Un anno fa, era l’agosto del 2017, la «Commissione reale» incaricata dal governo australiano di indagare le risposte delle istituzioni alla piaga degli abusi sessuali su minori aveva reso noto (dopo 4 anni di lavoro) 85 «raccomandazioni» su come migliorare il sistema giudiziario australiano. Pochi giorni fa, una legge che richiede in alcuni casi ai sacerdoti cattolici di rompere il sigillo della confessione è stata approvata dall’Assemblea legislativa del Territorio della Capitale Australiana, a Canberra. Tra le raccomandazioni della Commissione c’era appunto la possibilità di rendere reato la mancata denuncia da parte di un sacerdote di molestie o violenze su minori apprese nella celebrazione del sacramento della riconciliazione.
La notizia è stata data dal Catholic News Service (e rilanciata dalla rivista dei gesuiti America) lo scorso 7 giugno. L’agenzia affermava che la legislazione è passata senza emendamenti e che l’arcidiocesi di Canberra e Goulburn ha ora nove mesi di tempo per negoziare con il governo le prassi che saranno introdotte quando la nuova legislazione sarà in vigore.
Intervenendo sul Canberra Times, lo stesso 7 giugno, l’arcivescovo di Canberra e Goulburn, Christopher Prowse, ha affermato di essere favorevole alla estensione delle procedure di denuncia degli abusi alle autorità anche alle organizzazioni cattoliche, ma che non è disposto ad accogliere una richiesta di violazione del sigillo della confessione. A parte il fatto che chi commette violenze sui minori «non confessa il suo crimine né alla polizia né ai sacerdoti», una tale legislazione mette a rischio la libertà religiosa, sostiene il presule. «Il governo minaccia la libertà religiosa nominandosi un esperto di pratiche religiose e tentando di cambiare il sacramento della confessione senza apportare miglioramenti alla sicurezza dei minori. (…) Violare il sacro sigillo della confessione non aiuterà a prevenire abusi e non aiuterà gli sforzi che stiamo facendo per aumentare la sicurezza dei minori nelle istituzioni cattoliche. Chiediamo con forza al primo ministro di permettere che la Chiesa cattolica venga coinvolta nel dibattito al fine di assicurare che sia parte della soluzione».
Lo scorso mese di aprile, il primo ministro di uno dei Territori australiani, il Nuovo Galles del Sud, Gladys Berejiklian, ha richiesto che la questione del sigillo sacramentale sia presa in carico non isolatamente dai governi dei singoli stati, ma dal Consiglio dei governi australiani (l’Australia è una federazione di sei stati). «La nostra risposta alla raccomandazione della Commissione reale è quella di sottoporre la questione al Consiglio dei governi australiani. Crediamo infatti che sia quella la sede opportuna per affrontarla», ha affermato Berejiklian in una intervista alla ABC. «Si tratta infatti di questioni complesse che richiedono di essere trattate tenendo conto delle convinzioni della gente sul tema della libertà religiosa».