In modo sempre più insistente si sente parlare di una possibile crisi del governo Conte. Insistente lo scenario dell’arrivo di Mario Draghi (anche se il diretto interessato non sembra volerne sentir parlare, non in questo modo). Altri – secondo alcuni i più filocinesi – parlano di Vittorio Colao.
Ipotizzata la disponibilità di Berlusconi a entrare in maggioranza. Cosa c’è di vero? Difficile dare una risposta. Ma alcune coordinate si possono tracciare.
Una pericolante chiave di volta
Conte – com’è noto – non ha proprie maggioranze né autonoma leadership politica. È arrivato al governo dopo le elezioni di marzo 2018 per risolvere l’impasse giallo-verde: assunto che né M5S né Lega volevano cedere facilmente il passo verso la poltrona di Palazzo Chigi, si ricorse al “tecnico d’area”, indicato dai M5S. Una posizione instabile come quella di una chiave di volta in un arco: senza le pietre sottostanti si rovescia sul pavimento. Ma al tempo stesso una posizione cruciale: senza la chiave di volta, anche l’arco crolla.
Situazione analoga si è riprodotta al momento del cambio di maggioranza parlamentare, nello scorso agosto: alla fine Conte, che tutti davano per spacciato, si è ritrovato di nuovo “chiave di volta” decisiva per equilibrare le spinte tra Pd e M5S.
Non mancavano certo i pretendenti a una funzione analoga e certamente Matteo Renzi – vero iniziatore dell’“operazione” di agosto – non ha gradito che quel ruolo di equilibrio sia rimasto in mano a Conte.
Finanziaria, scadenze europee, logica: tutto impediva negli ultimi mesi del 2019 l’immediata riapertura della crisi. Ma se ne parlava in prospettiva. Lo scarso successo nei sondaggi di Italia Viva (i cui numeri sono essenziali per la maggioranza, non dimentichiamolo) sembrava destinato ad accelerare i tempi: con quei sondaggi Renzi non poteva permettersi di tornare a votare, ma al tempo stesso neanche acquietarsi in un ruolo di forza minore di governo, destinata a un inevitabile drastico ridimensionamento alle prossime scadenze elettorali.
La prospettiva giusta, dunque, pareva quella di un cambio di guida – qualcuno più nelle corde dell’ex sindaco di Firenze – ma non quello di elezioni anticipate. Del resto, la balcanizzazione in atto nel M5S rendeva la posizione di Conte – inizialmente voluto da Di Maio – sempre più precaria. Ma va dato atto che Conte da tempo aveva dimostrato di sapersi “mettere in proprio” trovando anche nuovi equilibri più vicini al Pd e a molti settori della società italiana. Solo questa capacità separava già a inizio anno il Paese dall’innesco di una crisi.
La prova del Covid-19
Arriva il virus. La dura prova della crisi-Covid ha rafforzato Conte nei sondaggi e nel gradimento della popolazione, almeno fino ad ora. Ma non negli equilibri sociopolitici.
Gli approcci di gestione “bipartisan” della crisi, accennati tra fine marzo e inizio aprile (anche per volontà del Quirinale), sono naufragati negli scontri alle Camere a fine aprile, con Meloni e Salvini sempre più aggressivi.
La questione sull’uso di MES o Eurobond sta mettendo una forte zeppa tra Pd e ampi settori dei M5S, che a loro volta sbandano sempre nella difficile scelta tra coerenza a passate battaglie populiste e le responsabilità di governo imposte dal momento difficilissimo del Paese.
Inutile dire che un eccesso di autoreferenzialità della Presidenza del Consiglio nell’emissione dei decreti, nel ricorso alle conferenze stampa, non è piaciuta a tanti settori politici.
Ora, all’avvio della Fase 2, molti non vedono il governo in grado di gestire la “ricostruzione”. Aumentano le tensioni sociali con categorie anche storicamente molto vicine a Conte. Persino il conflitto con la CEI sembra l’interruzione di un filo che il “premier” aveva saputo tenere positivamente negli ultimi due anni. Conte pare dunque più forte nell’opinione pubblica nazionale e meno nei vari palazzi romani. E con pezzi di “arco” in sgretolamento sotto di lui.
Il voto impossibile
Tutto porterebbe a trarre le conclusioni su una breve durata del governo, ma vari fattori invitano alla prudenza. Il primo – non dimentichiamolo – è l’evidente impossibilità di ricorso alle urne in caso di crisi. In primis, perché sarebbe una scelta devastante per la credibilità del sistema politico, in un momento come questo. In secondo luogo, organizzare le elezioni è fisicamente difficile (sono state rimandate anche le amministrative).
Ma, soprattutto, non dimentichiamo che si è rinviato il referendum costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari previsto a marzo: il Parlamento ha votato, ma il percorso non è compiuto formalmente.
Chi pensa di poter davvero votare, in una situazione politicamente e giuridicamente così ambigua? La crisi, dunque, se ci fosse, dovrebbe essere “a colpo sicuro”: non può sfociare in uno scioglimento della Camere.
Una crisi pilotata?
Proprio questa necessità di una “crisi pilotata” richiederebbe una salda regia politica, che oggi appare più che mai assente (basti vedere le difficoltà delle forze politiche a concordare il cosiddetto “decreto di aprile”). Né Renzi, né Pd, né men che meno i M5S appaiono in grado di gestire una crisi così complessa. Iniziarla, sì. Ma gestirla e condurla in porto è tutt’altra cosa.
Ed è assurdo pensare che il Quirinale possa esservi coinvolto. Mattarella svolgerà – se dovesse esservi costretto – la sua funzione costituzionale, con estrema correttezza, come sempre. Ma appare impossibile pensarlo parte di alcun disegno politico, malgrado tante pressioni.
In tutto questo, il bene del Paese?
Chiunque stia leggendo questo articolo si sarà già posta la domanda: ma come si fa a parlare di simili cose, mentre il Paese conta i morti a migliaia? Mentre si annuncia il crollo del Pil al 9%?
Come dargli torto! La crisi rischia di essere la definitiva dimostrazione che la politica italiana è lontana mille miglia dal Paese reale. Con esiti sociali e politici imprevedibili. Ma, al tempo stesso, è obiettivo che l’azione di Conte sta lasciando molti insoddisfatti. Le misure di ripartenza sono al palo. E altri sono insoddisfatti degli equilibri politici. Ivi compreso Silvio Berlusconi (che da tempo soffre Lega e Meloni): mai come ora il suo supporto a un diverso governo sarebbe giustificabile per il “superiore bene del Paese”.
Se queste sono le coordinate, si capisce bene la situazione: la “chiave di volta” Conte è davvero sottoposta a spinte contrapposte e scomposte delle arcate che la reggono e che fin qui ha tenuto (sempre più faticosamente) in equilibrio. Ma sostituire la “chiave di volta” nel mezzo di un simile terremoto – anche se a molti pare utile o necessario – è davvero un’operazione complicata.
Difficile, per non dire impossibile, fare previsioni. Di certo, nessun automatismo e nessun “conto alla rovescia” per Conte. Il rischio concreto è quello di rovesciare il Paese, non solo Conte.
L’alternativa tra paralisi economica e rischio politico insito nella crisi genera ancora più divisione ed impasse. Che – potremmo concludere – sono da sempre proprio l’habitat ideale di… Giuseppe Conte.