, pratiche e credenze si può magari dissentire ma sempre nei limiti del rispetto. Spesso tale rispetto mi sembra che manchi, come nel caso dei ministri del culto di cui si parla nell’articolo.
il fatto è che “non si vive nel monastero altrui” ma nel proprio monastero che deve cambiare. I cattolici non sono solo le gerarchie che stabiliscono le regole. Il cambiamento avviene per disobbedienza. Del resto Gesù ci ha lasciato le penne per ottenere il cambiamento. I cattolici o meglio i cristiani hanno da sempre un grande esempio di libertà.
Perfettamente d’accordo
La Chiesa cattolica deve purificarsi … dal patriarcato che non può più funzionare. Questo non vuol dire che le donne debbano diventare maschi né che gli uomini si debbano femminilizzare ma che veramente ci sia possibilità di essere uomini e donne con pari dignità. Avendo pari dignità dovrebbe essere ammessa l ordinazione delle donne anche xchè non può essere il sesso a determinare una vocazione. Certo fa comodo avere una buona fette di vocazioni femminili da destinare alle mansioni di cura esclusivamente o alle faccende domestiche. Gli “schiavi del momento” fanno sempre comodo.
“la protestante Rita Famos ha ripreso la necessità dell’ordinazione per il celebrante” se è protestante… come si permette come devono fare i cattolici? Soprattutto vedendo come vanno “alla grande” le confessioni protestanti nel mondo.
Celebrare la comunione in “senso biblico” o “cattolico-romano”… Mi pare che qui si sia smarrito proprio il senso delle cose.