Breve esortazione al Popolo di Dio per accompagnare la Nota Pastorale «Un popolo tutto sacerdotale»
Carissimi fratelli e sorelle,
il Papa – modificando il can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico – durante lo scorso anno ha svincolato l’accesso alla ministerialità istituita anche alle donne. Per questo, nella breve Nota Pastorale – «Un popolo tutto sacerdotale» – che accompagno con questa semplice Lettera, ho chiesto alla nostra Chiesa, concordemente alle indicazioni di papa Francesco, di avviare un processo di discernimento per l’istituzione di nuovi battezzati e battezzate al ministero di Lettore ed Accolito.
La tradizione ecclesiale mai ha posto in questione l’accesso degli uomini ai ministeri istituiti, anticamente si chiamavano ordini minori. Purtroppo, non ha fatto lo stesso con le donne. Così, le sorelle di fatto hanno sempre esercitato un servizio impareggiabile nelle nostre parrocchie – come ad esempio sacriste, ministre straordinarie della comunione, cantrici, lettrici, catechiste e, a volte, anche come «ministranti» –, mai però è stato permesso loro di esercitare questi compiti per la comunità a nome della Chiesa.
Mi spiego meglio: concretamente le donne hanno sempre servito la Chiesa (a questo proposito diverse testimonianze ci provengono dagli stessi Vangeli); lungo i secoli, però, è via via andato in crisi il concetto che loro potessero servire in nome della Chiesa. Nel tempo si è scartata l’idea che una donna potesse ricoprire un ruolo rappresentativo all’interno della ministerialità ecclesiale. Al contrario, l’evoluzione sociologica degli ultimi decenni e l’affermarsi di sempre più figure femminili nei campi della cultura, della scienza, della politica, dell’economia e del lavoro (con numerosi ed eminenti risultati), ha reso i tempi maturi affinché dentro la Chiesa si potesse, ora, porre una questione femminile. I risultati raggiunti, al termine delle non poche riflessioni su questo argomento, non possono che essere incoraggianti: anche il genio femminile può trovare una sua dimensione rappresentativa e dirigenziale. La Chiesa, attraverso questa «rivoluzione» maturata durante il pontificato di Francesco, non vuole tanto garantire delle «quote rosa» dentro il suo governo. Al contrario (è il caso di sottolinearlo) desidera lasciarsi fecondare dall’intelligenza e dalla fede femminili, che – seppur uguali in dignità a quelle maschili – possiedono una diversità generatrice di novità e fecondità.
Anche nella nostra Curia diocesana, alcune figure femminili di alto profilo intellettuale, pastorale e cristiano stanno a poco a poco assumendo alcuni ruoli importanti nel governo pastorale della Diocesi, e questo mi spinge a desiderare che anche nelle parrocchie possa presto germogliare e diffondersi una ministerialità al femminile.
Se da una parte non sarà complicato istituire nuove catechiste e lettrici (ministeri che pacificamente vengono già ricoperti da battezzati di entrambi i sessi), dall’altra si pone alle nostre comunità la delicata questione di un accolitato femminile.
Ecco dunque il problema pastorale: il fatto che una donna possa occuparsi della preparazione della Messa, distribuire l’Eucaristia, formare liturgicamente i ministri della parrocchia e, perfino, esporre e riporre il Santissimo Sacramento durante le Adorazioni comunitarie (naturalmente senza impartire la benedizione) non desta alcuna curiosità; la possibilità, invece, che essa collabori «da vicino» all’Altare, magari indossando un abito liturgico, probabilmente è un’immagine a cui le nostre comunità non sono ancora abituate. Eppure, l’abito bianco (chiamato alba) che caratterizza i ministri durante la Liturgia non ha un significato principalmente sacerdotale (uso questo termine in riferimento al sacramento dell’Ordine) ma battesimale! L’alba richiama quella veste bianca di cui sono rivestiti tutti (tutti!) coloro che, redenti dal sangue dell’Agnello, celebrano la liturgia di lode nel santuario di Dio (cf. Ap 7,9.14-15), quella veste che tutti (tutti!) i credenti hanno ricevuto nel giorno del loro battesimo. Insomma, quell’abito bianco appartiene – potremmo dire di diritto – a tutti (tutti!) i battezzati, perché sono essi (tutti i battezzati, tutto il popolo sacerdotale di Dio) a vivere l’Eucarestia. Pertanto, solo maturando questa consapevolezza ecclesiale potremo superare l’imbarazzo – forse ancora un po’ clericale – di un accolitato declinato al femminile.
Carissime sorelle, con gioia mi rivolgo a voi.
A voi, che nelle nostre comunità già curate l’annuncio della Parola e la celebrazione della Liturgia, chiedo con coraggio di maturare il desiderio di servire in nome della Chiesa, non privateci della vostra preziosa testimonianza!
A voi chiedo di mostrare un nuovo stile ministeriale, uno stile più attento, più creativo, più sentito, più curato, più maturo, più fruttuoso. Insomma, uno stile ministeriale tutto al femminile!
