Ci ha lasciato Paola Gaiotti, donna dotata di singolare intelligenza e temperamento. Esemplare esponente del cattolicesimo democratico.
Del quale, su queste pagine, abbiamo fissato i tratti salienti recensendo di recente un denso saggio di Marco Damilano che, del cattolicesimo democratico, tracciava un bilancio forse un tantino apologetico (cf. qui).
Eccoli quei tratti: la cura per la distinzione tra Chiesa e politica, la cultura della mediazione tra principi etici e prassi politica, il senso/valore delle istituzioni intese come casa comune, l’attitudine al dialogo politico e culturale.
L’eredità di Moro
Paola Gaiotti fu tra i fondatori e gli animatori della Lega democratica: vivace e plurale laboratorio politico-culturale che, tra fine anni settanta e anni ottanta, raccolse il meglio dell’intellettualità cattolica in senso lato erede della lezione di Aldo Moro, nel segno di un intenso confronto-dialogo non subalterno con il Pci (cf. qui).
Una prospettiva non coincidente con il “compromesso storico” berlingueriano, ma della “cultura dell’intesa” morotea. Cioè di un confronto/collaborazione che introducesse la cosiddetta “terza fase”, quella di una fisiologica alternanza tra opposti schieramenti suscettibile di condurre finalmente a una democrazia compiuta.
Non a caso alcuni esponenti della Lega democratica – e, segnatamente, il suo esponente più noto, Pietro Scoppola – concorsero a ideare i quesiti referendari con i quali Mario Segni propiziò l’evoluzione in senso bipolare e competitivo della democrazia italiana. Antefatto dell’Ulivo di Romano Prodi, lui pure partecipe sia dell’esperienza della Lega democratica sia del referendum elettorale.
Tra Scoppola e Ardigò
La Lega elaborò molteplici idee e proposte su economia, società, politica e istituzioni. Fu altresì un vivaio di classe dirigente sindacale (cislina) e politica. In particolare in raccordo con la sinistra Dc prima di Zaccagnini, poi di De Mita.
Il quale, nel primo e più innovativo tempo della sua segreteria, si circondò, nel partito e nel gruppo parlamentare, di uomini di cultura indipendenti in parte attinti proprio da quel cenacolo (Paolo Prodi, Scoppola, Ruffilli, Lipari).
La Lega ebbe più anime. Semplificando riconducibili a due, rispettivamente in capo a Scoppola e ad Ardigò. Più politica la prima e più movimentista la seconda (apprezzata soprattutto dalla componente giovanile di Paolo Giuntella), decisamente più scettica circa la riformabilità della Dc e piuttosto orientata a un lavoro di lunga lena dentro la società e i suoi “mondi vitali”.
Palestra e voce di quell’originale laboratorio fu la rivista “Appunti di cultura e politica”, di cui Gaiotti assunse la direzione in precedenza affidata a Scoppola. Fu lei, più avanti negli anni, a passare la rivista all’associazione “Città dell’uomo”, fondata da Giuseppe Lazzati, che tuttora la gestisce avvalendosi della editrice la Morcelliana, nel segno di una sostanziale unità di ispirazione.
Fuori dal coro
Europarlamentare Dc, Gaiotti fece un solo mandato a Strasburgo; fu poi eletta alla Camera nelle liste dei Progressisti per il solo biennio 1992-94: donna di frontiera e, ripeto, di robuste convinzioni e di forte carattere, era troppo cattolica per i comunisti e troppo di sinistra per i cattolici.
Credo non sia forzata la definizione di lei quale “femminista cattolica”: impegnata a integrare e correggere certe derive radicaleggianti nel movimento delle donne a larga maggioranza laico e di sinistra e tuttavia, insieme, ad adoperarsi per dilatare gli orizzonti culturali di una chiesa diffidente e timida verso la modernizzazione e, in particolare, verso i processi di soggettivizzazione e di emancipazione femminile.
I suoi ultimi anni sono stati segnati da acciacchi e malattie che ne hanno limitato la partecipazione al dibattito pubblico, ma non ne hanno compromesso la passione di indomita intellettuale militante.