Giordano Cavallari intervista Lubomir Žak in occasione dell’anniversario della morte di Pavel Florenskij (8 dicembre 1937). P. Žak è professore ordinario di Storia della teologia presso la Pontificia Università Lateranense, studioso del pensiero ortodosso russo, curatore della edizione italiana di testi fondamentali del grande teologo, filosofo e scienziato. Con la collaboratrice Anežka Žaková, ha recentemente pubblicato Pavel Aleksandrovič Florenskij. Simboli dell’Eternità. Meditazioni e preghiere (edizioni Lipa).
- Professor Žak, in quali circostanze è avvenuta la morte di Pavel Florenskij?
Pavel Florenskij è stato arrestato due volte. Una prima volta nel 1928 quando il regime ha iniziato a colpire gli intellettuali russi anche nei settori scientifici e produttivi. A quell’epoca Florenskij stava rivestendo importanti ruoli negli istituti di ricerca. È stato rilasciato e quindi arrestato una seconda volta nel febbraio del 1933: portato nella prigione dei servizi segreti nel palazzo della Lubjanka di Mosca, è stato torturato e immediatamente condannato a 10 anni di lavori forzati.
Abbiamo a disposizione i verbali degli interrogatori a cui è stato sottoposto. È però difficile o impossibile dire come siano andate effettivamente le cose sotto tortura. Certamente sappiamo che si è autoaccusato di aver fatto parte di un gruppo religioso ortodosso sovversivo, nell’intento di consentire il rilascio di altre persone. La condanna ha costituito l’inizio della fine. Dopo aver attraversato diversi gulag, è giunto nelle isole Solovki ove è stato costretto a lavorare su di un progetto di ricerca sull’uso industriale delle alghe marine.
Eliminare le resistenze al comunismo
Il regime ha voluto sfruttare sino in fondo le sue straordinarie capacità. Basti pensare che nelle Solovki ha prodotto ben dieci brevetti scientifici. Sinché nel 1936-37 il regime ha concepito l’eliminazione di quelle che riteneva le ultime resistenze legate al precedente sistema imperiale. Florenskij è stato quindi trasferito nella regione di Leningrado ove è stato fucilato l’8 dicembre del 1937.
Sono stati giustiziati circa 500 prigionieri in quei giorni. Le fucilazioni avvenivano a piccoli gruppi di tre persone. La famiglia è riuscita, dopo anni, a conoscere i nomi di chi è stato fucilato assieme al congiunto, alla sua destra e alla sua sinistra, a rappresentazione di quella icona della Santissima Trinità che Florenskij ha posto al centro di tutto il suo pensiero.
- Qual è stata la ragione autentica della eliminazione?
Florenskij – pur non avendo mai esplicitamente scritto di temi sociopolitici e pur non avendo mai partecipato ad attività di opposizione al regime – costituiva di per sé una figura contraria all’orientamento ideologico sovietico, il quale considerava la religione vecchiume arretrante lo sviluppo del popolo. Padre Pavel si presentava vestito da prete ai convegni scientifici di matematica, fisica, ingegneria. Manifestava grande intelligenza e competenza. Sapeva esporre con grande chiarezza e capacità di fascinazione. Io penso sia bastato questo.
- Florenskij aveva mai espresso posizioni politiche?
Non abbiamo testi specifici. Le sue idee in proposito sono disseminate nelle visioni esposte nelle varie opere. Certamente doveva essere molto attento nei pronunciamenti. Aveva rapidamente colto la natura violenta del regime. Gli erano ben note le esecuzioni di tanti preti durante e dopo la Rivoluzione d’ottobre, così come gli era noto il processo intentato al patriarca Tichon.
Temeva naturalmente per la famiglia e per i figli. Molti altri intellettuali – tra cui Nicolaj Berdajev e Sergej Bulgakov – erano stati allontanati. A lui non era toccata la stessa sorte semplicemente perché allo stato interessavano le sue competenze scientifiche. Ne era consapevole. Se leggiamo il suo testamento – ora nell’opera tradotta in italiano “Non dimenticatemi” – troviamo tra le righe tutte le difficoltà e le amarezze patite nel periodo post-rivoluzionario. In quel testo, scrive con gratitudine degli amici e dei conoscenti senza l’aiuto dei quali la sua famiglia non avrebbe potuto sopravvivere. Nelle lezioni tenute in quel periodo – trascritte dagli studenti e raccolte nel volume La concezione cristiana del mondo – si leggono sue prudenti osservazioni, sia sulla Chiesa, sia sul sistema sovietico, in quel turbine di eventi.
Ciò che mi sembra però importante porre in rilievo è la vitalità che gli ha consentito di restare in Russia e di continuare a lavorare per un progetto molto alto e di lungo periodo politico, sicuramente lontano dalle idee del governo. Florenskij ha coltivato una visione globale del mondo di carattere empirico-metafisico, in una prospettiva interdisciplinare in cui lo studio della rivelazione biblica stava strettamente unito alla ricerca scientifica. La sua vita va pertanto interpretata in solido a questa grande visione. Io trovo in tutto questo la sua estrema coerenza.