A voi chiedo, in comunione con i vostri parroci, di discernere nella vostra vita questa chiamata vocazionale alla rappresentatività non solo nella liturgia ma anche nell’evangelizzazione, nella pastorale ordinaria e nella missione!
A tutte voi, infine, affido due esempi altissimi di ministerialità femminile: la Vergine Maria, accolita del Signore e Maria Maddalena, apostola degli apostoli. In entrambe si realizza in maniera speciale l’intima vicinanza al Mistero del Verbo incarnato, crocifisso e risorto, e l’intrepido annuncio dello stesso Mistero; la loro imitazione e la loro protezione possano infondere in voi, care sorelle, il desiderio di rispondere con coraggio alla chiamata al ministero istituito per il bene di tutta la Chiesa.
Benedico tutti e tutte nel Signore, nostra unica speranza di pace,
Noto, 16 luglio 2022,
Nostra Signora del Monte Carmelo
+Antonio, vescovo
UN POPOLO TUTTO SACERDOTALE
Nota pastorale
Sulla receptio della modifica del can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, a proposito della creazione di nuovi itinerari di discernimento e formazione per Lettori e Accoliti.
Il magistero di papa Francesco, fin dai suoi esordi, non cessa di interrogare la Chiesa universale. Espressioni iconiche, infatti, come «Chiesa in uscita» e «Chiesa ospedale da campo», hanno segnato profondamente – e continueranno a farlo anche in futuro –- la traiettoria pastorale delle Diocesi di tutto il mondo.
Mentre la comunità dei credenti si dispone a uscire fuori da sé stessa per portare la «gioia del Vangelo» (e così ritrovare se stessa fuori dal recinto, nelle periferie esistenziali), il Papa sollecita alla missionarietà non solo i ministri ordinati e i consacrati, ma l’intero popolo dei battezzati[1]: ricordandoci che tutti i servizi (o ministeri) ecclesiali «hanno per fondamento la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel Sacramento del Battesimo […] e possono essere affidati a tutti i fedeli, che risultino idonei, di sesso maschile o femminile»[2].
Pertanto, anche la nostra Chiesa desidera «risvegliare l’entusiasmo personale di ogni battezzato e ravvivare [in lui] la consapevolezza di essere chiamato a svolgere la propria missione nella comunità»[3], non tanto per «concessione» straordinaria ma in virtù della stessa grazia che lo ha costituito – attraverso i sacramenti dell’Iniziazione cristiana – pienamente conforme al Cristo Figlio, Sacerdote, Re e Profeta.
Nel 1972, nella Lettera Apostolica Ministeria Quaedam, papa san Paolo VI declinava i compiti dei restaurati ministeri del Lettorato[4] e dell’Accolitato[5], abbinando alla funzione cultuale anche una dimensione profondamente «vocazionale» e «missionaria».
Nelle parole del santo Papa, il Lettore non si limita a prestare la voce ai testi sacri durante la Liturgia, ma si impegna «ad acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura», così da diventare un discepolo sempre più perfetto del Signore.
Parimenti, all’Accolito non compete solo aver cura dell’Altare e di quanto lo circonda, ma si chiede di «offrirsi, ogni giorno, completamente a Dio ed essere, nel tempio, di esempio a tutti per il suo comportamento serio e rispettoso, e avere inoltre un sincero amore per il corpo mistico di Cristo, specialmente per i deboli e i malati».
Risulta evidente, quindi, che i «ministeri laicali» – pur essendo intimamente legati al culto – non devono pensarsi in un’accezione esclusivamente liturgica, come se al battezzato o alla battezzata venisse chiesto di «fingersi» ordinati. Al contrario, i laici chiamati al ministero, oltre a essere «veri animatori di assemblee presiedute dal pastore d’anime, [dovranno anche essere] promotori della corresponsabilità nella Chiesa e dell’accoglienza di quanti cercano di compiere un itinerario di fede, evangelizzatori nelle varie situazioni ed emergenze di vita, interpreti della condizione umana nei suoi molteplici aspetti. Essi renderanno presente alla comunità le attese e le aspirazioni degli uomini del nostro tempo e insieme saranno un segno autentico della presenza della Chiesa nelle famiglie, nei luoghi di studio e di lavoro e sulle strade del mondo»[6].
Sicuro che nelle nostre comunità già moltissimi battezzati danno testimonianza di tanta dedizione, impegno e collaborazione pastorale, con questa Nota
CHIEDO
ai parroci – e a coloro che vi sono equiparati per le norme del Diritto – di avviare un processo di discernimento serio e accurato, al fine di individuare alcuni uomini e donne che possano non solo sostenere, ma perfino incrementare l’azione pastorale delle parrocchie, attraverso l’esercizio di una ministerialità ufficialmente istituita.
Tali candidati, per ragioni di opportunità, dovranno essere in possesso – analogamente a quanto previsto dal can. 1029 – dei seguenti requisiti: fede integra, retta intenzione, scienza debita, buona stima, integri costumi, provate virtù e, infine, dovranno essere in possesso delle qualità fisiche e psichiche congruenti all’esercizio del ministero[7].
