Non occorre spendere parole per sottolineare come la galassia di aggregazioni che, in seno al Popolo di Dio, va sotto il nome di “movimenti ecclesiali e nuove comunità”, stia vivendo oggi un passaggio cruciale nel suo cammino.
È una “pasqua”, in Gesù, che chiede conversione, discernimento e nuovo slancio per «vivere e far fruttificare – ha chiesto papa Francesco – quei carismi che lo Spirito Santo, per il tramite dei fondatori, ha consegnato a tutti i membri delle vostre realtà aggregative, a beneficio della Chiesa e di tanti uomini e donne a cui vi dedicate nell’apostolato».[1]
Un invito a fare memoria – scrive la lettera agli Ebrei – dei «giorni dell’inizio», quando s’è ricevuta la luce di Cristo e a lui s’è con gioia consegnata la vita (cf. Eb 10,32), per aprirsi nella fede e nella speranza che «non delude» (Rom 5,5) al sempre nuovo e al sempre di più dell’opera di Dio: con parresia e hypomoné (cf. Eb 10,35-36).
In sintonia con il cammino della Chiesa
Tale sfida è una grazia che, come ogni grazia, non è “a buon mercato”. Perché invita a un triplice impegno: mettere in luce la perla preziosa che lo Spirito ha consegnato alla Chiesa attraverso chi ha fondato ognuna di queste realtà, per curarne con intelligenza d’amore lo sviluppo come un tralcio della vite destinato a essere opportunamente potato perché porti «più frutto» (cf. Gv 15,2); spendendosi, con disponibilità a ciò che lo Spirito dice oggi alla Chiesa (cf. Ap 2,7), in questa «nuova tappa dell’evangelizzazione» che papa Francesco ci addita (cf. EG 287); perfezionando con attenzione e apertura quelle dinamiche anche istituzionali che siano atte di più in più a fungere da “otre” nuovo per il “vino nuovo” (cf. Mc 2,22) veicolato dai carismi di fondazione.
Si tratta – cito Linda Ghisoni – di «non rimanere imbrigliati in una sequela infantile e nostalgica di eventi o scelte passate, che non liberano quella intelligente individuazione dei segni che via via accadono e che, nel solco della fedeltà al carisma di fondazione, indicano la sua concreta incarnazione nel tempo».[2]
Questo triplice impegno va declinato entro il contesto del processo sinodale in cui è convocato tutto il Popolo di Dio. Non si tratta semplicemente d’essere coinvolti e farsi attivamente coinvolgere in esso, né soltanto d’offrire un contributo specifico. Si tratta di discernere, accogliere e implementare la «cosa nuova» (cf. Is 43,19) che Dio sta facendo con il suo Popolo.
Gesù risorto – così papa Francesco – c’invita a «fare alleanza con il tempo, a saper attendere il dipanarsi di una storia sacra che non si è interrotta ma che va sempre avanti […] a non “fabbricare” da sé la missione, ma ad attendere che sia il Padre a dinamizzare i loro cuori con il suo Spirito, per potersi coinvolgere in una testimonianza missionaria capace di irradiarsi».[3]
Il processo sinodale è la messa in movimento di un dinamismo di apertura allo Spirito che impegna a camminare avanti nel solco tracciato dal Vaticano II. Non immaginando un’altra Chiesa, ma una Chiesa “altra”, ha auspicato papa Francesco.[4]
Il Vaticano II ha tracciato le linee maestre dell’ecclesiologia del Popolo di Dio e della comunione e partecipazione, che chiama la Chiesa a gestire con nuovo slancio e nuovo stile la sua missione di «sacramento, in Cristo, e cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1).
I movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono nati, o si sono sviluppati, in concomitanza con l’onda del rinnovamento conciliare. Oggi la Chiesa è entrata in una tappa inedita di questo evento: ed essi sono interpellati a mettersi in gioco, ri-comprendersi e ri-configurarsi – in fedeltà creativa al carisma di fondazione – integrandosi nel processo in cui la Chiesa tutta è chiamata a uscire «verso di Lui, fuori dell’accampamento» (cf. Eb 13,13).