Rinchiuso nel gulag, Florenskij ha vissuto in armonia con quella sua linea di pensiero, così espressa dall’Apostolo: “in Lui [Dio] viviamo, ci muoviamo, respiriamo” (Atti 17,28). Ovunque e comunque. Anche nel gulag dunque, per Florenskij, si poteva e si doveva vivere. Nella prigionia di fatto è divenuto punto di riferimento per molti detenuti, inclusi i giovani. Ha organizzato lezioni di latino e di matematica. Ha dato motivazioni di vita in un luogo di terrore.
Umanità e amicizia
Almeno per alcuni ha reso il gulag un luogo umano, in cui era ancora possibile, appunto, vivere, muoversi, respirare. Dalla Santissima Trinità promana la vita che poggia sulle relazioni di stima e di aiuto reciproco: lui ne era convinto. Ha pensato di poter e dover dare il suo contributo alla trasmissione di questo divino turgor vitalis sino alla fine.
- Quanto è stato importante il vissuto e quindi il tema dell’amicizia in Florenskij?
Il senso dell’amicizia è legato alla percezione della parentela naturale che Florenskij ha provato sin dall’infanzia. È qualcosa che lui ha sentito prima di scriverne. Ha avvertito che ci sono relazioni umane in cui si può essere espressi da un’altra persona. Probabilmente l’affetto ricevuto dalla famiglia ha avuto la sua parte: ha fatto l’esperienza di una famiglia unita, in cui circolava molta gentilezza e stima reciproca, benché fosse una famiglia neutra dal punto di vista religioso.
Ha potuto così maturare una disposizione spontanea per l’amicizia. Sin da piccolo ha avuto cari amici. Mi ha molto colpito leggere sue confessioni riguardo ad un giovane amico (Aleksandr Elčaninov). Florenskij racconta come si è ritrovato in crisi quando tale amicizia si è spezzata, quando la comunicazione si è interrotta e, con ciò – come lui ben spiega – è andata improvvisamente perduta la stessa possibilità di parlare, di elaborare concetti, di capire ciò che stava accadendo. La perdita dell’amico è stata vissuta nel modo di ritrovarsi senza più termini e parole per sé stesso.
Nel libro Simboli dell’Eternità ho voluto inserire alcune poesie giovanili proprio sull’amicizia. Troviamo in particolare una parafrasi della parabola dei discepoli di Emmaus, interpretata come narrazione di un cammino di due amici alla presenza di un terzo, il Cristo. Alla Sua presenza gli amici si aprono, si accolgono, si perdonano. Nell’opera – fondamentale – La Colonna e il fondamento della Verità Florenskij dedica due capitoli all’amicizia, perché anche quando parla della gelosia tratta dell’amore di amicizia.
In seguito, dopo il matrimonio, il tema verrà trattato dall’autore in relazione all’amore sponsale e dei figli, ma resterà sempre l’espressione di qualcosa di innato e potenzialmente rivolto a tutti. Tanto che l’esperienza ecclesiale della fraternità e dell’amicizia – con sfumature diverse di senso tra i due termini – verrà espressa quale vissuto di grazia che non distrugge, anzi rafforza, ciò che è semplicemente creaturale. Florenskij rintraccia nell’amicizia un principio “ontologico” posto da Dio nell’umano.
- Come spiegare, professore, la cultura sterminata posseduta da quest’uomo, definito il Leonardo di Russia?
Mi sono più volte interrogato al riguardo, specie stilando tutti gli impegni che ha collezionato quando insegnava storia della filosofia in Accademia oppure quando lavorava come fisico e chimico sui materiali plastici, sui raggi x, sulla fisica nucleare, senza mai abbandonare la matematica e la psicologia. Se prendiamo il curricolo di formazione troviamo che ha studiato matematica e fisica per soli 4 anni in università: troppo poco! La risposta è da cercare anche per altre vie.
Florenskij – è chiaro – aveva capacità straordinarie. Ma molto ha imparato già durante l’infanzia, specie dal padre ingegnere. In casa c’era un laboratorio in cui si facevano esperimenti. Il piccolo Pavel faceva osservazioni, annotava tutto. Ricordo che all’età di 17 anni – non aveva ancora fatto la maturità – gli Atti della Società Astronomica Russa, periodico scientifico molto importante, hanno pubblicato due suoi lavori di astronomia. Molto ha studiato da autodidatta. Disponendo di solide basi ha potuto sviluppare intuizioni anche in ambiti che mai prima aveva esplorato.
Pensiamo che, nel gulag, per conto dello stato, si è cimentato nello studio delle caratteristiche del permafrost e della estrazione dello iodio dalle alghe marine. Dalla analisi de “La Colonna e il fondamento della Verità” si nota la sua capacità di raccogliere bibliografie sterminate, di leggere, per poi scrivere e creare.