Inoltre, nel prossimo anno pastorale – in ascolto dei consigli e dei suggerimenti che mi giungeranno sulla metodologia e i contenuti più opportuni da adottare – sarà mia premura istituire un adeguato percorso diocesano di formazione, la cui frequenza permetterà ai candidati e alle candidate di raggiungere quel livello di conoscenza teologica, biblica e liturgica necessario al loro impegno (e la cui frequenza sarà propedeutica all’istituzione).
Invocando fin da ora una rinnovata effusione dello Spirito del Signore sulla nostra Chiesa e, conformemente al comando del Signore, invito tutti a pregare, per intercessione della Madonna della Scala e di san Corrado Confalonieri, il Signore della messe affinché mandi nuovi operai ed operarie nella sua messe (cf. Mt 9,37-38).
Noto, 16 luglio 2022,
Nostra Signora del Monte Carmelo
+ Antonio, vescovo
[1] Cf. Francesco, Esort. Ap. Evangeli Gaudium, 120.
[2] Francesco, Lett. Ap. Spiritus Domini.
[3] Francesco, Lett. Ap. Antiquum Ministerium, 5.
[4] «Il Lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio nell’assemblea liturgica. Pertanto, nella Messa e nelle altre azioni sacre spetta a lui proclamare le letture della Sacra Scrittura (ma non il Vangelo); in mancanza del salmista recitare il salmo interlezionale; quando non sono disponibili né il Diacono né il cantore, enunciare le intenzioni della preghiera universale dei fedeli; dirigere il canto e guidare la partecipazione del popolo fedele; istruire i fedeli a ricevere degnamente i Sacramenti. Egli potrà anche – se sarà necessario – curare la preparazione degli altri fedeli, quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche. Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfezione questi uffici, procuri di meditare assiduamente la Sacra Scrittura. Il Lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più perfetto discepolo del Signore».
[5] «L’Accolito è istituito per aiutare il Diacono e per fare da ministro al Sacerdote. È dunque suo compito curare il servizio dell’altare, aiutare il Diacono e il Sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente nella celebrazione della Santa Messa; inoltre, distribuire, come ministro straordinario, la Santa Comunione tutte le volte che i ministri, di cui al can. 845 del CIC, non vi sono o non possono farlo per malattia, per l’età avanzata o perché impediti da altro ministero pastorale, oppure tutte le volte che il numero dei fedeli, i quali si accostano alla Sacra Mensa, è tanto elevato che la celebrazione della Santa Messa si protrarrebbe troppo a lungo. Nelle medesime circostanze straordinarie potrà essere incaricato di esporre pubblicamente all’adorazione dei fedeli il Sacramento della Santissima Eucaristia e poi di riporlo; ma non di benedire il popolo. Potrà anche – in quanto sia necessario – curare l’istruzione degli altri fedeli, i quali, per incarico temporaneo, aiutano il Diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche portando il messale, la croce, i ceri ecc., o compiendo altri simili uffici. Egli eserciterà tanto più degnamente questi compiti, se parteciperà alla Santissima Eucaristia con una pietà sempre più ardente, si nutrirà di essa e ne acquisterà una sempre più profonda conoscenza. L’Accolito, destinato in modo speciale al servizio dell’altare, apprenda tutte quelle nozioni che riguardano il culto pubblico divino e si sforzi di comprenderne l’intimo e spirituale significato: in tal modo potrà offrirsi, ogni giorno, completamente a Dio ed essere, nel tempio, di esempio a tutti per il suo comportamento serio e rispettoso, e avere inoltre un sincero amore per il corpo mistico di Cristo, o popolo di Dio, e specialmente per i deboli e i malati».
[6] CEI, Istituzione dei ministeri, consacrazione delle vergini e benedizione abbaziale (Premesse, n. 5).
[7] A questi requisiti si devono aggiungere il compimento dei 25 anni di età e l’assenza di impedimenti canonici, similmente quanto si legge nel can. 1040.
Trovo interessante il desiderio – tra dire e il fare c’è di mezzo il mare recita un noto proverbio – di voler dare a dei ministeri una connotazione femminile. Ma siamo nel 2022….prima no? Non mi sembra che prima del 2022 ci fossero dei forti impedimenti. Forse mi sbaglio ma perfino il diritto canonico (Codice del 1984!!!!) lo prevedeva.
L’articolo fa passare come scontato il ritardo nel riconoscere il valore delle donne. Inoltre sarebbe il caso di abbandonare espressioni già stravecchie come “il genio femminile”: sì, è una espressione vecchia che non dice, anche se è stata usata da quel grandissimo santo che è stato Giovanni Paolo II. Come donna questa ministerialità istituita mi imbarazza e non toglie la vergogna della mia Chiesa, che ancora fatica con concessioni dall’alto, mentre lo Spirito ha soffiato sulla società senza fare differenze di persone. A me, donna cristiana e cattolica, questa concessione non dà né restituisce niente, mi è indifferente. Mi sembra che nella Chiesa non ci sia affatto bisogno di istituire nuovi ministeri: nella Chiesa ci sono fin troppi camerieri che si credono più importanti degli sposi.