Questo il passaggio cruciale: «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».[5] Non è un modo di dire, con enfasi retorica, un particolare tra gli altri. È l’appello a proseguire l’esodo dalla forma di Chiesa dell’epoca di cristianità (forgiata in Europa, nel disegno della Provvidenza, in e per un’epoca storica ormai giunta a compimento, e di fatto ovunque poi esportata come paradigma di riferimento), per una forma altra, esigita dai segni dei tempi e propiziata dal soffio dello Spirito.
Che non è già data bell’e pronta: ma è custodita come seme e ispirazione nell’esperienza della prima comunità cristiana a partire dall’incontro fondante con Gesù risorto. E che è trasmessa dal Nuovo Testamento come Parola viva di Dio da incarnare, nella dýnamis dello Spirito Santo, lungo il corso dei tempi e in rapporto alle diverse situazioni e culture. Ora, come ha auspicato il card. Farrell, proprio «per realizzare […] tutto ciò che il cammino sinodale della Chiesa vi propone, è necessario intraprendere un processo che conduca progressivamente a un cambio di mentalità».[6]
È qui il kairós da acciuffare. «Sentiamo – così papa Francesco – che i nostri piccoli passi sinodali sono il “grande kairós”», ma «ben presto scopriamo la nostra piccolezza e la necessità di una più grande conversione personale e pastorale»[7].
Il processo sinodale è un evento in fieri volto ad attivare uno spazio di “inter-ascolto” in cui la Chiesa si apra a ciò che lo Spirito le dice. Un invito, per i movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, a esercitare il discernimento comunitario in riferimento alla loro identità e al loro inserimento nella missione ecclesiale. Collocandosi tra due fuochi: ciò che lo Spirito dice attraverso lo specifico carisma a servizio di tutti loro confidato, e ciò che lo Spirito dice attraverso il cammino di tutto il Popolo di Dio.
Scrive Matteo Visioli: «Il carisma di fondazione è affidato alla comunità tutta, la quale è interprete del carisma e lo riconosce […], vigila su di esso, lo promuove, ne corregge le eventuali deviazioni, ne interpreta gli sviluppi. Per “comunità” si intende non solo l’aggregazione laicale, ma la Chiesa tutta».[8]
In questo quadro, propongo alcuni spunti di meditazione a partire da due icone offerte dagli Atti degli Apostoli. Vi contempliamo infatti lo start – sempre attuale e sempre nuovo – del viaggio del Vangelo nella storia, grazie al «meraviglioso connubio tra la Parola di Dio e lo Spirito Santo che inaugura il tempo dell’evangelizzazione»,[9] in cui tutti siamo chiamati a specchiarci.
La Chiesa come soggetto comunionale
Innanzi tutto, il sommario di Atti 2,42-47. Vi si descrive come «i cristiani ascoltano assiduamente la didaché cioè l’insegnamento apostolico; praticano un’alta qualità di rapporti interpersonali anche attraverso la comunione dei beni spirituali e materiali; fanno memoria del Signore attraverso la “frazione del pane”, cioè l’eucaristia, e dialogano con Dio nella preghiera».[10]
Ciò che viene in rilievo in quest’icona «di una fraternità che affascina e non va mitizzata ma nemmeno minimizzata»,[11] è – nelle parole di papa Francesco – «l’alta qualità dei rapporti interpersonali». Il Nuovo Testamento la definisce koinonía: prender parte tutti e insieme al dono ricevuto da Dio in Gesù, che ci fa un solo corpo in Lui, «membra gli uni degli altri» (cf. Rom 12,5). I discepoli sperimentano così «una nuova modalità di essere tra di loro»[12]: perché «Dio, in Cristo, non redime soltanto la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini» (Evangelii gaudium, 178).[13]
Questa, con accenti diversi, è una qualifica dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità: sul livello – se non sempre della prassi, costantemente soggetta all’umana fragilità e all’insidia del peccato – dell’ispirazione operante nei carismi di fondazione. Come lo è stato di tutte le correnti di rinnovamento nello Spirito lungo i secoli. Con una peculiarità che il Vaticano II ha propiziato: l’«alta qualità dei rapporti interpersonali» non è riservata a qualcuno, ma è grazia e responsabilità di tutti nel Popolo di Dio, in ogni stato e condizione di vita.
