Le elezioni europee del 26 maggio prossimo non saranno come le altre. Mai prima d’oggi il rischio che i gruppi populisti possano mettere a rischio la storica maggioranza europeista composta da popolari e socialisti è stato così concreto.
Le ultime simulazioni – basate su sondaggi condotti in tutti paesi membri – prevedono che i partiti europeisti saranno in maggioranza nella prossima legislatura. Tuttavia, il nocciolo duro popolar-socialista non basterà più per arrivare alla fatidica metà più uno degli eletti. Perciò, le forze della già eterogenea maggioranza esistente saranno costrette ad imbarcare i liberali, oltre forse alla pattuglia di Macron e ai verdi. Una sorta di rivisitazione in chiave continentale dei governi italiani degli anni 2000, quelli da Mastella a Turigliatto, si spera solo meno litigiosa.
C’è da dire che il Parlamento europeo ha, nel sistema di funzionamento dell’UE, un peso specifico minore rispetto a quello dei parlamenti nazionali. La differenza principale sta nel fatto che esso non ha potere di iniziativa legislativa. Può, alla pari degli stati membri, modificare le proposte della Commissione, ma non può proporne di sue.
Il fatto che le elezioni europee vengano, sin dalla loro introduzione del 1979, considerate nell’ottica della politica nazionale – in Italia, ma non solo – non aiuta certo i cittadini ad apprezzarne il valore e l’importanza. Ciò ha spesso portato i partiti a proporre come candidati al Parlamento europeo personaggi ingombranti di cui si vogliono sbarazzare, vecchi tromboni da prepensionare, o starlette in crescita, bisognose di un trampolino di lancio per giungere, una volta pronti, al vero centro del potere: quello delle capitali nazionali. La qualità della rappresentanza è stata dunque, pur con molte lodevoli eccezioni, piuttosto scarsa.
Non è un caso dunque che anche l’affluenza alle elezioni europee rimanga estremamente bassa. Negli anni, si è passati dal 62% del 1979 al 42,6% del 2014. Nei paesi di nuova adesione, in particolare, gli elettori sembrano ampiamente disinteressati alla questione: in Slovacchia, nell’ultima tornata, solo il 13% degli aventi diritto si è preso la briga di recarsi alle urne.
Il futuro passa da Strasburgo
Eppure, al netto dei suoi limiti strutturali e qualitativi, le competenze del Parlamento europeo restano molto importanti: ogni proposta legislativa deve esservi approvata, così come i maggiori trattati internazionali firmati dall’UE (incluso, ad esempio, quello sulla Brexit). Le questioni principali per il futuro dell’Europa – dalla politica monetaria alle migrazioni, dal commercio alle politiche ambientali – passeranno necessariamente dall’assemblea di Strasburgo. È a quel Parlamento che la nuova Commissione chiederà la fiducia ed è ad esso, in quanto unica istituzione europea eletta direttamente, cui è affidato il compito di grande valore politico e simbolico di rappresentare le istanze dei cittadini europei.
Le forze populiste – dai nostrani Cinque Stelle e Lega ai vari Orbán, Le Pen e Kaczyński – sanno benissimo che questa è la loro possibilità di entrare finalmente al cuore del potere europeo. Questa volta potranno nominare commissari di peso – come quello italiano, per cui si fanno i nomi che vanno da quello del governatore del Veneto Zaia, a quello del bellicoso Di Battista. Hanno, per la prima volta, a portata di mano la conquista di una pattuglia parlamentare, se non maggioritaria, almeno in grado di rappresentare una minoranza di blocco. Sembrano intenzionati, dopo decenni passati a massacrare l’Europa “da fuori”, a cercare di indebolirla da dentro, prendendo gradualmente il controllo delle sue istituzioni.
Non come le altre
Le istituzioni europee sono da sempre abili nello smussare gli angoli e nel trovare compromessi impossibili per tirare la carretta a discapito delle difficili condizioni politiche. Vi è anche un margine di resistenza da parte dell’euro-burocrazia verso scelte politiche scellerate. Ma è un margine fragile e limitato, che un ingresso in pompa magna dei populisti in Parlamento e in Commissione, con la loro retorica xenofoba, anti-scientifica, anti-competenze, acriticamente pro-russa o pro-cinese, rischia di spazzare via senza tanti complimenti.
Anche per questo le elezioni europee del 26 maggio prossimo non saranno come le altre.