Il modello del poliedro per la “Chiesa in uscita”
Papa Francesco offre alla pastorale e alla missione della “Chiesa in uscita” un modello originale e dal messaggio profondo che, in estrema sintesi, è questo: all’opera pastorale ognuno deve portare il suo contributo fattivo, ma soprattutto di originalità ideale, dal momento che ognuno dispone solo di una parte dell’intelligenza, del gusto, della forza, della bellezza per il bene comune, della pastorale e della missione. Dall’insieme di queste preziose parzialità – è la conclusione – nasce l’intero dell’opera pastorale e della missione.
Il modello non è la sfera della perfezione
Sul tema dei modelli pastorali papa Francesco scrive: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro».[1] Non è la sfera: ma perché la rifiuta? Con ogni probabilità, il primo motivo sta nel fatto che la sfera è segno di perfezione, ma come può essere questo un motivo per eliminarla come modello di pastorale?
La sfera è eliminata proprio perché simbolo di perfezione: non si tratta di mirare alla perfezione, cosa importante e doverosa, ma dell’ostinarsi a raggiungerla, divenendo questo fine a se stesso; si tratta di pensare d’aver già raggiunto la perfezione e di non doverla più cercare: questo, evidentemente, è un impedimento a fare il bene possibile.
La sfera è il simbolo della regolarità assoluta e perfino della divinità: cattura il fatto che essa, per la sua particolarità, è figura “limite” della famiglia dei poliedri, ma non indica in nessun modo il “limite” che connota l’uomo, il suo dire, il suo fare, il suo giudicare. Nell’opera pastorale, questo non aiuta perché essa non può realizzarsi solo mirando alla perfezione infinita di Dio, alla bellezza infinita del Vangelo, alla santità infinita del Regno, alla felicità infinita del Cielo.
La pastorale incontra il limite delle capacità, il disastro morale, la debolezza del peccato, la perfidia del malvagio, l’irregolarità dei comportamenti, la debolezza a tutti i livelli. Peraltro, l’opera pastorale incontra anche la mediocrità del discepolo, la stanchezza del missionario, la povertà del contesto umano, l’avversità dei tempi, l’esiguità dei mezzi d’ogni sorta…
Papa Francesco tiene presente tutto questo, pur senza mai chiedere il rilassamento, né s’accontenta di un impegno debole nella missione.[2] Parimenti, per non cedere a retoriche di alcun genere, scrive: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti».[3]
Egli preferisce addirittura una Chiesa difettosa e limitata, ma più sincera e umile nella missione: «Vediamo così che l’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze. Esso cerca sempre di comunicare meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile. Un cuore missionario è consapevole di questi limiti e si fa “debole con i deboli […] tutto per tutti”(1Cor 9,22)».[4]
Il modello è l’antiperfettismo ecclesiale
Papa Bergoglio aveva detto che la sfera «non è superiore alle parti», evidentemente perché non ha parti, volendo dire – con sottigliezza – perché è solo se stessa…
Quante volte la pastorale non fa coro, non canta, non fa armonia, proprio perché chi si ritiene perfetto impone il suo “a solo” magari per anni! È sempre così: chi si ritiene perfetto nella Chiesa non rispetta nessuno e neppure si sente superiore ad alcuno, ma semplicemente… non vede nessuno.
Il perfettismo (ce l’ha insegnato il beato Antonio Rosmini per la politica[5]) è sempre pericoloso: lo è anche nella pastorale perché, come figlio della superbia, blocca anche quanti con umiltà si pongono in ricerca del bene e del meglio, togliendo loro tempo e spazio per farlo…
Detto di no alla sfera, papa Bergoglio opta per il poliedro come modello di pastorale. Scrive: «Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno».[6] Con i suoi molti lati, con le sue molte rifrangenze, con le sue piccole unità e l’originalità del loro comporsi appoggiandosi l’una all’altra, il poliedro forma un insieme oltremodo interessante e bello.
Scrive con sottile felicità papa Bergoglio, applicando il suo modello di mondo, di Chiesa e di missione: «Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti».[7]
[1] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24.11.2013), n. 236. Da ora in poi EG.
[2] Egli chiama all’umile andare, fra cadute e riprese, verso la meta della discepolanza e della missione: «La testimonianza di fede che ogni cristiano è chiamato ad offrire, implica affermare come san Paolo: “Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla… corro verso la meta” (Fil 3,12-13)» (EG, n. 49).
[3] EG, n. 49.
[4] EG, n. 45. Cf. anche: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (EG, n. 49).
[5] È una tentazione che s’illude di poter costruire da sé società perfette, frutto – scrive il beato Rosmini – di profonda ignoranza della natura umana (cf. M.G. Masciarelli, La società civile secondo Antonio Rosmini-Serbati, Pontificia Universitas Lateranensis [Theses ad lauream in Iure Canonico], Roma 1990, pp. 78-80).
[6] EG, n. 236.
[7] EG, n. 236.