Ciò risalta a partire dal capitolo II della Lumen gentium sul Popolo di Dio in quanto Popolo messianico che, in ogni suo membro e comunitariamente, esercita il sensus fidei, dal capitolo V sulla vocazione universale alla santità, dalla presentazione della rivelazione al n. 2 della Dei Verbum come dialogo di amicizia da Dio con ciascuno e con tutti intrattenuto, per partecipare in Gesù alla comunione trinitaria. Di qui la natura innanzi tutto laicale, universale, “nel” mondo senza essere “del” mondo (cf. Gv 17,11-14) del Popolo di Dio. Nella consapevolezza – cito papa Francesco – che «l’evangelizzazione è un mandato che viene dal battesimo […]. Voi avete risvegliato questo con i vostri movimenti, e questo è molto buono».[14]
Questa irrinunciabile acquisizione e questo iniziale risveglio vanno rilanciati e declinati nel processo sinodale in cui tutto il Popolo di Dio è impegnato. «Lo Spirito Santo e noi …»: con queste parole gli Atti degli Apostoli trasmettono la deliberazione maturata attraverso il discernimento svolto da tutta la comunità di Gerusalemme (cf. Atti 15,28).
In questa formula, il “noi” esprime il “soggetto comunionale” che è convocato dal Risorto, cammina, si riunisce in assemblea, discerne e decide;[15] mentre il riferimento allo Spirito ne dice l’identità specifica nella sequela di Gesù che ha promesso: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo ad essi» (Mt 18,20). Due le conseguenze.
La prima: c’è un carattere peculiare – d’incontro in Gesù e nello Spirito tra il dono che viene da Dio e la nostra responsabilità storica – che qualifica l’assemblea del Popolo di Dio: non solo nella celebrazione liturgica del mistero della Pasqua, l’eucaristia, che ne plasma l’identità; ma anche, in modo analogo e scaturente dalla sorgente eucaristica, nell’assemblea che la vede riunita per discernere il cammino della missione.
La seconda conseguenza: il soggetto comunionale che la Chiesa è non è uniforme e amorfo. È un Corpo dalle molte e diverse membra. La cui radicale uguaglianza deriva dal fatto che ciascuno è rivestito del medesimo Cristo (cf. Gal 3,27), gode cioè della stessa dignità ed exousía filiale (cf. Gv 1,12); e la cui diversità è frutto del dono dello Spirito, con l’attivazione attraverso molteplici carismi e ministeri, di diverse competenze e funzioni: tutti per il bene comune.
Così che «camminare insieme – sottolinea papa Francesco – scopre come sua linea piuttosto l’orizzontalità che la verticalità. La Chiesa sinodale ripristina l’orizzonte da cui sorge il sole, Cristo»:[16] proprio con ciò portando a pieno frutto il costitutivo significato ecclesiale dei sacramenti e del ministero ordinato in seno al Popolo di Dio.[17]
Non è cosa né scontata, né facile vivere secondo questa specifica logica e prassi sinodale. Occorrono conversione, purificazione del cuore e della mente, esercizio. Perché l’accesso a un’«alta qualità dei rapporti interpersonali» è opera dello Spirito: nel rispetto della libertà e singolarità di ognuno, nel riconoscimento dei tempi di Dio e del cammino di maturazione di tutti, nella cura delle immancabili ferite e nella gestione degli inevitabili conflitti, con la consapevolezza che portiamo un tesoro prezioso in «fragili vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria dýnamis appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7). Occorre impratichirsi con umiltà e pazienza in quella «spiritualità della comunione» di cui Giovanni Paolo II parlava nella Novo millennio ineunte, invitando la Chiesa a diventarne casa e scuola (cf. n. 43).
Senza questa mistagogia il processo sinodale non può portare frutti significativi e duraturi. Si tratta – cito il documento della CTI – di «educarsi a vivere nella comunione la grazia ricevuta nel battesimo e portata a compimento nell’eucaristia: il transito pasquale dall’“io” individualisticamente inteso al “noi” ecclesiale, dove ogni “io”, essendo rivestito di Cristo (cf. Gal 2,20), vive e cammina con i fratelli e le sorelle come soggetto responsabile e attivo nell’unica missione del popolo di Dio».[18] Di ciò i movimenti ecclesiali e le nuove comunità hanno il dono e la responsabilità di farsi, con umiltà, trasparenti e rigorose palestre di allenamento.
