Solo ora, a un mese dalla sua celebrazione, si accende la discussione sul referendum costituzionale con il quale i cittadini-elettori sono chiamati a confermare o respingere il taglio dei parlamentari approvato a larga maggioranza dalle Camere. Eppure si tratta di materia delicata e di grande rilievo.
Una riforma con effetti sistemici sugli equilibri costituzionali non incastonata in una riforma di sistema. Non sorprende che essa divida costituzionalisti e politici, secondo una linea di frattura che non coincide con quella che si produsse nel 2016 sulla riforma Renzi-Boschi. Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta e maestro del costituzionalismo classico, per descrivere il proprio orientamento, ha evocato la metafora dell’asino di Buridano, paralizzato dall’incertezza circa la mangiatoia cui nutrirsi. Lasciando intendere la sua intenzione di astenersi.
Ragioni per votare no
Chiaramente una extrema ratio, che tuttavia conferma la problematicità della questione. Vi sono buone ragioni per il no e buone ragioni per il sì. Le accenno soltanto.
Per il no: 1) appunto la circostanza che ci si chieda di avallare una riforma puntuale senza avere provveduto agli adeguamenti e ai correttivi da tutti giudicati necessari onde evitare un deficit di rappresentatività, un aggravio del malfunzionamento delle Camere, un’accentuazione del carattere già ora verticistico nella selezione dei parlamentari (una legge elettorale d’impianto proporzionale, l’equiparazione di elettorato attivo e passivo di Camera e Senato, la riforma dei regolamenti parlamentari, una limatura della sovra-rappresentatività dei consigli regionali che si produrrebbe nella elezione del Presidente della Repubblica).
In particolare le forze di maggioranza si erano impegnate a incardinare una nuova legge elettorale (anche al fine di evitare che, con la legge vigente, si possa generare una “dittatura della maggioranza”: fu condizione posta dal PD per dare il proprio voto favorevole alla riforma nell’ultimo decisivo passaggio parlamentare coinciso con il varo del governo Conte due, dopo il voto contrario nei tre precedenti passaggi). Ma non se n’è fatto nulla per l’opposizione di Italia Viva e non vi sono certezze al riguardo.
2) Il tratto antiparlamentarista e persino antipolitico con il quale è stato concepito e propagandato il cospicuo taglio di deputati e senatori soprattutto da parte del M5S. Sull’onda della polemica contro la casta e con l’argomento, francamente debole, della riduzione dei costi della politica. Fuor di ipocrisia, è noto che una parte larga della “maggioranza bulgara” che ha approvato la riforma nella sua ultima lettura (solo 14 dissensi alla Camera) lo ha fatto essenzialmente per non sfidare l’impopolarità, senza convinzione, con un cumulo di retropensieri.
3) Vi è infine chi appunta le sue obiezioni sul funzionamento e la operatività delle Camere e segnatamente del Senato con soli duecento membri, i quali, stante la persistenza del “bicameralismo perfetto” (esso sì un serio problema!), faticherebbero a ottemperare a tutti i loro compiti (tra aula, commissioni permanenti, commissioni speciali o di inchiesta, giunte, organismi parlamentari internazionali).
Ragioni per votare sì
Ma veniamo alle ragioni del sì: 1) tutti i progetti di riforma messi a punto da quarant’anni a oggi contemplavano una riduzione del numero dei parlamentari, sia per uniformarci agli standard di altri paesi, sia nella convinzione – opposta a quella su evocata – che semmai uno snellimento conferirebbe più qualità ed efficienza al parlamento.
2) Proprio il sistematico affossamento di quella riduzione a lungo perseguita suggerirebbe di non mancare questa occasione (se non ora quando più?). All’obiezione di chi eccepisce la mancanza dei correttivi sistemici si risponde che proprio il taglio suddetto costringerà a provvedervi ex post, anche se, certo, meglio sarebbe stato farlo prima o contestualmente, considerato che l’attuale parlamento non brilla nel suo concreto funzionamento.
3) Ancora vi è chi fa osservare che, pur con l’ambiguità e le riserve cui si è accennato, resta agli atti un voto plebiscitario del parlamento. Sconfessarlo sarebbe logicamente in contrasto con le motivazioni di natura parlamentarista di chi si oppone e, di riflesso, semmai, darebbe ulteriore fiato all’antipolitica e al qualunquismo.
4) Infine, taluni scommettono sulla circostanza che il minor numero possa giovare alla qualità della rappresentanza parlamentare, pur nella consapevolezza che ciò è affidato soprattutto a legge elettorale e responsabilità dei partiti nella selezione delle candidature.
Questioni politiche
Come si vede, vi sono buone ragioni su entrambi i fronti. Si deve tuttavia aggiungere che – piaccia o non piaccia, e non dovrebbe piacere – con le ragioni di merito centrate sulla materia costituzionale si intrecciano motivazioni politiche.
Non dovrebbe essere così e tuttavia è così. Esemplifico. Intanto un po’ in tutti i partiti, come si è detto e visto all’atto dell’approvazione in parlamento, domina la preoccupazione di non sfidare l’impopolarità. Nel M5S quella di portare a casa una sua riforma bandiera, a compensazione di elezioni regionali che prefigurano una generale sconfitta. Nel PD o quantomeno in chi oggi lo guida di non incrinare i rapporti dentro la maggioranza.
