La nuova Chiesa ortodossa ucraina autocefala è in crescenti difficoltà e minaccia di implodere, mentre, sul versante dell’Ortodossia mondiale, i timidi segnali di ricucitura dopo la frattura Mosca-Costantinopoli vanno proseguendo.
Filarete, il “patriarca d’onore” della nuova Chiesa autocefala, ha deciso di rompere con il suo delfino, il primate eletto Epifanio. Il 20 giugno ha convocato un sinodo locale con tre vescovi (provenienti da diocesi fuori dell’Ucraina), alcune decine di preti e di delegati delle comunità parrocchiali già appartenenti al cosiddetto «Patriarcato di Kiev» (200 persone) e ha dichiarato che il concilio di unificazione celebrato il 15 dicembre 2018 è invalido, ha rifiutato il tomo per l’autocefalia di Bartolomeo (6 gennaio 2019) e ha affermato che il Patriarcato di Kiev non è mai stato né soppresso né inglobato nella nuova Chiesa autocefala.
Una risoluzione in dieci punti
Il novantenne (è nato nel 1929) Filarete Denysenko, nella volontà di imporsi come responsabile ultimo della pastorale interna all’Ucraina della nuova Chiesa autocefala, sembra così annullare l’intero processo che ha portato all’autocefalia: dalla spinta convergente delle due Chiese “scismatiche” ucraine verso Costantinopoli alla coerente volontà politica dei precedenti presidenti della Repubblica (in particolare Porochenko) sostenuta dal parlamento, dalla resistenza della Chiesa ortodossa filo-russa alle contrapposizioni violente fra Cirillo di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli, fino alla profonda incrinatura che attraversa l’intero corpo dell’Ortodossia (G. Parravicini, La crisi ucraina, apice di una crisi ecclesiale; P. Vassiliadis, Ucraina: teologia e unità dell’ortodossia; D. Keramidas, Ucraina, all’indomani del Tomos; L. Prezzi, Costantinopoli, l’Ucraina e la nuova geografia ortodossa).
Il sinodo locale ha approvato una risoluzione in dieci punti. Il primo recita così: «Il sinodo locale rifiuta la soppressione del Patriarcato di Kiev decisa il 15 dicembre 2018, perché tale decisione è stata compiuta attraverso una raccolta di firme su domanda di Costantinopoli e non attraverso un sinodo locale, come esigono gli statuti. Senza la (previa) soppressione del Patriarcato di Kiev non poteva esserci né il concilio di unificazione né la concessione del tomo (autocefalia)».
Coerentemente, il Patriarcato mantiene tutta la sua legittimità in base alle leggi dell’Ucraina, tutte le sue proprietà e contratti, tutti i suoi monasteri e parrocchie, l’accademia teologica di Kiev e le sue diocesi all’estero.
In particolare, si conferma che Filarete è il responsabile a vita del Patriarcato. Il tomo non prevede l’ampiezza di autonomia delle Chiese autocefale storiche e quindi è insufficiente e privo di legittimità.
L’ultimo numero della risoluzione si allaccia alla sensibilità nazionalista, chiamando a raccolta tutti i patrioti per sostenere il Patriarcato contro quanti tentano di distruggerlo dall’interno (il riferimento è alla nuova Chiesa autocefala; cf. orthodoxie.com).
Uno stravolgimento totale rispetto a quanto costruito in questi ultimi anni, che si comprende solo con l’esorbitante autocoscienza di Filarete che, a partire dagli anni ’90, ha costruito la Chiesa alternativa a quella filo-russa e che adesso provvede a distruggere, per imporre ancora una volta la sua persona.
La polemica col nuovo primate Epifanio (la Chiesa autocefala non ha il riconoscimento di Patriarcato) è cominciata assai presto. Filarete ha dissentito sulla composizione del sinodo episcopale, sugli statuti «greci» che accompagnano il tomo, sul mancato riconoscimento del suo ruolo dirigenziale sull’intera Ucraina (come gli aveva assicurato Porochenko), sulle nuove ordinazioni episcopali, fino a interdire la celebrazione del braccio destro di Epifanio (Trofimliouk) nella chiesa maggiore di Kiev, dedicata alla Protezione della Madre di Dio.
Non sono valse a nulla la visita del vescovo Emanuele (di Francia, presidente del concilio di unificazione) e le ripetute affermazioni di Bartolomeo, che conferma l’autocefalia solo per la nuova Chiesa e non per il presunto «patriarcato», pur riconoscendo a Filarete di essere il metropolita di Kiev. Si attende a giorni la risposta del sinodo della Chiesa ucraina autocefala.
Ricostruire l’unità
Il drammatico avvitamento della Chiesa autocefala corre in parallelo ai tentativi di superare la frattura tra Mosca e Costantinopoli.
L’iniziativa dell’arcivescovo di Cipro, Crisostomo, di avviare un primo giro fra alcune sedi patriarcali (cf. Settimananews) viene legittimata non solo dalla precedente riunione di quattro patriarchi a Cipro il 18 aprile scorso, ma è sostenuta dall’arcivescovo di Albania, Anastasio, e dal patriarca Teodoro, primate della Chiesa di Alessandria e di tutta l’Africa.
Già presente alla prima riunione a Cipro, Teodoro, molto stimato per la sua opera missionaria nel continente africano, si è pubblicamene esposto, auspicando un nuovo incontro a Nicosia. Il tutto per sostenere il tentativo di Crisostomo di arrivare ad una chiarifica e ad una soluzione diretta fra Bartolomeo di Costantinopoli e Cirillo di Mosca.
Il conflitto fra le due Chiese è ancora molto violento. Il patriarca di Antiochia (filo-russo) è arrivato a chiedere le dimissioni di Bartolomeo, mentre il segretariato della Commissione sinodale biblica e teologica russa ha negato ogni plausibilità alla lettera-risposta di Bartolomeo ad Anastasio di Tirana in cui giustificava le scelte compiute.
L’imprevista resistenza e compattezza delle comunità ucraine filo-russe alimentano le denunce agli organismi internazionali sulle vessazioni amministrative nei loro confronti. L’archimandrita Netario, segretario della diocesi di Tamassos (Cipro), dopo aver visitato le zone orientali dell’Ucraina e le diocesi interessate alle violenze, ha preso posizione a favore delle stesse.
Il complicato e contraddittorio intreccio di reazioni e controreazioni rispetto alle decisioni riguardanti le Chiese ortodosse ucraine non accenna a sedimentarsi.