L’annuale appuntamento delle Comunità neocatecumenali con il papa si è rinnovato il 18 marzo, con 7.000 persone in Sala Nervi e 250 famiglie inviate in 57 nuove missio ad gentes sia in Europa sia in altri 13 paesi dei diversi continenti (Canada, Stati Uniti, Brasile, Perù, India, Cina, Australia, Papua Nuova Guinea, Etiopia, Costa d’Avorio, Sudafrica, Guinea Equatoriale, Nigeria). Il Cammino neocatecumenale è oggi presente in 1.320 diocesi di 110 paesi con 21.000 comunità attive in 6.000 parrocchie. I membri adulti del movimento sono 300.000 (ma con i figli arriverebbero a circa un milione). I preti formati dal movimento nei 103 seminari sono 2.000 e i seminaristi 2.200. Per l’Italia si parla di 5.000 comunità (circa 100.000 persone). Sono centinaia i gruppi di missione, formati da un prete e alcune famiglie, in tutti i continenti.
Inculturare il carisma
Una realtà ecclesiale significativa, che, come gli altri movimenti, da un decennio viene sostanzialmente ignorata dai media (anche ecclesiali), dopo alcuni lustri in cui era enfaticamente raccontata, in positivo o negativo secondo i casi. Papa Francesco ci ha abituati a un approccio diretto e privo di cautelose approssimazioni con tutte le identità ecclesiali. E così è anche per i movimenti. L’anno scorso (6 marzo 2015) aveva evidenziato il valore dell’esperienza: «E io oggi confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma… Io dico sempre che il Cammino neocatecumenale fa un grande bene nella Chiesa» e aveva ricordato il triplice riferimento: «Il Cammino poggia su quelle tre dimensioni della Chiesa che sono la Parola, la liturgia, la comunità», senza sottoporre a verifica la loro pratica – ostica a molti vescovi – della celebrazione eucaristica al sabato con le lodi in famiglia il giorno di domenica (senza eucaristia). Aveva valorizzato la loro dimensione missionaria: «In diverse occasioni ho insistito sulla necessità che la Chiesa ha di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria», sollecitandoli a «evangelizzare i non cristiani». Quest’anno, a quasi 50 anni dall’avvio dell’esperienza, è entrato in dialogo attraverso tre altri riferimenti.
Il primo è l’invito all’unità, come ultima e decisiva richiesta di Gesù, contro la tentazione che può provocare «la presunzione, il giudizio sugli altri, le chiusure, le divisioni… È la tentazione di tutte le comunità e si può insinuare anche nei carismi più belli della Chiesa». Il carisma infatti «può deteriorarsi quando ci si chiude o ci si vanta, quando ci si vuole distinguere dagli altri. Perciò bisogna custodirlo» attraverso l’unità umile e obbediente. Solo respirando nella Chiesa e con la Chiesa, assomigliamo ad essa e non la trasformiamo in «uno strumento per noi: noi siamo Chiesa». La fecondità della testimonianza ha bisogno del ministero e della guida dei pastori. «Anche l’istituzione è un carisma, perché affonda le radici nella stessa sorgente che è lo Spirito Santo». Il riferimento al carisma è uno dei luoghi più citati dal papa, in particolare per i religiosi, ma viene evocato spesso anche per i movimenti. Nel 2015, parlando al movimento di Comunione e liberazione, aveva detto: «Il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa, devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore… Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo”…, (significa piuttosto) tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri».
Moti interni
Il secondo riferimento è la parola «gloria», quella che indica la croce, secondo la tradizione giovannea: «La gloria di Dio si rivela sulla croce: è l’amore che lì risplende e si diffonde. È una gloria paradossale: senza fragore, senza guadagno e senza applausi». La terza parola è «mondo»: «Voi andrete incontro a tante città, a tanti paesi… Non sarà facile per voi la vita in paesi lontani, in altre culture, non vi sarà facile. Ma è la vostra missione… familiarizzate con le culture, le lingue e gli usi locali, rispettandoli e riconoscendo i segni di grazia che lo Spirito ha già sparso. Senza cedere alla tentazione di trapiantare modelli acquisiti, seminate il primo annuncio».
Parole non di circostanza, soprattutto in riferimento all’autorità dei pastori nella Chiesa, alla funzionalità del carisma rispetto alla centralità di Cristo, all’approccio cordiale alle culture e alla lingue dei paesi ai quali si è inviati. Dall’interno dell’esperienza del Cammino, oltre alla conferma della sua qualità cristiana e della «tenuta» delle singole comunità, sorgono anche interrogativi su alcune tensioni con gli episcopati, sulla leadership, sui seminari e sulla esposizione «politica». È noto il caso dei vescovi del Giappone che hanno chiesto al movimento di chiudere il seminario e di accettare l’indirizzo pastorale della Chiesa locale (2010-11) come anche le numerose lettere dei vescovi in merito alle prassi del movimento (un centinaio solo per l’Italia). La leadership è da sempre saldamente in mano ai due fondatori, Francisco José Gomez Argüello (Kiko) e Carmen Hernandez, affiancati da un presbitero (Mario Pezzi), ma i seri problemi di salute di Carmen e l’avanzata età di Kiko hanno suggerito l’avvio di una elaborazione per una possibile successione.
