Le Sardine suscitano un’istintiva simpatia. Per molte ragioni. Dopo la sbornia e le disillusioni prodotte dall’enfasi sulla democrazia digitale, si riaffaccia la partecipazione fisica delle persone, il “corpo in piazza”. Una partecipazione che non si nutre né mette in circolo sentimenti antipolitici, di disprezzo per chi fa politica e per le istituzioni. Un movimento che coinvolge persone di ogni età, ma che ha preso il via e il volto di giovani, di norma distanti dall’impegno civico e politico. Non è poco.
Sin qui il registro prevalente è stato quello di innovare metodo e linguaggio della politica. Moderato, si è scritto (Gad Lerner). Sì, ma nel senso che Martinazzoli fissava in un suo ricorrente aforisma: «tra moderazione e moderatismo passa la stessa differenza che c’è tra castità e impotenza». Si dovrebbe dire – con parola cara a Luigi Sturzo – mitezza della politica. Una virtù che non esclude affatto, nel caso delle Sardine, una certa radicalità dei contenuti sul piano ideale e programmatico. Laddove, invece, gli attori politici si mostrano più timidi e reticenti, in quanto ossessionati dal calcolo delle convenienze, dalla ricerca del consenso facile e a breve, dalla cura di non disturbare i loro elettori attuali o potenziali.
Gli osservatori – analisti e politici – ma anche gli stessi protagonisti si interrogano sugli sviluppi e sulle prospettive delle Sardine, ancora allo stato nascente. Non un partito, si dice. Precipitare le cose in tal senso ne pregiudicherebbe l’appeal, la coesione, la sorte. Giusto. E tuttavia, a mio avviso, esse, per converso, neppure possono contentarsi di declinare la propria identità solo in negativo, contro la destra illiberale e nazionalista a guida Salvini. Devono applicarsi alla ricerca di una ragione sociale da definire in positivo.
Una “Costituzione vivente”?
Mi esprimerei così: una mission politica, ancorché non partitica. Una terza via che naturaliter conduce a un riferimento privilegiato alla Costituzione. La quale, certo, non è un progetto politico di parte. Anzi essa incorpora i principi e le regole condivisi nel quadro dei quali poi si svolge la competizione politica tra le parti (è la Legge fondamentale, la Regola della casa comune), ma neppure è neutrale o indifferente rispetto ai grandi orientamenti di una comunità politica.
Più precisamente – è la mia modesta opinione, il mio discreto suggerimento – le Sardine, nella loro ricerca di una missione in positivo, potrebbero assumere come oggetto e obiettivo la Costituzione vivente.
Mi spiego: il progetto costituzionale sta lì, scolpito soprattutto nella prima parte della Carta, ma è di tutta evidenza il problema di un doppio scostamento da essa, dall’orizzonte ideale e politico che essa disegna. Sia lo scostamento della concreta prassi degli attori politici, delle leggi e degli atti amministrativi. Sia lo scostamento della coscienza e dell’ethos collettivo dei cittadini.
Nel recente saggio di Massimo Cacciari e Natalino Irti dal titolo “elogio del diritto”, tutto centrato sul classico rapporto tra diritto positivo e senso della giustizia dai classici a oggi, si sostiene giustamente che le Costituzioni democratiche contemporanee fissano esattamente, per quanto possibile, la concezione della giustizia condivisa, lo spirito che deve informare le leggi positive. Una preziosa conquista della civiltà politica e giuridica. Una bussola alla quale ancorarsi specie in quelle congiunture civili e politiche nelle quali – succede, certo che succede, e sono incline a pensare che questo sia l’attuale caso nostro, non solo in Italia – un popolo, una comunità politica, può smarrire la strada.
Vi fu chi, con formula icastica, sostenne che le Costituzioni sono la Regola che un popolo saggiamente si dà quando è sobrio, per quando, nel caso, dovesse inebriarsi rischiando di perdersi.
Tre obiettivi
Torniamo alle Sardine. Ecco il mio piccolo suggerimento per questa fase, poi si vedrà: costituirsi come gruppo di pressione e di proposta con tre obiettivi pratici.
Il primo: vigilare sulla conformità alla Costituzione della prassi politica e delle leggi, magari avvalendosi del contributo di competenze attinte tra i costituzionalisti.
Secondo: mettere a punto un piano culturale ed educativo teso a custodire e a promuovere una “coscienza costituzionale” diffusa e popolare (espressione cara a Giuseppe Dossetti), appunto per ricucire la frattura che si è prodotta.
Infine, isolare qualche specifico tema di rilievo costituzionale sul quale incalzare la politica. Due esempi: la cittadinanza dei nuovi italiani e la giustizia tra le generazioni (che ricomprende un ripensamento del welfare e l’ambiente). Un grappolo di questioni sulle quali è manifesta la pigrizia intellettuale e pratica della nostra politica decisamente tarata sui bisogni degli elettori adulti e anziani. Un movimento libero e coraggioso, animato da giovani, può fare la differenza.