Si tratta, esorta papa Francesco, di «promuovere sempre più la sinodalità, affinché tutti i membri, in quanto depositari dello stesso carisma, siano corresponsabili e partecipi della vita» dei movimenti e comunità ecclesiali e dei loro fini specifici.[19] Il che diventa praticabile e fruttuoso quando, con convinzione, desiderio d’imparare dagli altri, spirito di servizio, si abita l’avventura del processo sinodale di tutto il Popolo di Dio.
In questa linea, una dimensione incentivata dal processo sinodale essendo spesso presente, almeno in nuce, nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità, è la partecipazione di cristiani di diverse Chiese, fedeli di diverse religioni, uomini e donne di altre convinzioni. È una grazia grande, suscitata dall’impulso dello Spirito in sintonia con il disegno di universalità e libera ordinazione di tutti al Popolo di Dio descritto nella Lumen gentium: di qui l’intrinseca apertura del processo sinodale all’ospitalità, all’ascolto e al cammino con tutti, senza esclusioni. Un passo nuovo nel cammino della Chiesa «in uscita» da non sprecare.
Doni da condividere
Seconda icona: la toccante descrizione del «gioco di sguardi» in Atti 3,1-10, con cui Pietro e Giovanni incrociano il loro sguardo con quello dell’uomo storpio dalla nascita, incontrato presso la porta del tempio detta Bella: «Fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “guarda verso di noi”. Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”» (Atti 3,4-6).
Due cose suggerisce il racconto: «I testimoni accreditati dell’opera di salvezza di Cristo non manifestano al mondo la loro presunta perfezione ma, attraverso la grazia dell’unità, fanno emergere un Altro che ormai vive in un modo nuovo in mezzo al suo popolo […] il Signore Gesù. Gli Apostoli scelgono di vivere sotto la signoria del Risorto nell’unità tra i fratelli, che diventa l’unica atmosfera possibile dell’autentico dono di sé»:[20] e così «ci insegnano a non confidare nei mezzi, che pure sono utili, ma nella vera ricchezza che è la relazione con il Risorto».[21]
Se la novità della comunità cristiana è una «qualità alta delle relazioni interpersonali», la sua missione consiste nel prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, nella concretezza spesso piagata della loro esistenza, offrendo l’unica cosa che i discepoli hanno ricevuto, in essa ritrovando con stupore, gioia e gratitudine il senso e lo stile della loro esistenza: la relazione col Signore risorto (cf. Mt 18,20). «Gli apostoli – sottolinea papa Francesco – hanno stabilito una relazione, perché questo è il modo in cui Dio ama manifestarsi, nella relazione, sempre nel dialogo, sempre nelle apparizioni, sempre con l’ispirazione del cuore: sono relazioni di Dio con noi; attraverso un incontro reale tra le persone che può accadere solo nell’amore».[22]
Il fulcro della missione è la testimonianza e l’offerta gratuita della relazione col Risorto che vive con e tra i discepoli che formano il suo Corpo, il quale – attesta l’apostolo Paolo – è presenza di lui, sua visibilità e tangibilità storica. Nell’adorazione del semper magis del suo mistero d’amore e nella consapevolezza sincera e acuta, spesso dolorosa – come ricordato – della propria fragilità.
I carismi all’origine delle nuove realtà ecclesiali sono indirizzati ad accendere e attivare l’esperienza della relazione con Gesù risorto come stile e fine della missione. Anche se talvolta l’effervescenza di un entusiasmo improprio – perché di natura meramente psicologica e sociologica e non spirituale – rischia di prendere la mano e rovesciare il significato del dono ricevuto in una autoreferenzialità che lo inibisce e persino stravolge.
È necessario sempre il distacco: da sé – come singoli e come gruppo –, senz’altro, ma anche dal dono ricevuto. E un costante cammino di rettifica dell’intenzione, di conversione, di verifica: da vivere con fede e umiltà. «Nessuno è padrone dei doni ricevuti per il bene della Chiesa – ha rimarcato papa Francesco –. Ciascuno, laddove è posto dal Signore, è chiamato a farli crescere, a farli fruttificare, fiducioso nel fatto che è Dio che opera tutto in tutti (cf. 1Cor 12,6) e che il nostro vero bene fruttifica nella comunione ecclesiale».[23]
Senza spaventarsi dei fallimenti e anche dei peccati: per la fede nella misericordia di Dio e perché la potenza della pasqua di Cristo si manifesta nella nostra debolezza (cf. 2Cor 12,9). Quello che ci è proposto è uno stile ecclesiale in sintonia con la «nuova tappa dell’evangelizzazione» a cui lo Spirito Santo spinge la Chiesa.