Per converso e non a caso, chi, dentro il PD, dissente dal consolidamento dell’asse politico con il M5S, si schiera per il no, pur dopo aver votato il taglio in parlamento. Più in piccolo, qualcosa di simile si riscontra tra i parlamentari di FI, ove il no, guarda caso, si rinviene tra coloro che mal sopportano la subalternità a Salvini e Meloni. Un altro indizio sul versante della stampa?
La Repubblica, nuova proprietà e direzione, un po’ a sorpresa, si è schierata organicamente per il no. Difficile pensare che sia “purismo costituzionale”. Più facile supporre che pesino anche due motivazioni altre: dare una botta al governo sempre più malvisto da quelle parti ove si occhieggia a soluzioni tecnocratiche (Draghi?) e dissimulare la chiara correzione di linea della testata – su economia e politica – sposando una posizione per lo più ascrivibile ai gauchiste su materia tutto sommato poco interessante per l’editore.
Dunque, la questione è complessa e non priva di implicazioni politiche più o meno dichiarate. Io, come l’asino, sperando di non morire nell’esitazione, ancora non so come mi regolerò. Seguirò il confronto e infine deciderò. L’esito altamente probabile è un sì a larga maggioranza, temo, sulla base di motivazioni non esattamente pregnanti.
E tuttavia questo almeno di sicuro non ci deve condizionare né in un senso né in un altro. Trattasi della Costituzione e comunque conta anche il risultato, la misura della partecipazione e il differenziale tra sì e no o viceversa.
Quello che non viene spiegato non solo dai politici, ma neppure dai media (che ne avrebbero il compito!) è che il referendum non è la scelta di qualcuno per “scomodare” gli italiani, ma è qualcosa che è obbligato dalla Costituzione: nel momento in cui si vorrebbe cambiare qualcosa occorre il voto del Parlamento e la conferma di un referendum popolare.
L’articolo 138 stabilisce con chiarezza le norme per la revisione della Costituzione, ma chi ne ha sentito parlare?
Poichè sono fra coloro che, a prescindere dalle (inevitabili suppongo) conseguenze politiche derivanti da una sconfitta del taglio parlamentare, voterà convintamente NO, mi permetto di segnalare a Monaco un altro aspetto non del tutto secondario. Col taglio dei parlamentari (un terzo del Parlamento, non una semplice leggera sforbiciata!!) ci saranno territori (colline, comuni montani, aree meno popolate, piccoli borghi ma carichi di storia e caratteristica dell’Italia dei Comuni) che inevitabilmente non saranno più rappresentate; perchè la parte del leone sarà dei grandi centri e delle città metropolitane. Questo sarà un indebolimento della rappresentanza. Di contro non è garantita neanche una maggiore qualità e competenza degli eletti. Anzi, in mancanza di leggi elettorali che evitino i , potrebbe essere peggio. Inoltre ritengo che la qualità dei parlamentari più che dal loro numero dipenda dal percorso svolto a livello di Enti Locali (anche questi sempre più ridotti rispetto a rappresentanza) e di attività formativa e politica che solo (indipendentemente da come li si chiami) i partiti: partiti non solo comitati elettorali, ma funzionanti, con iscritti, discussioni, confronti su questioni concrete.
Sento dire che questa riforma serve innanzitutto per diminuire le spese della politica. Ma c’era veramente bisogno di scomodare gli italiani con un referendum? Non sarebbe stato sufficiente dimezzare gli stipendi dei parlamentari? Sarebbe stato sufficiente modificare un regolamento e fare poi le riforme in modo organico.
La difficile lettura per molti di questo tema numero parlamentari (sarebbe meglio di per sé, in un contesto positivo, ce ne fossero molti per favorire il pluralismo) potrebbe venire usata dal sistema per vincere un referendum, guarda caso indetto presto, e far credere che la gente sia dalla sua parte. Questo è un tema sul quale il sistema non ha molto da perdere, data la condizione bulgara dei parlamentari. Dal commento precedente si vede che vi è una questione al fondo.
Intento buono ma:
oggi ci stiamo liberando dai precetti meccanici per accompagnare le persone in essi verso di essi, ognuna sul suo personalissimo, ben al di là degli schemi, cammino. Certo se una persona è tutta dedita alla preghiera e non cerca di imparare ad amare di vero cuore i fratelli il suo cammino ha appunto da maturare.
Bisogna porre attenzione a parlare di solidarietà senza poi, nei modi e nei tempi adeguati, permettere alle persone di crescere fin dalla scuola nella identità liberamente cercata e nell’allora autentico scambio con le altre. La solidarietà omologata è un trucco della finanza e dei potenti di internet per svuotare in nome del bene le persone rendendole meri individui consumatori persi in una massa anonima.
Ora il sistema vuole in vario modo forzare le persone in nome di questo falso bene.
Identitarismo chiuso in sé e solidarietà quando si contrastano paradossalmente si spalleggiano nello svuotare le persone.