Sta facendo discutere l’intervista rilasciata da Hans Zollner, gesuita, docente alla Gregoriana, consulente della diocesi di Roma per la vigilanza sugli abusi, il 28 luglio al quotidiano Domani (p. 6).
In particolare, un passaggio cruciale interpella la teologia e chiede un ulteriore approfondimento: gli abusi troverebbero il loro humus in «una struttura gerarchica investita di potere sacro, che fa sì che sacerdoti, religiosi e vescovi vengano considerati esseri superiori, non grazie a competenze personali o professionali, ma semplicemente perché ricoprono un ruolo. Questo è aggravato dal fatto che questo privilegio viene ricondotto alla sfera divina, quindi a qualcosa che sta al di là di qualsiasi giustizia terrena. Noi siamo considerati un mondo a parte e questo teologicamente è molto pericoloso perché non rispetta il pilastro del cristianesimo, cioè che Gesù Cristo si è fatto uomo accettando di sottoporsi alla giustizia terrena».
«Dottrina cattolica»
Facile a questo punto, come suol dirsi, «affondare il dito nella piaga» e se ne occupa l’amico e collega Fulvio Ferrario, apprezzato teologo valdese sul suo blog, allorché, dopo aver precisato che non si possa trarre spunto da queste affermazioni per introdurre una polemica tra confessioni cristiane, afferma: «è giusto rilevare, però, che Zollner formula, a modo proprio, alcune delle fondamentali obiezioni evangeliche alla dottrina cattolica del ministero, che è il perno (non UN, ma IL perno) della dottrina cattolica della Chiesa».
Qualche distinguo si rende necessario, anche perché, se la realtà corrispondesse a quanto qui descritto, non si capirebbe perché persone come padre Zollner e il sottoscritto, ma anche tante altre, si ostinerebbero a restare «cattolici» fin nelle midolla. E la prima distinzione riguarda quella che Ferrario chiama la «dottrina cattolica» e la «mentalità diffusa».
Quanto al primo lemma, non possiamo dimenticare la lezione del concilio ecumenico Vaticano II circa il ministero, all’interno di un processo di riconciliazione con la modernità e conseguentemente di «de-sacralizzazione» delle figure ministeriali. Un magistero che si innesta in una tradizione da intendersi in maniera molto più ampia rispetto a quanto il tradizionalismo sostiene, rifacendosi soltanto a quanto enunziato a partire dal concilio di Trento (con la relativa enfasi sulla ritualità del messale di san Pio V).
Di qui una provocazione salutare, quale quella messa in campo dal collega evangelico: l’impegno a far sì che l’ultimo concilio venga recepito e assimilato nella forma mentis dei credenti, sia a livello personale che comunitario. E su tutto ciò ci stiamo interrogando e stiamo lavorando a sessant’anni dalla sua celebrazione.
«Mentalità diffusa»
Più problematico il riferimento alla «mentalità diffusa», in quanto sono in molti, preti e laici, a non aver recepito la visione di Chiesa e di ministero presente nel Vaticano II, per cui si continua a rappresentare una forma sacralizzata (e oserei dire “pagana”) delle figure ministeriali.
In tal senso, piuttosto che intestare al rinnovamento conciliare i mali della comunità ecclesiale, essi vanno invece ricondotti al persistere di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e rappresentazioni di tipo pre-conciliare. A tal proposito, nel furore della polemica antiprotestante post-tridentina, si è spesso caduti nel tranello di identificare la «sacramentalità del ministero» con la «sacralità del potere» (operazione in verità già presente in età medievale).
La differenza è abissale e non la coglie solo chi si ostina a non voler riconoscere la faticosa conversione ecclesiale che ci ha condotti a percepire e a vivere sempre più il ministero come servizio. Qui occorre distinguere con attenzione tali «reazioni» da quanto di autentico è stato trasmesso nella Chiesa attraverso i secoli che ci hanno preceduto.
In ogni caso, anche a questo livello, mentre permangono atteggiamenti «sacralizzanti» il ministero, in particolare del diacono, del prete e del vescovo, bisogna avere il prosciutto sugli occhi per non vedere forme e prassi consolidate e presenti nei territori, in cui, soprattutto i preti si presentano alle loro comunità e nelle città e nei borghi in cui vivono con un profondo senso del «servizio» che sono chiamati a rendere, con tutti i difetti e i limiti del loro essere umani.
Provocazioni salutari
In conclusione, la «dottrina cattolica» sulla Chiesa e sui ministeri non si orienta a partire dalla «sacralità del potere», bensì dalla «sacramentalità del ministero». E su questo va tenuto aperto il dialogo con i fratelli evangelici.
In questa prospettiva ogni sacralizzazione del potere, in quanto genera abusi (e non solo in ambito sessuale) va denunziata e perseguita e ciò non tanto a livello giuridico, ma nella formazione delle coscienze dei candidati ai ministeri e dei laici, chiamati a comprendere fino in fondo il carattere diakonico, ossia di servizio, che ogni forma di ministerialità è chiamata a vivere.
Rimanere convintamente cattolici, pur lasciandosi provocare dalle riflessioni di fratelli di altre appartenenze, significa quindi rimboccarsi le maniche semplicemente perché il messaggio del Vaticano II sia finalmente compreso, ben interpretato e vissuto dalla base ai livelli alti della comunità.