Non proselitismo ma attrazione. Il che si dà là e quando il nostro sguardo incrocia lo sguardo di chi cerca tante cose, forse, di primo acchito, ma in fin dei conti l’unica cosa di cui davvero c’è necessità (cf. Lc 10,42): la relazione con Dio che è Padre in Gesù. Ciò che il Vangelo, nel soffio dello Spirito, innesca attraverso la Chiesa nella storia è un «processo di “fraternizzazione”»[24] che raggiunga tutti, a partire dagli ultimi e solo apparentemente più lontani: che sono invece i primi e i più vicini, perché in loro Gesù continua a prender carne e ci viene incontro nel grido, sordo o urlato, della prova, del dolore, della ricerca, del dubbio, dell’invocazione.
Questa la frontiera della missione descritta dal Vaticano II e rilanciata da papa Francesco. Non si tratta di una strategia compromissoria nell’esercizio dell’identità cristiana: ma di attivazione della qualità propria del vivere in-Cristo, con fede matura e generativa. La fede plasmata dallo Spirito nel cuore, nella mente, nel grembo di Maria. Un incanto di bellezza tenera e forte atteso e desiderato, più o meno consapevolmente, nella temperie spirituale e culturale spesso disillusa, inquieta e incattivita, ma ricca di segrete promesse, della dopo-modernità e dopo-cristianità.
L’immaginazione e implementazione dialogica di stili spirituali e di paradigmi culturali che, da dentro, come sale e lievito (cf. Mt 5,13 e 13,33), orientino in modo condiviso e costruttivo i dinamismi sociali e comunicativi, economici e politici, è il segreto di un esercizio dell’annuncio e della testimonianza calibrato sull’asse della relazione.
Lo enuncia con chiarezza, nel solco della Gaudium et spes (n. 38), papa Francesco nella Laudato si’ e nella Fratelli tutti: «la proposta del Vangelo […] è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti» (Evangelii gaudium, 180).
Questo spirito pulsa al cuore dei carismi che animano i movimenti e le nuove comunità. La barra del timone dev’essere però tenuta dritta sulla giusta rotta: a evitare che percorsi pensati e intrapresi senza radicale ascolto dello Spirito e docilità ai suoi impulsi s’infrangano contro gli opposti scogli di un impegno nel sociale che finisce col non essere implementazione del Vangelo del Regno, o di un fondamentalismo che non riconosce l’autonomia delle realtà terrene e il dialogo con le culture, i saperi, le arti che le esprimono e promuovono.
La strada è individuata, ma siamo agli inizi. Costata papa Francesco: si profila «una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione».[25] L’impegno in una formazione robusta, aperta, permanente e lungimirante è una priorità per i movimenti ecclesiali e le nuove comunità.
Aperti alla guida dello Spirito
Occorre oggi riflettere a fondo – in base all’esperienza fatta e a quella in fieri, alle urgenze che si profilano nel passaggio al momento post-fondazionale, al quadro ecclesiologico offerto dal Vaticano II e oggi in fase di creativa riespressione nel processo sinodale – sulla figura carismatica e istituzionale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità in riferimento al loro riconoscimento nell’ordine canonico della Chiesa e in riferimento alle forme e dinamiche della loro missione.
S’intuisce che l’attuale configurazione, esprimendo la cura indispensabile e preziosa della Chiesa in questa tappa del loro cammino, prelude, nell’attuale contesto ecclesiale di ascolto dell’inedito dello Spirito, a nuovi e più promettenti assetti, quando i tempi si mostrino maturi.
