Appartengo alle persone di cui nelle ultime settimane si è molto parlato, discusso e litigato. Sono un cristiano evangelico che con sua moglie cattolica riceve regolarmente la santa comunione, così come anche lei prende parte alla cena eucaristica della mia comunità evangelica locale.
Mi sembrerebbe del tutto assurdo non voler partecipare al banchetto eucaristico di una comunità che io riconosco come parte della Chiesa di Gesù Cristo. Ciò vale ancor più per una comunità in cui mia moglie aiuta ad amministrare la comunione e che io ora ritengo anche mia comunità, nel senso che considero la mia posizione come un vero «caso di necessità», secondo la formula canonica spesso ridicolizzata. Non riconoscerlo sarebbe cinico, come più tardi mi sono reso conto quando un sacerdote, diversi anni fa in una celebrazione eucaristica in cui eravamo disposti in cerchio, per la mia appartenenza confessionale è passato oltre del tutto inosservato.
Nella mia comprensione luterana della cena eucaristica, io «acconsento» chiaramente ai i capisaldi della dottrina eucaristica cattolica, che come teologo conosco bene. Secondo le mie esperienze, accolgo questa dottrina forse anche meglio di una gran parte dei cattolici che frequentano regolarmente la messa. In una conversazione pastorale individuale con il parroco del luogo espressi il mio desiderio di partecipare alla comunione – una procedura che, da una parte, è già da lungo tempo prassi comune in Germania e, dall’altra, è percepita dalla maggioranza delle coppie come irritante, arcaica e persino paternalistica e molto spesso viene trascurata.
Un crescente disagio
Con grande interesse, ma anche con crescente disagio, ho seguito le discussioni delle ultime settimane. Il tira e molla delle istituzioni ecclesiastiche è stato per gli interessati una irritante doccia scozzese. L’apice si è raggiunto con sui media di ampia diffusione, che hanno fatto titoli come: «Il papa contro la partecipazione del coniuge protestante alla comunione» (Spiegel online, 4 giugno 2018). Naturalmente questi titoli riducono la realtà dei fatti e non rappresentano né la posizione del Vaticano né quella dei vescovi attorno al cardinal Woelki. Il danno però è fatto e la responsabilità non è solo di giornalisti poco informati. A molte coppie interconfessionali è giunto un messaggio non previsto da nessun responsabile della Chiesa: che non sono gradite al banco della comunione, anzi nella comunità.
L’infelice disputa si è davvero conclusa con la parola autoritaria di Roma? Il limite che è stato posto è veramente «per il bene della Chiesa», come pensa il redattore di katholisch.de, Kilian Martin? Se l’antico motto «Roma locuta, causa finita» («Roma ha parlato, il caso è chiuso») sia mai stato qualcosa di più che un nobile ideale, resta cosa da vedere e, comunque, non intendo entrare qui nel merito della questione. Certo è che oggi, in questo modo, non si può fare Chiesa. Stando ai segnali contradditori giunti dal Vaticano mi sembra inoltre che il problema sia più confuso che chiuso: «Roma locuta, causa perturbata!».
Ciò che mi sconcerta
Mi sconcerta il fatto che neppure il cardinal Woelki e i suoi sostenitori vogliono davvero impedire a persone come me la partecipazione alla comunione. I teologi e gli ecclesiastici cattolici si vantano di continuo che la loro Chiesa, contrariamente ai protestanti, stabilisce e osserva regolamenti giuridici conseguenti. Da dove viene la paura di un regolamento pastorale riguardante una zona grigia del diritto canonico, ormai da tempo superata dalla realtà? Quale vantaggio c’è nel continuare a trattare un numero così alto di casi, almeno in Germania, come singoli casi eccezionali? Non mi sembra nell’interesse di una Chiesa che vuole essere più credibile, conseguente e orientata alla gente.
Tuttavia, ciò che mi dispiace maggiormente è il fatto che nelle ultime settimane si è continuamente parlato di noi, ma mai con noi e nemmeno a noi. Personalmente mi ha rallegrato il fatto che molti vescovi tedeschi, tra cui il mio (!) vescovo locale Peter Kohgraf (Magonza) – abbiano parlato anche dopo la presunta parola fine di Roma.
Ciò di cui sento la mancanza è un chiaro discorso rivolto direttamente a tutte le coppie di confessione mista con un messaggio che approvi chiaramente senza eccezioni che la norma vigente – sia anche soltanto come regolamento individuale eccezionale – continui a valere e che nessun cristiano evangelico accanto al partner cattolico sia allontanato dal banco della comunione. Questo messaggio deve giungere a tutte le coppie che desiderano, malgrado la diversità di appartenenza ecclesiale, ricevere insieme la comunione. Alle persone cioè che non solo si sentono partecipi di una comunità e che spesso anche sono attivamente impegnate nella comunità del loro partner.
Pubblicato sul sito web katholisch.de lo scorso 16 giugno 2018. L’autore, Tobias Dienst, è dottorando e assistente presso il dipartimento di Storia della Riforma e Storia della Chiesa contemporanea della Facoltà evangelica di teologia dell’Università di Heidelberg.
Nessun commento