Sulle frontiere delle discipline
Ma forse neppure tutto questo basta a dare una risposta compiuta alla domanda. Io penso di dover trovare la risposta più piena nella convinzione che muove in profondità il suo pensiero interdisciplinare: nonostante le reali differenze tra le discipline di studio, tutto il sapere è rintracciabile nella unità di ciò che esiste.
C’è un termine chiave per spiegare questo: struttura. Tale termine ricorre molto frequentemente nei testi di Florenskij. La realtà è caratterizzata da strutture di diverso profilo ma simili e correlate tra loro. Ciò diventa tanto più evidente quanto più si scende in profondità. Florenskij coglie delle costanti di struttura, dei “ritmi interni” (più volte parla delle “musiche noumenali” del reale), che animano dal profondo la realtà nella sua dimensione sia macrocosmica che microcosmica.
Una volta scoperte e conosciute, esse consentono facilmente di studiare e di capire le connessioni tra infiniti oggetti, fenomeni, aspetti e livelli del reale, inclusa la realtà umana. Insomma, di fronte ai fenomeni o dai temi che attiravano la sua attenzione e che richiedevano competenze scientifiche differenti, Florenskij professava l’idea della inter-/trans-disciplinarietà, perché era convinto dell’esistenza – all’interno di ogni tipo di struttura (della lingua, della persona, della materia, ecc.) – di elementi e dinamiche universali. Egli interpretava tale universalità strutturale alla luce della Rivelazione di Dio in Cristo, intuendo che nella radice di ogni tipo esistenza si rende presente il “ritmo” o la “parola” del mistero della vita trinitaria del Dio Amore.
- Come le Chiese, ortodossa e cattolica, guardano attualmente alla sua figura?
Importanti personalità della Chiesa ortodossa – come lo stesso patriarca Kirill – si sono espresse con parole di grande stima della persona, della testimonianza, del pensiero di Florenskij. Certamente nel mondo ortodosso la sua figura genera pure turbamento. Il suo approccio interdisciplinare e le sue visioni sono senz’altro inusuali per la “classica” dottrina e teologia ortodossa.
Basti pensare appunto alla sua concezione del dogma trinitario, poggiata sul terreno di un’ontologia dinamica, avente al centro la categoria di relazione agapica pensata in termini di kenosi reciproca. Parlare di canonizzazione penso perciò che sia prematuro nel mondo ortodosso. Sto assistendo tuttavia ad una crescente attività di promozione di Florenskij nel mondo dell’Ortodossia, soprattutto da parte di giovani intellettuali.
Florenskij: la ricezione cattolica
Nella Chiesa cattolica ormai Florenskij è scoperto da tempo. In Italia in particolare si può vantare un primato di traduzione e di interesse. Le nostre autorità ecclesiastiche lo hanno ripetutamente citato: nella Fides et ratio, al n. 74, Giovanni Paolo II° ne ha raccomandato lo studio insieme a pochi altri autori; Benedetto XVI° ha parlato pubblicamente della conversione di Florenskij, citando inoltre un brano del suo testamento.
Al di là dei pronunciamenti ufficiali voglio qui esprimere l’importanza e l’attualità, anche per noi cattolici, dell’opera florenskiana. È facilmente amato ed amabile per la sua visione mistica della realtà, come qui ho solo potuto accennare. Ma la sua grande attualità sta nella capacità di spiegare e di dimostrare come si può vivere la vita umana in questo mondo così pieno di problemi. Ha saputo dirlo con parole originali, di indubbio sapore teologico-spirituale, ma molto laiche e adatte a tutti.
Ha saputo vedere le cose in profondità e spiegarle, nonostante la notevole complessità, con i sentimenti di stupore e i caratteri della semplicità di chi sa diventare un bambino, secondo l’appello evangelico. Perciò è un autore cristiano che riesce oggi a toccare facilmente le corde di umanità più profonde delle donne e degli uomini del nostro tempo.
- Quali sono le caratteristiche di questo ultimo libro da Lei curato?
Con la collaboratrice Anežka Žaková, che ha scritto la profonda riflessione introduttiva, ho pensato di offrire ai lettori italiani poesie, preghiere e riflessioni giovanili di Pavel Florenskij, alcune non ancora tradotte in lingue occidentali. Trattano della presenza di Dio nel creato e soprattutto dell’amicizia, come ho detto.
Abbiamo inteso in questo modo condividere il piacere che noi stessi abbiamo provato scoprendo questi testi. La pubblicazione cade in un periodo – così singolare – in cui la nostra umanità può percepire il mondo come ostile: vederci, incontrarci, toccarci è divenuto persino pericoloso. C’è molta tristezza. Ecco, un libro di questo tipo può essere preso come un breviario di spiritualità – insieme religiosa e laica – da leggere e da meditare per poche righe alla volta.
Sono convinto che possa aiutare a guardare il mondo e gli altri in maniera diversa: a contemplare, a contemplarci, ad avere reciproca attenzione, a dire parole gentili, a sorridere. È una raccolta antologica pensata come un dono.