Come stanno i nostri preti? Da questa domanda i vescovi di Francia hanno avviato un’inchiesta i cui risultati sono stati presentati all’assemblea generale il 25 novembre (il rapporto Ėtude sur la santé des prêtres è sul sito della conferenza dei vescovi francesi).
Via telematica sono stati interpellati, fra il 27 febbraio e il 30 giugno 2020, i 6.313 preti in esercizio nelle diocesi. Vi sono state 3.593 risposte, ma quelle utilizzabili sono state 2.656. Il che significa il 42% dei preti diocesani.
Nel comunicato di presentazione si dice che «le maggiori indicazioni dello studio sono:
* la relativamente buona adesione dei preti interpellati e la qualità delle risposte;
* una sovra-rappresentazione dei preti più giovani con una possibile sottostima dei problemi di salute;
* uno stato di salute fisica dichiarato piuttosto soddisfacente, ma con forte presenza di malattie croniche, particolarmente accentuate negli anziani;
* un burnout (depressione professionale) per il 2% dei preti;
* una salute psichica meno favorevole, caratterizzata da forte prevalenza di stati depressivi a tutte le età, accentuati dall’isolamento di vita e dall’assenza di sostegno (pastorale e materiale) e da un debole accompagnamento per 4 risposte su 10;
* una forte prevalenza del sovrappeso e dell’obesità;
* un consumo significativo di alcol per 2 preti su 5;
* pratiche preventive che, seppur migliorabili, sono di buon livello».
L’impatto mediale del suicidio di sette preti negli ultimi quattro anni ha ulteriormente motivato la ricerca (cf. Settimanaews: “Il suicidio dei preti”). I risultati si possono così sintetizzare: una buona salute fisica del presbiterio e un maggior rischio sul suo equilibrio psichico.
I profili della ricerca, costruiti secondo i criteri di analoghi studi nazionali circa la salute dei cittadini, sono proposti in sette punti.
La ricerca francese
- I preti che hanno risposto hanno meno di 40 anni per il 15%, fra i 40 e i 64 sono il 65%, e fra i 65 e i 75 sono il 20%. Otto su 10 sono francesi, gli altri due sono stranieri. Per l’85% il lavoro è nella parrocchia. Più limitati i servizi diocesani, nei luoghi di ricerca, il lavoro salariato.
- Per il 47% il lavoro quotidiano si estende fra le 9 e le 12 ore, il 48% denuncia un sovraccarico di lavoro solo occasionale. Quasi la metà dei presbiteri si concede una giornata di libertà alla settimana e 3-4 settimane di vacanza all’anno. Un sonno sufficiente riguarda il 62%.
- Il 54% dei preti diocesani vive da solo, il 38 % in équipe. La maggioranza ha un aiuto nei lavoro di casa. Fra i momenti di svago sono indicati: la lettura (64%), l’attività fisica e sportiva (58%), il computer-televisione (47%), le gite (30%).
- Fonte di sostegno e di aiuto è la partecipazione ai gruppi della Parola (54%), il riferimento a un padre spirituale o a un accompagnatore (66%), il sostegno dei confratelli (69%), degli amici e familiari (37%). Un quarto dell’insieme ritiene di essere stimato adeguatamente dai superiori.
- In buona o abbastanza buona salute si ritiene il 79%, ma per il 45% vi sono malattie croniche. L’attività fisica riguarda il 58%. Scarso il consumo di tabacco (l’88% non fuma), mentre il 73% si concede uno o due bicchieri di vino al giorno. Secondo i criteri generali, il 43% avrebbe superato il livello consigliato di consumo di alcolici e un quarto dell’insieme è a rischio.
- Nessun problema di salute per il 29%, ma molti denunciano persistenti mal di schiena e ipertensione. Il 64% fa un controllo della salute (almeno ogni 5 anni). 6 preti su 10 sono sovrappeso o obesi.
- Il 9% dei preti presentano una sindrome depressiva e il 18% ha sintomi di depressione. Il 2% è affetto da burnout
Ascoltare il linguaggio del corpo
Secondo i commenti apparsi su La Croix (25 novembre), i temi da affrontare sono la solitudine, il linguaggio del corpo, la psiche e i valori. Con una domanda sul tema del lavoro.
Il 18 % che ha sintomi di depressione è un dato tre volte superiore alla media. «Dietro la statistica c’è l’ombra della solitudine che abbassa il morale delle truppe. Questo spiega perché molte diocesi hanno lanciato iniziative per sollecitare i preti a ritrovarsi fra loro e a condividere la vita quotidiana, anche se vi è chi resiste». Non è casuale che la minaccia depressiva coinvolga meno chi vive in comunità.
Se è sano che la sofferenza del ministro possa essere detta e raccontata, comprese le ferite affettive, è da comprendere meglio il linguaggio del corpo. Il sovrappeso, ad esempio, può nascondere la fatica di affrontare i desideri affettivi o la difficoltà a trovare conferme rasserenanti. «In questo il celibato è costoso: non tanto per la privazione della vita sessuale, ma perché manca una sposa che accoglie il prete nella sua fragilità e finitezza». «È necessaria una grande disciplina di vita per custodire il celibato».
La dimensione valoriale è un punto forte del ministero, ma è necessario calibrarla con realismo e umorismo. «Un ideale molto forte è all’origine dell’ordinazione presbiterale, ma dopo un certo tempo, quando l’ideale si confronta con altri valori e altre realtà che lo contraddicono, il prete finisce per credere di aver perso tutto. Un solo ideale (di purezza, impeccabilità, di offerta a Dio…) diventa dispotico, se non è compensato con altri ideali». Soprattutto quando l’assoluto viene enfatizzato dai fedeli che delegano al prete una perfezione per loro inabbordabile.
Esercizio del ministero: riguarda tutti
Una domanda, fra ironia e curiosità, è posta dal prete psicanalista Jean-François Noël a proposito dell’affermazione degli intervistati sull’orario di lavoro e i pochi tempi di libertà: «Mi riesce difficile a crederlo, perché non c’è nessuno come il prete che sia geloso della propria libertà. Alcuni sono sovraccarichi, ma la maggioranza ha piuttosto paura di non avere lavoro, una volta onorati i doveri essenziali. Il prete deve inventarsi il proprio lavoro: è quindi necessario provocare, suscitare, riunire senza interruzione. Esorto sempre i miei confratelli a leggere, a scrivere, a sviluppare un lavoro intellettuale quotidiano».
Il tema della salute fisica e psichica del ministro non vale solo per la Francia e non vale solo per la Chiesa cattolica. Dal 2017 è in elaborazione nella Chiesa d’Inghilterra un “Patto per la cura e il benessere del clero”, perché solo «un ministro che sta bene» può «esercitare bene» a favore della comunità.
«Non si può non notare la sostanziale prossimità ecumenica del ministero ordinato quando si guarda alle questioni nodali della sua pratica pastorale. Come se differenti concezioni teologiche, diverse condizioni di accesso all’esercizio, prassi liturgiche coerenti a storie specifiche diverse tra loro, si arrendessero tutte insieme davanti all’evidenza che il nodo decisivo e critico del ministero è la sua pratica pastorale e le condizioni umane per un suo buon esercizio, che faccia bene a tutti e non distrugga le persone» (cf. SettimanaNews: Avere cura del ministero).