Per quanto riguarda i seminari le domande sono relative alle modalità di reclutamento (per alzata di mano in occasioni di grandi raduni), alla sapienza del discernimento (per diversi casi i numeri dei seminaristi sono talmente ridotti da rendere problematica l’accurata scelta degli educatori e il cima formativo) con qualche esito problematico (anche nel caso di allontanamento, quando l’interessato trova accoglienza presso i pastori locali, soprattutto in America Latina). Sulla questione della politica il Cammino è sempre stato molto defilato e restio, mentre è intervenuto con forza in alcuni momenti come il Family day. Fino ad entrare in rotta di collisione con la segreteria CEI. È successo nel 2015 (20 giugno), quando Kiko ha espressamente criticato il segretario e mons. Galantino si è trovato sulla sua posta elettronica una valanga di critiche (con qualche insulto).
Movimenti ecclesiali e politica
Sul tema dell’esposizione civile sono in atto spostamenti significativi all’interno dei movimenti ecclesiali. È nota la maggiore attenzione del Rinnovamento nello Spirito sui temi della dottrina sociale e del «pre-politico» (cf. l’intervista a Salvatore Martinez in Sett. 44/2014, pp. 8-9). Sta diventando evidente, sul fronte opposto, la prudenza di Comunione e liberazione, scottata dai molti scandali che hanno investito uomini politici del movimento, soprattutto in Lombardia. La probabile dislocazione di candidati su ambedue i fronti nelle prossime elezioni amministrative metteranno alla prova quanti identificano il nucleo di senso spirituale con l’uniformità del voto. In una intervista dell’anno scorso (Vatican Insider, 31 marzo 2015), il presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, don J. Carrón, aveva detto: «Evidentemente, quando si parla di realtà sociale delle dimensioni del movimento, ci troviamo sempre sotto i riflettori. A volte questo ci permette di offrire agli altri un contributo, a volte, invece è motivo di umiliazione, perché anche noi abbiamo dei limiti, come succede anche nella Chiesa nel suo insieme» (cf. anche AA.VV, : Il caso CL nella Chiesa e nella società italiana. Spunti per una discussione, Il Margine, Trento 2014). Il caso più interessante è forse quello dei Focolari. La presenza di uomini e donne focolarini in politica è di lunga data, ma il movimento non è mai stato coinvolto in particolari scandali, né identificato con interessi di parte.
I movimenti ecclesiali sono ormai una presenza consolidata nel panorama delle Chiese locali, ma è venuta meno la volontà, più o meno giustificata, di affidare loro il ruolo di punta di diamante in ordine al confronto con la modernità e l’indifferenza religiosa. Una espressione precisa della situazione la si trova nell’esortazione Evangelii Gaudium. «Le altre istituzioni ecclesiali, comunità di base e piccole comunità, movimenti e altre forme di associazione, sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Molte volte apportano un nuovo fervore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo che rinnovano la Chiesa. Ma è molto salutare che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare» (n. 29). «Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti» (n. 130).
Co-essenziali e petrini
Il movimentismo nella Chiesa è assai più vecchio dei movimenti. Nasce nell’800 con il «movimento cattolico» concentrandosi progressivamente nell’Azione cattolica e poi nei partiti di ispirazione cristiana. I movimenti hanno una lunga incubazione dagli anni ’30, ma si manifestano dagli anni ’50, e, in grande maggioranza, dopo il Vaticano II. Nel loro insieme rappresentano la risposta del cattolicesimo alla modernità. Una risposta dalla doppia valenza: del dialogo o piuttosto del conflitto. La polarizzazione, nell’attuale stagione, successiva al riconoscimento e all’enfasi, attraversa anche i movimenti ecclesiali. Non è casuale che, dopo i convegni internazionali del 1981, 1987, 1991, 1998 e quelli successivi, a cura del Pontifico consiglio dei laici, nel 2002 e nel 2006 e 2014, si vada spegnendo la spinta di rappresentazione unitaria del movimentismo a favore di una spendita nell’insieme della Chiesa. Come diceva il card. A. Scola nel 2006 alcuni movimenti tendono ad acquisire forme giuridiche proprie, altri ad integrarsi nella normale appartenenza ecclesiale. Vi è sempre minore insistenza su due elementi che nel passato erano fortemente enunciati: la co-essenzialità fra carismi (movimenti) e istituzione e la collocazione «apostolica», cioè immediatamente «petrina» dei movimenti stessi.
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