Nel dialogo con i confratelli gesuiti durante il viaggio a Budapest (cf. Civiltà Cattolica, 9 maggio 2023; cf. SettimanaNews, qui), il 29 aprile, papa Francesco ha risposto a una scomoda domanda circa due gesuiti che, al tempo del suo provincialato in Argentina (1973-1979), furono incarcerati, torturati e, dopo alcuni mesi, rimessi in libertà: Orlando Yorio e Ferenc Jalics.
«Si è sviluppata la leggenda che sarei stato io a consegnarli, perché fossero imprigionati. Sappiate che un mese fa la Conferenza episcopale argentina ha pubblicato due volumi dei tre previsti con tutti i documenti relativi a quanto accaduto tra la Chiesa e i militari. Trovate tutto lì». «Ho fatto quello che sentivo di fare per difenderli».
Totalmente scagionato da Jalics (Yorio è morto nel 2000), Francesco non nega la «distanza» con Jalics anche nel suo ultimo colloquio («vedevo che lui soffriva perché non sapeva come parlarmi») e sottolinea: «Le ferite di quegli anni sono rimaste sia in me sia in lui». In generale, «la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era per nulla chiaro che cosa si dovesse fare». Francesco Strazzari ricostruisce quel clima sulla base dei suoi contatti nei viaggi in Argentina (red.).
Anche sotto la breve presidenza di Isabelita Perón (1974-1976) si ebbero sequestri e sparizioni nei barrios dei poveri. Già prima del colpo di stato (24 marzo 1976), che diede inizio alla spietata dittatura, nella chiesa di Santa Maria Madre del Pueblo, il parroco Rodolfo Ricciardelli, una delle figure più carismatiche e attive del movimento dei preti “tercermondistas”, insieme con i sacerdoti Jorge Venazza e Carlos Mugica (assassinato nel 1974), si era reso conto del pericolo di continuare a lavorare nei monoblocchi del barrio.
Vi operavano militanti di settori distinti. Tra di loro c’erano i gesuiti Orlando Yorio e Ferenc Jalics. Bergoglio aveva conosciuto Yorio all’inizio degli anni ’60 nel Collegio Maximo. Fu suo professore nei due anni di teologia. Jalics lo conobbe nello stesso luogo e nella stessa epoca.
I gesuiti nella dittatura militare
Bergoglio non condivideva le loro posizioni e la loro attività. Da tempo se ne era distanziato, provocando malumore nella Compagnia argentina. Superiore nel 1973, all’età di 36 anni, non era favorevole che i gesuiti si compromettessero in questioni politiche. I due gesuiti – ve n’erano anche altri – si erano orientati verso i poveri con attività pastorali, che avevano uno scopo ben preciso, spiccatamente evangelico.
Vivevano nel barrio Rivadavia ed erano molto attivi nel movimento “Peronismo di base” (PB). Quando avvenne il colpo di stato, ambedue, con il padre Luis Dourron, non avevano più le autorizzazioni necessarie per esercitare il ministero. La Compagnia di Gesù aveva deciso di sciogliere la comunità del barrio Rivadavia, permettendo loro di celebrare messa fino a che non fossero entrati in un’altra congregazione o fossero stati incardinati in qualche diocesi.
Jalics e Yorio non furono entusiasti della soluzione, anzi ebbero una reazione molto dura. All’interno del Collegio, per un anno intero si discusse con Bergoglio, rimanendo su posizioni distanti. Lo sesso Bergoglio in un’audizione del 2010 rese noto che ambedue chiesero di uscire dalla Compagnia. La domanda fu inoltrata a Roma.
Yorio e Dourron ottennero di uscire dalla Compagnia il 19 marzo 1976, mentre Jalics scelse di restarvi. Dourron si incardinò nella diocesi di Morron, mentre Yorio rimase in attesa. Bergoglio dichiarò nell’audizione: «Offrii loro di vivere nella curia provinciale insieme con me, loro tre».
Sequestri e tensioni
Dall’11 al 23 maggio 1976, gruppi legati alle forze armate della dittatura fecero irruzione nelle case dei militanti e degli abitanti del barrio Rivadavia e del basso Flores. Furono rapiti anche Yorio e Jalics, che avevano contatti con il “Peronismo di base”.
«La mia prima sensazione – riferirà poi Bergoglio – fu che li avrebbero liberati immediatamente, perché non avevano nessuna cosa di cui essere accusati. Inoltre, ero convinto che non fosse un’operazione per cercare loro soli, ma che fosse una retata nella quale caddero… I militari sequestrarono i due gesuiti perché erano vicini a un gruppo di giovani laici, che erano stati sequestrati giorni prima e perché intendevano far piazza pulita nella chiesa dei preti “tercemondistas”, che loro ritenevano comunisti, come dimostrarono gli assassinii dei padri pallottini della parrocchia di San Patrizio nel barrio di Belgrano e di altri nello stesso anno».
Impietoso il giudizio di Horacio Verbitsky nella sua opera: Historia politica de la Iglesia Catolica (III vol.). Criticando aspramente l’operato di Bergoglio, sosteneva che si era proposto di pulire la Compagnia dai «gesuiti mancini».
Unici superstiti
Dopo quasi sei mesi di sequestro, Yorio e Jalics si trovarono in ottobre in un campo nella località Canuelas. Erano completamente nudi. Yorio chiamò Bergoglio e lo informò della liberazione. Erano stati nella Scuola meccanica dell’armata insieme con altri detenuti e poi erano stati trasferiti in una località che non riuscirono a identificare.
Bergoglio si diede da fare perché il segretario della nunziatura aiutasse Yorio a ottenere l’autorizzazione a incardinarsi nella diocesi di Quilmes. Poi fu inviato a Roma a studiare diritto canonico. Jalics andò negli Stati Uniti, dove viveva la madre.
Yorio morì nel 2000 a Montevideo, dove lavorava nella parrocchia di Santa Bernadetta. Bergoglio mantenne i rapporti con Jalics nel corso degli anni. Nel 1978 Jalics trovò ospitalità nel monastero di Wilhelmsthal, nel sud della Germania. Poi passò a Budapest nel 2017, dove morì per Covid nel 2021.
Il 15 marzo 2013 rilasciò una dichiarazione molto importante e attesa: «Anni dopo avemmo l’opportunità di conversare con il padre Bergoglio su quanto era accaduto. Dopo celebrammo insieme la messa con la gente e ci demmo un abbraccio solenne. Sono riconciliato con gli eventi e considero la questione chiusa».