Val la pena ricordare quanto sottolineato dall’allora card. Ratzinger nel Convegno del 1998: «Esiste la permanente forma basilare della vita ecclesiale in cui si esprime la continuità degli ordinamenti storici della Chiesa. E si hanno sempre nuove irruzioni dello Spirito Santo, che rendono sempre viva e nuova la struttura della Chiesa».[26] La struttura della Chiesa, proprio perché sempre viva, non può non essere per ciò stesso sempre aperta alla novità. Ogni «struttura ecclesiale» – auspica papa Francesco nella Evangelii gaudium – ha da diventare «un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27).
La prima attenzione che ci è chiesta è a non spegnere lo Spirito, a non disprezzare la profezia, a vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono (cf. 1Tess 5,19); ma, insieme a ciò, siamo chiamati – proseguendo il cammino sin qui fatto, con pazienza e in spirito di reciproco ascolto – a evitare la scorciatoia di cucire un pezzo di stoffa grezza sopra un vestito vecchio (cf. Mt 14,16). La stoffa è ancora per tanti versi grezza e come tale va lavorata: ma anche il vestito dev’essere nuovo.
[1] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro delle Associazioni di Fedeli, dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità, Aula del Sinodo, Città del Vaticano, 16 settembre 2021.
[2] L. Ghisoni, L’esercizio del governo nelle associazioni di fedeli e nei movimenti ecclesiali. Criteri e orientamenti pratici, in Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Decreto generale “Le associazioni internazionali di fedeli”. Testi e commenti. Contiene gli Atti dell’Incontro “La responsabilità di governo nelle aggregazioni laicali. Un servizio ecclesiale [16 settembre 2021], Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, pp. 65-80, qui p. 71.
[3] Papa Francesco, Udienza generale, 29 maggio 2019.
[4] Papa Francesco, Discorso per l’inizio del processo sinodale, Aula Nuova del Sinodo, Città del Vaticano, 9 ottobre 2021.
[5] Papa Francesco, Discorso in occasione della Commemorazione del 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi, Aula Paolo VI, Città del Vaticano, 17 ottobre 2015.
[6] K. Farrell, Conclusioni, in Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Decreto generale “Le associazioni internazionali di fedeli”, cit., pp. 81-84, qui, p. 84.
[7] Papa Francesco, Sinodalidad y comunión, Videomensaje con motivo de la Asamblea Plenaria de la Pontificia Comisión para América Latina, 24-27 maio 2022. [trad. nostra]
[8] M. Visioli, L’esercizio ecclesiale dell’autorità. Natura, finalità, limiti, in Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Decreto generale “Le associazioni internazionali di fedeli”, cit., pp. 43-63, qui, p. 56.
[9] Papa Francesco, Udienza generale, 29 maggio 2019.
[10] Papa Francesco, Udienza generale, 26 giugno 2019.
[11] Ibid.
[12] Papa Francesco, Udienza generale, 21 agosto 2019.
[13] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 52.
[14] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro delle Associazioni di Fedeli, dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità, cit..
[15] Cf. F. Coccopalmerio, Sinodalità ecclesiale “a responsabilità limitata” o dal consultivo al deliberativo? A colloquio con padre Lorenzo Prezzi e nel ricordo del cardinale Carlo Maria Martini, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021.
[16] Papa Francesco, Discorso ai fedeli della Diocesi di Roma, Aula Paolo VI, Città del Vaticano 18 settembre 2021.
[17] Scrive M. Visioli: «Per parlare correttamente di autorità, partecipazione e comunione, è allora necessario esplicitare il suo necessario riferimento a Cristo: è lui a operare un cambiamento di paradigma, non in chiave sociologica o democratica, bensì in quella ecclesiologica e trinitaria» (L’esercizio ecclesiale dell’autorità, cit., p. 54).
[18] Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 107.
[19] Papa Francesco, Udienza ai partecipanti all’Assemblea generale del Movimento dei Focolari, in «L’Osservatore Romano», 6 febbraio 2021, p. 12; cf. anche L. Ghisoni, L’esercizio del governo nelle associazioni di fedeli e nei movimenti ecclesiali, cit., p. 79.
[20] Papa Francesco, Udienza generale, 12 giugno 2019.
[21] Papa Francesco, Udienza generale, 7 agosto 2019.
[22] Papa Francesco, Udienza generale, 7 agosto 2019.
[23] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro, in Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Decreto generale “Le associazioni internazionali di fedeli, cit., pp. 29-36, qui p. 35.
