Non «meno Chiesa», ma una «Chiesa altra»: le decisioni sulla chiusura e la vendita delle chiese che interessano le diocesi del Nord (Germania, Olanda, Belgio, Francia) cominciano a diventare previsioni anche nel contesto italiano. Una lettura angosciosa del fenomeno è falsante e incapace di leggere la nuova vitalità delle comunità. Dal 2005 su 110 chiese della regione di Bruxelles capitale (19 comuni) una ventina sono state dismesse o affidate ad altre comunità cattoliche e cristiane. Nel contesto francese, che conta 42.258 chiese e cappelle, ne sono state alienate dal 1905 non più di 255.
Francia e Belgio
I numeri assoluti non raccontano tutto. Ne è un esempio la lettera pastorale dell’ausiliare di Bruxelles, mons. Jean Kockerols, Chiesa nella città: fedele alla sua missione…, pubblicata il 27 novembre scorso. «Non posso che gioire della grande vitalità della Chiesa cattolica nella nostra città, malgrado le sue numerose sfide, dentro quelle più generali della regione-Bruxelles». Nel contesto del tutto secolarizzato, dove la fede è guardata come strana e forse pericolosa, «i cristiani prendono sempre più a cuore la loro missione di annunciare il Vangelo, della Buona Novella del Cristo, senza arroganza e senza complessi». Sono in crescita i battesimi degli adulti e l’insieme della catechesi è ormai di tipo catecumenale.
Una data importante è il 2006 che ha visto un partecipato congresso ecclesiale sull’evangelizzazione e la pubblicazione di una lettera pastorale di mons. De Kesel che ridefiniva i territori sulla base delle unità pastorali. La denatalità, le dislocazioni interne e gli immigrati stanno cambiando il volto della città e delle comunità. Sono più di 20 le lingue della liturgia, mentre l’impegno della diaconia della carità assume un volto sempre più condiviso e partecipato. Le brucianti diseguaglianze sociali e le forti tensioni – il testo parla di «enormi incomprensioni» – con la popolazione di origine musulmana (soprattutto dopo gli attentati dei mesi scorsi) costituiscono delle sfide urgenti.
Parrocchie e unità pastorali
La parrocchia, per non rinunciare ad essere quello che deve essere, cioè il contesto di esperienza per una vita credente e una comunità cristiana, ha bisogno di calibrare i suoi spazi e le sue strutture, comprese le chiese. Le unità pastorali organizzano e alimentano i tempi forti della liturgia, strutturano la catechesi, rendono possibile il servizio diaconale della carità e hanno fatto emergere un possibile lavoro di rete, in precedenza non sperimentato. C’è un protagonismo laicale da valorizzare. In tale contesto si discute anche dell’utilizzazione delle chiese e degli spazi celebrativi. Il testo distingue fra le chiese di unità, cioè le chiese di riferimento per le unità pastorali, caratterizzate dalla facile accessibilità e riconoscibilità, e le chiese di testimonianza. In questa categoria sono comprese le cappelle degli ospizi e degli ospedali, quelle gestite da religiosi, le chiese parrocchiali ancora usate. In questa categoria vi sono le chiese monumentali e le chiese conventuali di maggiore rilievo. Il primo ambito alimenta la «luce nella città», il secondo testimonia il «sale della terra e il lievito della pasta».
Nel cantiere aperto delle nuove comunità si affronta il compito della gestione economica dei beni immobili (fra cui le chiese) e là dove risulta un uso non adeguato degli spazi si procede per altre strade. La prima è l’uso misto degli spazi, per attività di ordine culturale e sociale, d’intesa con le autorità civili. La seconda è la destinazione a comunità cattoliche di origine straniera. La terza a comunità cristiane non cattoliche, che hanno bisogno di luoghi di culto. Contestualmente si procede anche alla costruzione di nuove chiese, là dove vi è bisogno. È il caso del sobborgo di Etterbeek.
Solo nel caso estremo di non utilizzo prolungato e di insopportabile peso economico si procede a una destinazione di natura profana, rispettosa della destinazione di origine. La «sconsacrazione» è solo una soluzione ultima. «Essa deve rispettare una procedura stabilita dal diritto della Chiesa. I vescovi daranno la preferenza a destinazioni di carattere sociale o che rispondano a sfide urgenti per la città. Avranno quindi la precedenza: scuole, alloggi, luoghi di incontro».
Gestire edifici, creare comunità
In Francia il numero di chiese alienate e vendute, anche se limitato, è sotto attenta osservazione dei vescovi che, da anni, vi hanno dedicato uno specifico organismo di sorveglianza.
La Chiesa francese (e in parte quella belga) gode di una particolare condizione. La legge sulla libertà religiosa del 1905 ha reso di proprietà comunale o statale le chiese costruite fino ad allora: oltre 40.000. Tutte queste sono legata a una «destinazione» perpetua di uso liturgico per la Chiesa cattolica. Economicamente sono a carico dello stato. Fra il 1905 e il 1965 sono state demolite e ricostruire 2047 chiese «destinate» e fra il 1965 e il 2015 ne sono state ricostruite 143. Quelle «de-destinate», cioè sottratte al loro compito a partire dal 1905, sono 255. Una piccola parte delle chiese sono state costruite e sono di proprietà delle diocesi: 1886 a partire dal 1905. Di queste, quelle vendute non sono più di 22.
Il processo di «de-destinazione» è giuridicamente regolato: non si celebra da 6 mesi, non vi è possibilità di mantenimento, si utilizza lo stabile per altro da molto tempo. Per vidimare il passaggio è necessario un decreto del Prefetto o del Consiglio di stato.
Il clero è chiamato a gestire la «destinazione» anche nel caso di un utilizzo parziale per ragioni culturali da parte dell’amministrazione pubblica. Quest’ultima gestione «aperta» degli spazi religiosi è stata favorita, da un lato, per rendere ospitali le chiese a «serate d’arte» o alla «notte delle chiese» e, dall’altro, per creare spazi di esposizione e di dialogo con artisti contemporanei.
«Leggendo le cifre si constata agevolmente che la situazione non è così drammatica come alcuni la descrivono quando proclamano che le nostre chiese sono in pericolo. Senza negare la necessità di una vigilanza al riguardo negli ultimi anni che si rivelano i più difficili». La questione dei luoghi di culto è legata alle nuove forme della comunità.
Per tornare alla lettera di mons. Jean Kockerols è l’esperienza vivente della Chiesa come corpo di Cristo che regge e giustifica le decisioni istituzionali e pratiche. Fermarsi ai muri significa non vedere la vita delle comunità e ignorare la forza dello Spirito.