Rimbocchiamoci le maniche dunque. Dice bene Giuseppe Lorizio. Affrontiamo il tema alla radice e senza troppi giri di parole, poniamoci alcune cruciali domande. Nella comprensione cattolica del sacerdozio cosiddetto ordinato sussiste una concezione ontologica secondo la quale il sacramento dell’ordine conferisce un “plus” che investe i candidati di un potere spirituale particolare. Io mi chiedo come in questa ottica si relazioni la grazia “battesimale” con la grazia “ordinata”. I presbiteri ed i vescovi aggiungono un qualcosa in più al loro battesimo? Qualcosa che li rende differenti in essenza rispetto ai “semplici” battezzati ? E come si può concepire questo “plus” rispetto alla dignità ed all’uguaglianza dei battezzati, tutti re, sacerdoti e profeti? La vita nuova in Cristo, che è una continua conversione laica ed esistenziale, come si coniuga nel presbitero e nel vescovo, visto che a loro viene assegnata una condizione sacrale, ontologicamente differente ? Laddove non è presente il sacerdozio cosiddetto ordinato e quindi in mancanza di questo potere spirituale particolare, la chiesa è meno chiesa?
E’ il potere del papa non è una “sacralizzazione del potere”. In molti casi il papa ha deciso di autorità anche nel caso degli abusi. Ultimo caso quello del gesuita Rupnick in cui il papa ha fatto largo uso del potere derivante dalla sua posizione. Ma allora il potere del papa è “sacro” e quello dei vescovi e dei preti no ? Bergoglio prima di diventare papa è stato prete e vescovo. Allora il suo potere non era sacro e poi magicamente lo è diventato dopo esser stato eletto papa ? Se si toglie sacralizzazione al sacerdozio lo so deve logicamente togliere anche ai vescovi e ai papi. Perché in una azienda non può essere sacro solo il Capo ,quando questo è scelto rivolta in volta tra i funzionari che sacri non sono. Non vi rendete conto della contraddizione? Se il papa può togliere scomuniche e mandare prescritti crimini perché così ritiene lui, a suo insindacabile giudizio, il suo potere (assoluto e non criticabile) da dove viene?
Forse si confonde proprio. Nel caso di Rupnik il Papa non è per nulla intervenuto. Ad intervenire è stata la Compagnia di Gesù con i suoi superiori. Il Papa non c’entra proprio nulla. Si informi di più e meglio, così evita figuracce!!!
Fabio, informati. Rupnik era stato scomunicato. Scomunicato. Poi, dopo 15 giorni, la scomunica è stata rimessa. Non dai gesuiti ma da qualcuno molto più in alto. Molto.
Per essere più precisi la Congregazione per la Dottrina della Fede lo aveva formalmente scomunicato nel maggio del 2020 per il grave reato canonico dell’assoluzione del complice poi, magicamente, dopo una quindicina di giorni la scomunica è stata revocata. Da chi? Non certo dai gesuiti ma certamente da qualcuno più in alto del dicastero per la dottrina della fede. Questi sono i fatti. Ognuno ne trae le conseguenze che crede più logiche.
Le riflessioni contenute nella mail sono assolutamente condivisibili. Il richiamo alla sacralità del ministero sacerdotale anziché a quella del potere ecclesiale , perché, come giustamente evidenziato la seconda è destinata fatalmente a generare abusi non soltanto di natura sessuale.
La vexata quaestio, qui ben delineata, a mio modo di vedere si interseca con quel difficile rapporto tra riforma della Chiesa e il peso della storia (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/10/cattolicesimo-borghese3.html) che vede in una struttura, il seminario, la genesi e la diffusione di una mentalità gerarchico-sacrale del ministero ordinato, mentalità lì appresa – perché vissuta sulla propria pelle – e poi, una volta fuori, messa in pratica. Il seminario rimane oggi il residuo di un sistema tridentino in una Chiesa che fatica a prendere la forma conciliare. Come poi, peraltro è noto, di certe tematiche il Concilio se n’è occupato en passant perché non poteva prevedere l’attuale crisi del ministero presbiterale e – oso dirlo – anche episcopale. Mi auguro che il futuro Sinodo possa scardinare – porre fine sarebbe idealistico – un sistema che appare anacronistico.
Su quello che sia lo “spirito” del Vaticano II temo non si finirà mai di discettare e le interpretazioni al riguardo non potranno che essere diverse e anche tra di loro contraddittorie (dipendono in fondo da chi le formula). Resta però la realtà dei fatti (e questa è incontestabile): a fronte di un avanzato e irreversibile processo di esculturazione del cattolicesimo in Europa, la Chiesa resta bloccata sulla divisione di poteri tra clero e laicato. Tale divisione si riscontra nella prassi e nella mentalità di chi governa la Chiesa e spesso anche di chi la frequenta. Penso che, come il caso degli abusi dimostra (specie in Italia dove è più evidente l’inazione della gerarchia ecclesiastica), tale divisione, fondata sulla sacralizzazione del potere e della funzione sacerdotale, sia piuttosto evidenti, al di là di tutti i giri di parole e i bei discorsi astratti su riforma e sinodalità e ragionevole dubbio.