[24] Papa Francesco, Udienza generale, 16 ottobre 2019.
[25] Cf. Laudato si’, 202; Veritatis gaudium, 6.
[26] J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in Pont. Consilium pro Laicis, I movimenti nella Chiesa, Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma, 27-29 maggio 1998), Città del Vaticano 1999, pp. 23-51, qui p. 25. Condivisibile senz’altro, in merito, quanto affermato dalla Lettera Iuvenescit Ecclesia della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Dal punto di vista della relazione tra doni gerarchici e carismatici è necessario rispettare due criteri fondamentali che devono essere inseparabilmente considerati: a) il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali, evitando forzature giuridiche che mortifichino la novità di cui l’esperienza specifica è portatrice. In tal modo si eviterà che i vari carismi possano essere considerati come risorsa indifferenziata all’interno della Chiesa. b) Il rispetto del regimen ecclesiale fondamentale, favorendo l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa universale e particolare, evitando che la realtà carismatica si concepisca parallelamente alla vita ecclesiale e non in un ordinato riferimento ai doni gerarchici».
Ammetto di aver sempre avuto qualche perplessità sulla spinta che GPII diede a questi movimenti… Perplessità che distanza di tanti anni permane. Non si può negare che cose buone ne abbiano fatte ma mi rimane addosso quel senso di “partigianeria” che descrive molto bene San Paolo nella lettera ai Corinti: 1Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. 12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». 13Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?
Grazie di cuore.
Sabrina
Leggerò con calma la tua riflessione, quanto mai necessaria in questo frangente, ma già mi piace la tua saggezza e chiarezza, il tuo distacco e lucidità. E’ un omento pasquale, un kairòs, e come tale va vissuto da tutte e tutti credenti dentro e fuori “i movimenti”. E’ un passaggio fisio/teo-logico! Ci sono passati anche i grandi Ordini antichi. Libertà interiore e senso critico realista ci aiuteranno; mitizzazioni e nostalgie faranno naufragare. A più presto.
Le associazioni, i movimenti, le nuove comunità hanno permesso alla chiesa di essere più ricche e dinamiche, ma hanno creato molti problemi, poichè ciascuna realtà è autoreferenziale e non guarda al resto. Laddove i consigli pastorali esistono e funzionano la comunità parrocchiale cammina insieme altrimenti è scoordinata. Alcuni parroci o non vogliono associazioni, movimenti o nuove comunità o ne vogliono una, magari dalla quale si proviene. I consigli pastorali permettono, in base alla mia esperienza di membro del consiglio pastorale della mia parrocchia e presidente parrocchiale di Azione Cattolica, un maggior coordinamento delle realtà parrocchiali e tra esse e il parroco.
La mia esperienza di cinquant’anni nel movimento dei focolari, con le tante difficoltà che tale lasso di tempo immancabilmente comporta, compresa la morte della fondatrice, mi ha portato a verificare quanto sia essenziale rimanere radicati nel carisma iniziale. Al fondamento del carisma manifestatosi fin dall’inizio. Possono cambiare le forme di espressione, i linguaggi, le attività che esprimono l’incarnazione, si possono avere tanti dubbi, perplessità sul modo di guidare la vita del movimento, ma ho sperimentato che, se lo sguardo, il cuore, la ‘tensione’ rimane in quello Spirito iniziale, quella Luce non si spegne. E non si spegne la fedeltà a quella chiamata. Nella croce certamente!!
Trovo interessante e intrigante il tentativo di legare la “conversione” richiesta ai movimenti ecclesiali alla “conversione” richiesta alla Chiesa. Tuttavia vedo per i movimenti un rischio, implicitamente affermato anche dallo stesso Coda, ovvero quello di sentir-si, di percepir-si come LA Chiesa. La conversione avrà senso e darà frutti se questa libererà i diversi movimenti ecclesiali dall’idea che la Chiesa inizia e termina solo all’interno del movimento. Talvolta sembra di assistere nella Chiesa cattolica, dove tutti dovrebbero parlare lo stesso linguaggio, agli stessi meccanismi che si manifestano in campo ecumenico e interreligioso: un’incomprensione che genera fossati e barriere invalicabili. Se questo avviene nella stessa Chiesa (cattolica!!!!!!!!!) è triste!